2021-09-03
Anche gli studenti di Bergamo contro il pass
Cresce il fronte contrario alle discriminazioni nelle aule accademiche per gli sprovvisti del certificato. L'ultimo appello arriva dagli universitari dell'ateneo lombardo, all'insegna «non della paura e del controllo, ma del coraggio e della libertà».Premessa: «Un'interpretazione preconfezionata non è mai buona: ogni interpretazione pretende infatti una mente critica». Conclusione: «Per riconoscere la direzione più giusta e probabilmente più sana, può darsi che la strada da percorrere non sia all'insegna della paura e del controllo, bensì del coraggio e della libertà». Mittente: «Studenti dell'Università di Bergamo». Destinatari: dal rettore agli uscieri. Una missiva sterminata, contro quel green pass «che ci appare agli antipodi di quella stessa inclusività posta sin dall'etimo a fondamento dell'istituzione universitaria». Un provvedimento «discriminante e divisivo». Che rischia di escludere dal diritto allo studio coloro che «non intendono prestarsi a trattamenti sanitari invasivi e a proprie spese». Com'è possibile, si chiede tra le righe, accettare limiti a «libertà e indipendenza dell'insegnamento?». L'appello è rivolto a docenti, personale e studenti dell'ateneo. Ma soprattutto al rettore, Remo Morzenti Pellegrini, presidente della Conferenza che riunisce gli omologhi lombardi. Nei mesi scorsi, ricorda la lettera, aveva promesso «inclusione», «doveri e diritti», «coesione e sostegno costante». Intendimenti che, lamentano ora gli autori, sarebbero venuti meno con la comunicazione del 10 agosto 2021 al popolo studentesco: chiunque voglia entrare nell'ateneo dovrà avere il green pass. «Contiamo sul vostro senso di responsabilità, come abbiamo sempre fatto, convinti che provvederete quanto prima (e possibile) a farvi vaccinare» scrive il rettore. «Solo in questo modo avremo la speranza di «tenere a bada» il contagio e, di conseguenza, proseguire le nostre attività in presenza tutti insieme, senza paura di danneggiarci l'un l'altro». Controreplica epistolare: s'affidi pure al «nostro senso di responsabilità morale». Che però, polemizza la lettera, consiste nel non assecondare «un nuovo ordine culturale, legislativo e sociale». Il rettore, del resto, fa sul serio. Due settimane fa, in un'intervista all'edizione bergamasca del Corriere della sera, ha anticipato controlli un po' poliziotteschi: «Toccano a noi. L'incognita è come farli. Possiamo prendere i dati di una persona ogni dieci ma poi? Potremmo inviare una lista all'Ats per verificare l'effettivo possesso di green pass. Molti studenti però vengono da fuori provincia. Sarebbe auspicabile una banca dati regionale o nazionale cui fare riferimento». Domanda del cronista: e se l'autocertificazione risultasse falsa? «È un reato, lo stabilisce la legge. Scatterebbe la denuncia. Noi possiamo aggiungere sospensioni, sia per i docenti che per gli studenti. Ma per ora non lo dice nessun regolamento, e spero che non venga lasciato all'autonomia della singola università: si creerebbero delle diseguaglianze».Ecco, appunto. Le lamentano anche i riottosi mittenti. «Siamo, semplicemente, studenti dell'Università di Bergamo» chiariscono. «Ci siamo regolarmente iscritti, pagando le tasse. Abbiamo frequentato le lezioni, abbiamo sostenuto gli esami, anche con medie eccellenti. Durante il nostro percorso, come tutti, siamo stati colpiti dai lutti e dalle restrizioni. Infine siamo tornati in università, per riprendere, terminare o proseguire i nostri studi. E ora?». Green pass. Oppure, nisba. Certificato obbligatorio. Perfino per gli esami a distanza, come impone un protocollo dell'ateneo di Trieste.L'iniziativa di questi ragazzi bergamaschi, d'altronde, non è isolata. A Venezia è attivissimo il gruppo «Studenti contro il green pass». Ha già inviato una diffida per chiedere di garantire lezioni e lavoro, «anche mediante l'utilizzo di strumenti preventivi quale l'autocertificazione». E adesso arriva la lettera dei ribaldi orobici. Si definiscono: aspiranti filologi, filosofi, pedagogisti, psicologi, ingegneri e giuristi. Nei giorni scorsi, La Verità ha raccontato di altre mobilitazioni accademiche. Vedi l'appello di 36 docenti di nove paesi, che assicurano di essere in gran parte vaccinati, inviato al Consiglio d'Europa. Chiedono «il rispetto del diritto allo studio». Nemmeno loro, insomma, concordano con «l'uso indiscriminato del green pass». Come Francesco Benozzo, ordinario di Filologia romanza all'università di Bologna, che invita persino i colleghi vaccinati a disertare le lezioni in facoltà. «Credo che spetti a noi, ma ora soprattutto a voi, farsi portavoce di quell'idea di civiltà non seriale, non pedissequa, non servile, in nome della quale la scuola e l'università erano nate» scrive Benozzo. Pure due docenti dell'UniDolomiti di Belluno, Lorenzo Maria Pacini e Daniele Trabucco, obiettano: «È un'imposizione di carattere ideologico, che niente ha a che vedere con la tutela della salute pubblica». Fino all'ultima presa di posizione. La lettera inviata al rettore e ai professori dell'Università di Bergamo. Proprio uno di quegli atenei che il 22 febbraio 2020, causa pandemia, fu tra i primi in Italia a chiudere.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson