Le vendite online per risollevare il mercato dei giocattoli
- Duramente colpito dalla pandemia (-15% del volume nel 2020) il mercato del giocattolo intravede nelle vendite online una speranza di ripresa. Anche i social faranno da volano.
- Dagli anni della ricostruzione agli anni ottanta: l'età dell'oro dei giochi made in Italy, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Un successo nato dalla grande creatività e capacità di riconversione dei produttori italiani.
Lo speciale contiene due articoli e gallery fotografica
La pandemia ha colpito anche il mercato del giocattolo. Il settore ha infatti chiuso il 2020 in perdita, complice la pandemia e le numerose misure di sicurezza messe in campo per contrastare i virus. Secondo le rilevazioni di Npd Group, società internazionale specializzata nelle ricerche e informazioni di mercato, il 2020 ha fatto registrare una flessione del 6,9% a valore e in volume del 15%, rispetto al 2019. Cresce invece il prezzo medio di acquisto pari a 15,77 euro (+10%). "Anche se i dati indicano una flessione negativa del mercato, da questo 2020 ereditiamo una forte accelerazione nell'integrazione con il mondo digitale, un po' per necessità e un po' per l'urgenza di sperimentare nuovi approcci alla vendita, ma anche ad una nuova riscoperta dei negozi tradizionali", dichiara Maurizio Cutrino, direttore Assogiocattoli, che continua spiegando come "il recente riconoscimento dei giocattoli e dei prodotti per la prima infanzia come beni essenziali è sicuramente un segnale positivo che dimostra una grande attenzione a temi importanti per la società".
La pandemia ha dunque colpito duramente anche il mondo dei giocattoli. Stando infatti ai dati Npd Group solo in Italia, la chiusura di negozi di giocattoli durante il lockdown primaverile ha causato una perdita di almeno 45 milioni di euro (-35%), recuperata in parte già dai primi mesi estivi con la riapertura degli store.Successivamente la situazione è migliorata, dato che a settembre e ottobre si è registrato un leggero anticipo degli acquisti natalizi con un incremento del fatturato di circa 7 milioni di euro, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E il trimestre ottobre-dicembre, grazie al riconoscimento di giochi e giocattoli come beni essenziali dal governo italiano (unico caso in Europa) e alle campagne a sostegno del settore lanciate anche da Assogiocattoli, ha generato oltre la metà del fatturato dell'intero anno riportando tuttavia un calo rispetto al 2019.
Oltre ai dati sull'andamento la ricerca ha analizzato anche quelli che possono essere definiti super prodotti a livello di vendite. Stando ai dati, sul podio dei più venduti troviamo, la categoria "dolls" (bambole). Queste ottengono la medaglia d'oro nel 2020, nonostante abbiano subito un forte calo, mitigato da una ripresa del segmento "fashion dolls". Fanno registrare un segno positivo anche i "building sets" (+2%) e ancor di più i "games & puzzles" (+11%). Segno evidente, specifica Assogiocattoli, di come la permanenza forzata in casa e il maggior tempo a disposizione abbiano rivalutato questa modalità di gioco considerata inclusiva e socialmente coinvolgente per tutto il nucleo familiare.
Se si guarda al 2021 i trend non cambiano particolarmente. E infatti, durante il meeting di settembre di "Ansa – incontra" è emerso come i giocattoli del momento sono le costruzioni, seguite da peluche, giochi in scatola e card-game destinate ai "kidult", giovani adulti che non smettono di giocare. Seguono poi le bambole fashion e i giocattoli per la prima infanzia. Ma attenzione perché i consumatori stanno adottando anche dei nuovi comportamenti: "La pandemia ha incrementato le conoscenze digitali di tutti e lo shopping è divenuto un mix fra online e negozio, ha precisato Amedeo Giustini, Ceo Prenatal Retail Group che nel 2020 ha ottenuto un incremento del 138% delle vendite online rispetto al 2019, pari a 75 milioni di euro. Questo porterà a nuovi sviluppi futuri. "Nel 2020 sono esplosi i social media e il modello TikTok farà da fulcro anche per i giochi", continua Davide Neri, Marketing Country Lead di Hasbro Italy. Altre novità per il settore arriveranno inoltre anche dalla sostenibilità. Ci sono infatti sempre più aziende che hanno iniziato ad implementare pratiche green anche nella produzione dei giocattoli. Un esempio è dato da Anna Venturelli: "I nostri peluches sono fatti di bottiglie riciclate al 100%. Abbiamo la certificazione etica-ambientale del Global recycled Standard, Grs, e garantiamo l'intera filiera di produzione".
Dal genio artigiano al mercato mondiale: il giocattolo italiano dal dopoguerra
Catalogo Tg Sebino anni ottanta
Nel 1945, alla fine della guerra, l'industria italiana era paralizzata dalle devastazioni delle bombe e dall'assoluta mancanza di materie prime. Non faceva eccezione l'industria del giocattolo, che nella prima metà del secolo XX in Italia si era mantenuta su livelli poco più che artigianali (con poche eccezioni). Del resto l'offerta rispondeva ad una domanda inchiodata alla natura elitaria dei clienti, quei pochi fortunati che potevano permettersi regali costosi per i figli.
Così l'industria italiana del giocattolo, che nei decenni successivi raggiungerà risultati clamorosi, fu costretta a nascere e crescere in uno dei periodi più difficili della storia del Paese, semplicemente inventandosi. Come già accennato, la base dalla quale fece il suo esordio il settore dei giochi fu artigianale. Tuttavia alcuni dati del 1948 indicano chiaramente il grande fermento che gli anni della ricostruzione generarono anche nel settore industriale nascente, indicando il passaggio dai 200 laboratori artigianali ai 1.200 dell'anno della Costituzione. Una rete ampliatasi così rapidamente, fu in grado di accordarsi con i distributori a livello nazionale facendo scoccare la scintilla che mise in moto la costruzione della vera e propria industria di settore, concentrata soprattutto al Nord, che vedrà la propria età dell'oro negli anni '60 e '70 sia nel mercato interno che ugualmente nei volumi dell''export in tutto il mondo. L'originalità dei prodotti italiani nacque da una molteplicità di fattori concomitanti, che fecero da volano alla natura intrinsecamente creativa degli artigiani del gioco. Ma non soltanto di questi ultimi. Molte delle nascenti industrie che si specializzeranno nella produzione di giochi per l'infanzia venivano infatti da disparate esperienze prebelliche. Fu la necessità di riconversione a creare l'opportunità e fu da queste basi che nacque la specializzazione italiana in giochi molto più evoluti ed interattivi rispetto a quelli di anteguerra, dominati dal legno e dalla latta. Molte furono le ex industrie meccaniche che applicarono il proprio know-how per progettare giochi sempre più interattivi e automatizzati, che fecero presto dimenticare i vecchi giochi a molla.
Un esempio paradigmatico di riconversione è quello della vicentina Lima, azienda diventata leader nella costruzione di trenini elettrici ed accessori per plastici fermodellistici. L'acronimo dell'azienda spiega molto: Lima significava Lavorazione Italiana Metalli ed Affini. L'interesse nel campo delle ferrovie nacque con i rotabili veri, poiché l'azienda si occupò nell'immediato dopoguerra della riparazione dei vagoni ferroviari danneggiati dai bombardamenti.
Dalle ferrovie vere, quando il servizio di riparazione passò nuovamente alle FS nel 1950, l'azienda veneta iniziò con la produzione di modelli in metallo. La produzione ferroviaria cominciò con l'acquisizione della Lima da parte dell'imprenditore Otorino Bisazza, ex direttore generale presso la Marzotto. Fu lui ad intuire le possibilità di un mercato in espansione, quello dei trenini elettrici, offrendo un prodotto di fascia intermedia più accessibile dei preziosi e proibitivi modelli Marklin e Rivarossi. Inizialmente prodotti in metallo, i treni in scala HO incontrarono lo sviluppo rapido della chimica italiana dalla seconda metà degli anni '50 e passarono alla plastica, molto più economica e facilmente impiegabile per la produzione di massa a prezzi molto inferiori rispetto alla concorrenza. Gli anni '60 videro il boom dei trenini Lima tanto da portare l'azienda ad occupare in due stabilimenti ben 500 addetti con una produzione che arrivò a toccare i tremila locomotori, dodicimila vagoni e trentamila rotaie ogni giorno. Buona parte di questa impressionante produzione fu destinata all'estero, mentre in Italia Lima diventò un marchio estremamente popolare. Il declino, come per molte aziende impegnate nel modellismo, arrivò dagli anni '80. Nel 1992 la Lima fu assorbita dalla Rivarossi per essere alla fine ceduta nel 2004 all'inglese Hornby che sposterà la produzione in Cina mantenendo il marchio per prodotti entry level.
Spostandosi a Milano, sede della Fiera annuale del giocattolo che contribuì in modo determinante a diffondere il giocattolo italiano all'estero, troviamo una storia non dissimile da quella della Lima per quanto riguardò l'aspetto della riconversione industriale postbellica. Al quartiere della Barona, periferia sud della città, due ingegneri fondarono nel 1950 la Co-Ma, dalle iniziali dei cognomi Cortesi e Mauri. Se da una parte il marchio potrebbe suonare oggi sconosciuto rispetto a Lima o Polistil, l'azienda milanese tra gli anni '50 e gli anni '80 riempì le case degli Italiani (e non solo) di giocattoli in plastica. Prima della svolta verso il mercato dell'infanzia, la Co-Ma si occupò di confezionamento per l'industria farmaceutica. Fu un brevetto a cambiare la storia industriale dell'azienda milanese, depositato nel 1951. Si trattava del "Poliglas", una resina termoplastica sintetica molto malleabile, perfetta per gli stampi dei giocattoli. La produzione esordì con figurini in plastica scala 1:32 (soldatini e più tardi personaggi ispirati allo spazio nella serie "seleniti"). La Co-Ma fu tra le prime a fornire le sorprese contenute nei fustini di detersivi marca Tide parallelamente alla produzione in serie di modelli di edifici in scala HO (serie Edilmec) in scatola di montaggio e della fortunata serie di modellini di aerei di linea serie "Aermec". Tra le aziende italiane la Co-Ma fu la prima ad ottenere la licenza ufficiale per la riproduzione di brand reali, come testimonia la scatola di montaggio della stazione di servizio "Esso" degli anni '60. Per tutto il decennio successivo l'azienda milanese diversificò la produzione con un catalogo che includeva giochi più complessi e meccanizzati, come i telefoni giocattolo, le gru filoguidate, gli utensili da cucina, soldatini e navi. Come per molti altri marchi di giocattoli italiani, la crisi colpisce duro alla fine degli anni '80, quando la bergamasca Cavallino Giocattoli (già distributore) assorbe il marchio che scomparirà definitivamente nel 2012.
Dalla tradizione all'innovazione: le bambole italiane.
L'innovazione tecnologica offerta dalle materie plastiche investì negli anni sessanta anche un settore tradizionale del giocattolo italiano, quello delle bambole, rivoluzionandolo completamente. I nuovi materiali permisero una vera produzione di serie (prima impossibile con il legno e la porcellana) di bambole molto più realistiche ed interattive. Ne fu esempio sopra tutti una delle più famose e antiche aziende attive nel settore dal 1880, la Furga di Canneto sull'Oglio in provincia di Mantova. Il fondatore Luigi Furga Gornini cominciò con la produzione di bambole in cartapesta e cera, per poi passare alla porcellana e mantenere praticamente inalterate la produzione e la tecnica fino al dopoguerra. La svolta avvenne nel 1946, quando grazie all'acquisizione di una licenza statunitense per la produzione della bambola Trudy la fama dell'azienda mantovana crebbe esponenzialmente. La Furga fu anche tra le prime realtà industriali a praticare quello che oggi si vede quotidianamente, ossia il "product placement" attraverso la televisione. Fu questa la storia di "Pigi", un pupazzo che veniva mostrato e venduto con la bandoliera del popolarissimo programma "Il Musichiere". L'azienda capostipite, passata alle resine e alla plastica negli anni '70, andò in crisi al proprio centenario a causa del declino del successo delle bambole tradizionali e per gli effetti delle lotte sindacali della metà del decennio. Lasciata dalla famiglia del fondatore, fu chiusa nel 1992 dopo un breve passaggio alla Grazioli e quindi alla Giò Style.
Rimanendo in Lombardia, cuore del distretto del giocattolo italiano, un'altra azienda di bambole fece la storia ed irruppe con i suoi prodotti nelle case degli Italiani. La Sebino giocattoli (poi TG Sebino o Tecnogiocattoli Sebino) fu fondata nel 1957 da Gervasio Chiari (già ufficiale degli Alpini e reduce di Russia) a Pilzone d'Iseo in provincia di Brescia. Fu nel 1962 che l'azienda, dopo il trasferimento nei nuovi stabilimenti di Cologne sfornò quello che presto diventerà il bambolotto per antonomasia, il "Cicciobello". Riproduzione molto fedele di un neonato, il prodotto della Sebino era interattivo (parlante attraverso piccoli dischi in vinile) e ricco di accessori sempre più sofisticati. Molte erano le sue declinazioni e addirittura il bambolotto fu il primo ad essere prodotto in una serie "multirazziale", il Cicciobello Angelo Nero con fattezze africane e il cinese Ciao-Fiù-Lin (che in dialetto lombardo starebbe per ciao bambino). Alla fine degli anni '70 la TG Sebino proporrà un ventaglio di giocattoli diversi, tra cui quelli creativi come il gioco di costruzioni Unopiù, "Sebino Forma" e "Quanti". Negli ultimi anni della vita dell'azienda sulle sponde dell'Iseo, la TG Sebino cercò l'innovazione distribuendo i giochi elettromeccanici (antesignani dei videogames) grazie alla joint venture con il gruppo giapponese Tomy. Fu assorbita all'inizio del terzo millennio assieme alla BBurago da un gruppo cinese.
Dal gioco dell'oca al futuro: Clementoni e Italo Cremona
Furono gli anni sessanta ad inaugurare l'epoca aurea del gioco in scatola, fino ad allora dominato dalla tradizione immota del gioco dell'oca, delle pulci, della dama e degli scacchi. In italia tra i protagonisti della rivoluzione del gioco di società fu preminente la Clementoni. Ancora oggi leader nel settore e gestita dalla famiglia del fondatore Mario, l'azienda di Recanati sfondò alla fine degli anni sessanta con un giocattolo educativo che, al pari del Cicciobello, divenne un must per le famiglie con bambini in età scolare: il Sapientino. Giocattolo a batterie, era dotato di schede forate alle quali corrispondeva un contatto elettrico che faceva emettere un suono alla risposta esatta del bambino. Il Sapientino fu la base e il filo conduttore in continua evoluzione del successo dell'azienda marchigiana. Grazie all'accordo successivo con l'americana Texas Instruments la Clementoni saprà rimanere al passo con i tempi, evitando i gravi problemi che portarono molte aziende italiane a chiudere i battenti. Dal "Grillo Parlante" (un Sapientino elettronico) ad oggi con i giochi touch pad che assomigliano sempre più a veri tablet con funzione educativa. La Clementoni, oltre che per i molti giochi in scatola dei quali fu capostipite, divenne famosa nel mondo per la serie dei puzzle.
La Italo Cremona , che prese il nome dal fondatore, nacque già nel 1922 a Gazzada Schianno (Varese). Non si occupava inizialmente di giocattoli, bensì di componentistica per l'ottica (lenti, montature) grazie alla lavorazione della celluloide. La riconversione aziendale arrivò più tardi rispetto ad aziende coeve, ma nel 1960 l'azienda varesina fu la prima a sfidare il colosso Lego con i mattoncini "Plastic City", confezionati nella caratteristica scatola tubolare, che rimase nei grandi magazzini (con alcuni dei quali Italo Cremona strinse accordi di vendita) e nei negozi di giochi di tutto il Paese, affiancati dalle bambole che a partire dagli anni '60 uscirono dagli stabilimenti di Gazzada.
Ruote veloci, ali leggere
Nella storia del giocattolo italiano dal dopoguerra un posto di primo piano lo occuparono i modellini statici e dinamici di auto, moto e aerei. Capostipite della produzione di mini velivoli (ed ancora oggi esistente) fu la Quercetti di Torino, fondata da un recanatese proprio come Clementoni. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un esempio geniale di industrializzazione partita da basi artigianali. Alessandro Quercetti, classe 1920, si trasferì nel capoluogo piemontese e fece la guerra come pilota da caccia nella Regia Aeronautica, dalla cui esperienza nacque la profonda conoscenza della struttura dei velivoli. Dopo un periodo come operaio alla Inco giochi (giocattoli tradizionali in latta) ne rilevò l'attività cambiando il nome dell'azienda in Hoplà. La fortuna arrivò con un giocattolo meccanizzato (siamo nel 1950), il "Cavallo galoppa", un piccolo destriero a molla montato da una figura animata in grado di simulare il passo del galoppo e disarcionare con l'aumento del moto il cavaliere. Prima di approdare agli aeromodelli, Quercetti ebbe una fortunatissima intuizione. Rilevò nel 1953 il brevetto francese (praticamente accantonato) del "Coloredo", un gioco creativo composto da piccoli chiodini inizialmente in legno e quindi in plastica colorata che posizionati su una superficie forata permettevano di comporre disegni di ogni tipo. Era nato quello che più tardi in Italia sarebbe stato noto come "Chiodino". L'exploit dei velivoli in miniatura arrivò alla fine del decennio successivo con il "Missile Tor", un razzo in miniatura dotato di paracadute di discesa che era in grado di raggiungere la ragguardevole altitudine di 100 metri. Seguì il successo del missile quello che divenne l'aeromodello popolare per antonomasia, il "Sirius", lanciato sul mercato all'inizio degli anni settanta. Quercetti ancora una volta aveva intuito come i materiali plastici come il polistirolo (leggerissimo e molto modellabile) avrebbero potuto rendere gli aeromodelli, fino ad allora fragili e costosi, un gioco alla portata di tutti. Il volo della Quercetti non terminò più, con il successivo sviluppo di giochi educativi sempre più innovativi e di entusiasmanti circuiti di biglie componibili come lo Skyrail lanciato nel 2003.
Nel campo delle miniruote italiane nessuno potrà mai dimenticare un marchio come Polistil, l'azienda milanese (con stabilimento a Chiari in provincia di Brescia), nata all'inizio degli anni cinquanta da una commessa dell'industriale dolciario Perfetti per ottenere piccole sorprese da abbinare ai prodotti. All'appello dell'industriale risposero Eugenio Agrati ed Ennio Sala, che investirono assieme a perfetti nella fondazione di quella che sarà la culla della Polistil, la Aps (Agrati-Perfetti-Sala). Inizialmente i piccoli modelli in plastica non ancora brandizzati furono venduti a terzi che vi apponevano il proprio marchio. Il boom degli automodelli cominciò nel decennio successivo dagli stabilimenti dell'azienda successivamente ribattezzata Polistil a Quinto Romano, periferia ovest di Milano. dagli anni sessanta in poi la produzione si declinò in armi giocattolo, giochi da spiaggia, e naturalmente nelle famigerate piste elettriche Policar, mentre fino al 1974 il marchio degli automodelli fu separato in Politoys. Alla crisi degli anni ottanta Polistil cercò rimedio tramite accordi con la Tonka, regina del mercato statunitense. Assorbita proprio da quest'ultima, chiuderà i battenti all'inizio degli anni novanta per ricomparire un decennio più tardi unicamente come logo di proprietà della cinese May Cheong Group.
A poca distanza da Milano, in Brianza, nacque l'altro grande marchio di automodelli italiano, la BBurago. Fondata come Martoys dal cavalier Marco Besana, sfondò nel mondo delle miniature a quattro ruote con la linea Mebetoys (Meccanica Besana Toys) che si mise in concorrenza con i più prestigiosi marchi inglesi (Corgi e Dinky) per la qualità costruttiva dei modellini die-cast. A cavallo tra gli anni settanta e il decennio della crisi la Brago si specializzò nel formato scala 1:24, caratterizzato dall'innovazione delle ruote sterzanti sui modelli, disponibili anche in kit di montaggio. La marca brianzola subì la stessa sorte della concorrente Polistil quando nel 2005 fu assorbita dal gruppo May Cheong, colosso cinese del giocattolo globalizzato.
L'azienda italiana del giocattolo fu fortemente innovativa anche nel campo dei modelli radiocomandati. Il caso più rilevante fu quello della Re-El (Reggiana-Elettronica) di San Martino in Rio (Reggio Emilia), che già negli anni sessanta brevettò un sistema di telecomandi applicate alle miniature di auto e barche. All'alba degli anni ottanta la Re-El cercò di entrare nel mercato delle prime console e dei primi pc con videogiochi a cassetta magnetica, poi dominato dai colossi giapponesi e americani.





