2018-07-06
Hai studiato dai cristiani?
Ti possono discriminare sul lavoro
Per i giudici canadesi le lauree conseguite presso un'università evangelica sono da ritenersi carta straccia. Soltanto perché l'ateneo richiama chi lo frequenta a un certo codice di condotta.Segui la Bibbia? Peggio per te. No, non è la minaccia di qualche fanatico laicista né cristianofobia immaginaria, bensì quanto ha stabilito nei giorni scorsi la Corte suprema canadese, che con un pronunciamento di inaudita gravità ha autorizzato due Province del Paese a considerare carta straccia la laurea in giurisprudenza conseguita presso un'università evangelica, la Trinity Western University. Questo non perché l'ateneo in questione, pubblico ma non statale (cioè riconosciuto dallo Stato, ma non sostenuto da fondi pubblici), si sia macchiato di chissà quali crimini né sia stato al centro di alcuno scandalo, ma semplicemente perché richiama chi lo frequenta a un certo codice di condotta. Infatti, fra le peculiarità di questa università, non così marginale dato che si tratta della maggiore università cristiana finanziata da privati del Canada, c'è la richiesta - che viene rivolta indistintamente a dirigenti, professori, personale non docente e studenti - di condividere l'impegno a «praticare azioni che nella Bibbia vengono identificate come virtù e di evitare quelle ritenute distruttive». È insomma un ateneo cristiano che chiede di vivere «cristianamente» a coloro che decidono di lavorarvi o di frequentarlo. Qualcosa, si converrà, non solo di sacrosanto, ma anche di abbastanza scontato e per nulla lesivo della libertà, dato che non vige alcun obbligo per nessuno di iscriversi proprio alla Trinity Western University.Di questo avviso però non è stata la Conferenza dei presidi delle facoltà di diritto canadesi, che nel novembre 2012 ha pensato bene di rivolgersi agli ordini degli avvocati del Paese domandando di escludere dalla pratica forense i laureati in legge di quell'ateneo. Un'iniziativa motivata dalla difformità, ritenuta gravissima, fra i valori promossi dall'istituto cristiano e quelli di uno Stato che è andato ben oltre la laicità, avendo sposato da tempo l'agenda progressista in fatto di nozze gay, gender e utero in affitto. Un giurista formatosi alla Trinity dunque è da ritenersi non solo un bigotto ma pure, per la Conferenza dei presidi, potenzialmente sovversivo poiché in disaccordo con la cultura dominante.Tutto sarebbe finito lì se da due distinte Province, Ontario e Columbia Britannica, non fossero sorte due vertenze giudiziarie nell'ambito delle quali l'ateneo ha cercato di far valere le sue ragioni, peraltro molto rilevanti. Gli avvocati dell'università cristiana hanno infatti rimarcato come qualunque contestazione del suo codice di condotta avrebbe configurato una palese «violazione della libertà religiosa», argomento che la Corte suprema ha accolto. Ciò nonostante, i giudici hanno stabilito che il patto sottoscritto dagli studenti dell'ateneo evangelico è inammissibile, dato che richiede agli aderenti di astenersi da atti di «intimità sessuale che violano la sacralità del matrimonio tra uomo e donna». Una richiesta discriminatoria, secondo la legale lesbica Barbara Findlay, perché «sostiene che le coppie sposate eterosessuali possono avere rapporti, mentre quelle omosessuali no. Le coppie eterosessuali dunque sono trattate in modo più vantaggioso rispetto a quelle queer».Dunque, pur ravvisando l'enormità di una simile decisione, la Corte suprema ha ugualmente approvato la decisione degli Ordini degli avvocati di considerare nullo il titolo conseguito dai laureati della Twu. Discriminare questi ultimi, infatti, secondo i giudici è un modo per prevenire «un danno concreto alle persone Lgbtq e all'interesse pubblico in generale». La sentenza ha fatto sobbalzare tanti, non solo fra i cristiani. Howard Anglin, per esempio, direttore della Canadian constitution foundation, ha evidenziato come il verdetto ammetta «apertamente» che la penalizzazione dell'ateneo cristiano sia «una violazione della libertà religiosa», eppure la consenta ufficialmente «nell'ottica di servire obiettivi sociali più vasti e indefiniti».Nella loro opinione dissenziente di minoranza, inoltre, i due giudici della Corte suprema Russell Brown e Suzanne Côté hanno sottolineato che in questo modo, comunque la si pensi, una maggioranza impone la propria visione del mondo a una minoranza. Un fatto gravissimo, e che certamente avrebbe avuto ben altra eco se di mezzo, anziché i diritti dei cristiani, vi fossero stati quelli di qualunque altra categoria, da quella delle donne a quella dei cittadini di colore, per non parlare di musulmani e persone Lgbt. In una qualunque di queste eventualità, avremmo avuto mobilitazioni sui social, flash mob, manifestazioni, appelli, intellettuali à la page schiumanti di rabbia.Siccome però qui di mezzo c'erano soltanto dei cristiani, allora niente. Tutto a posto. Un fenomeno da alcuni giustamente chiamato cristianofobia ma che, a differenza dell'omofobia e della transfobia, non fa giurisprudenza. Anzi no, la fa: ma nel senso opposto, dal momento che questo tipo di discriminazioni vengono progressivamente incardinate negli ordinamenti giuridici e legittimate da fior di sentenze. E guai a fiatare.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson