Cattivi segnali per l’Italia: la Lagarde lascia i tassi invariati e non dà certezze su un taglio a settembre. Intanto Francoforte conferma l’annuncio della chiusura del piano di acquisto dei titoli pubblici entro la fine del 2024. Grana debito per l’Ucraina.L’Italia e il governo Meloni hanno dimostrato di saper ribaltare anche i pronostici più avversi. Quelli che li volevano anello debole delle grandi economie Ue, isolati nelle politiche contro l’austerity e l’immigrazione e zavorrati dal debito monstre che si ritrovano. Ecco questa capacità di resistenza verrà con ogni probabilità messa ancor più a dura prova nei prossimi mesi. Quella che si sta profilando, infatti, se non è una tempesta perfetta ci va molto vicino e somiglia tanto a una strategia della tensione per testare la tenuta dell’esecutivo. Inutile nasconderselo, la configurazione del nuovo Parlamento Ue (il sì alla Von der Leyen arriva da socialisti, liberali, verdi e popolari) non fa fare balzi di gioia a nessuno, la necessità di dover rispettare di nuovo le regole del Patto di stabilità non aiuta e la politica della Banca Centrale Europea sembra fatta apposta per mettere altra sabbia nel motore italiano.Che Francoforte stesse portando a chiusura il programma di acquisto per l’emergenza pandemica (l’ormai famoso Pepp) era risaputo. Ma la conferma arrivata proprio ieri, nel giorno del secondo mandato Von der Leyen, assume anche un significato politico. «L’Eurosistema», si legge in un comunicato dell’Eurotower, «non reinveste più tutto il capitale rimborsato sui titoli in scadenza, riducendo il portafoglio di 7,5 miliardi di euro al mese, in media. Il Consiglio direttivo intende terminare i reinvestimenti nel quadro di tale programma alla fine del 2024». E poi il contentino: «Il Consiglio continuerà a reinvestire in modo flessibile il capitale rimborsato sui titoli in scadenza del portafoglio del Pepp, per contrastare i rischi per il meccanismo di trasmissione della politica monetaria riconducibili alla pandemia». Cosa può voler dire tutto questo per l’Italia? Se si mettono insieme la chiusura del Pepp e l’incertezza su un nuovo taglio dei tassi, le possibilità che il governo debba pagare di più per rimborsare il suo debito di sicuro aumentano. I Btp sono infatti i titoli pubblici più esposti rispetto ai cambiamenti della politica della banca centrale europea proprio perché sono stati tra i principali beneficiari dei programmi di acquisto di asset. Ovvio che se la Bce si tira fuori dagli acquisti l’Italia avrà bisogno di attrarre nuovi compratori. Tanto per dare un ordine di idee. Fino a un paio di mesi fa, l’istituto di Francoforte aveva in pancia, tra Pepp e altri programmi, poco meno di 700 miliardi di titoli di Stato italiani, che rappresentano circa un quarto del nostro debito pubblico. Ma non c’è solo il Pepp. Perché da tempo la politica monetaria della Bce non sorride al Belpaese. Che nella riunione di ieri Christine Lagarde decidesse di lasciare i tassi invariati al 4,25% era dato per scontato. Ma restano incerte anche le prospettive da qui a fine anno. Buona parte degli analisti continua a scommettere su due ribassi e quindi su un livello di tassi che inizierà il 2025 al 3,75%. Sarà davvero così? Al momento nulla è scontato e soprattutto nella consueta conferenza stampa che segue le riunioni di Francoforte, madame Lagarde ha evidenziato come non ci siano al momento segnali chiari su quello che accadrà dopo l’estate. È vero che nell’Eurozona, così come negli Usa, le pressioni sui prezzi si sono attenuate. Ma il numero uno della Banca Centrale ha voluto, come è quasi sempre successo, tenersi le mani libere e non se l’è sentita di prendere fin da adesso un fermo impegno sul taglio di settembre, anche in virtù della grande incertezza fiscale che è prevista in Francia dopo l’esito delle recenti elezioni.Di grana in grana, non va dimenticato che a proposito di Europa e di aiuti europei, l’Ucraina è attesa a una scadenza cruciale per il suo di debito pubblico. Secondo quanto riporta Bloomberg sono giorni cruciali per la ristrutturazione di oltre 20 miliardi di dollari di debito pubblico di Kiev (un quinto del totale). I colloqui sono serrati anche perché la scadenza della moratoria sui pagamenti del debito ucraino (13 obbligazioni in circolazione che devono essere ripagate tra il 2024 e il 2035) è prevista per inizio agosto e quindi non c’è tempo da perdere. Ci sono obbligazionisti ucraini, ma soprattutto i grandi fondi internazionali coinvolti: da BlackRock fino ad arrivare a Pimco e Fidelity. Ora, è ovvio che trattare con uno Stato che sta affrontando una guerra serrata dal febbraio del 2022 non è facile per nessuno, ma è altrettanto nelle cose che i fondi devono fare il loro mestiere, anche perché hanno esigenti investitori ai quali poi dover rendere conto. Morale della favola: al momento la trattativa è ferma tra la richiesta di Kiev che vuol condizionare i rimborsi all’andamento della sua economia e non può garantire pagamenti superiori al 60% del capitale e quella dei grandi investitori che si sono riuniti in un comitato e puntano a recuperare almeno l’80% del loro investimento. Più interessi sopra 7%. Dal loro punto di vista, sarebbe un gran trattamento di favore.
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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