2020-07-15
Stone contro le regole di Hollywood. «Questo ormai è il cinema dei matti»
Oliver Stone (Getty images)
Il regista rifiuta il terrorismo sanitario e il politicamente corretto: «Ci vogliono consulenti per tutto: il Covid, la sensibilità sessuale...». È la stessa America che abbatte le statue di Colombo e cambia nome ai Pellerossa.Non è stata Hollywood in sé, la gigantesca industria americana, a indispettire Oliver Stone, ma la sua ultima, e più «moderna» declinazione. «Il mercato, credo sia semplicemente troppo costoso. Tutto è diventato così fragile, così sensibile. Ad Hollywood, oggi, non è più dato girare un film senza un consulente in materia di Covid-19. Non è più dato girare un film senza un consulente in materia di sensibilità. È ridicolo», ha detto il regista, in una lunga intervista al New York Times, spiegando come il proprio rifiuto di omologazione gli abbia causato, negli anni, svariati problemi. «L'ultimo film che ho fatto è stato Snowden. Trovare dei finanziamenti non è stato facile, credo per la materia trattata […] Non ho, però, bisogno di fare film per Hollywood, non ho bisogno di ricevere l'approvazione dei “capi"», ha continuato Stone che, nelle riflessioni affidate al giornale statunitense, si è dato la pena di ripercorrere le origini di un'antipatia mai definita tale.Il giornalista lo ha incalzato, pungolato. Ma Oliver Stone non ha ceduto alla provocazione. Di come Hollywood lo abbia messo ai margini, etichettato malamente per aver confezionato documentari su Fidel Castro e Vladimir Putin, non ha parlato granché. «Non ho paura di tutto questo. Sono andato oltre quell'epoca», ha detto, «Non credo che la visione politica del presidente Putin, nel periodo compreso tra il 1999 e le elezioni del 2016, sia mai stata presentata onestamente al pubblico americano. Il mio documentario (una serie di interviste condotte nel 2017 sotto il nome di The Putin Interviews, ndr) è frutto di un lavoro basato su conoscenza e ricerca. Potrebbe essere oggetto di studio, perché vi dice cose, tante cose, che sono poi state ignorate. “Oh", si è detto, “Oliver Stone è un apologeta". Non lo sono. Amo andare a fondo delle cose, ed è perciò che mi ha apprezzato come ha fatto. Putin non ha pensato io fossi un fesso. È un uomo molto paziente. Legge. È competente. Non assomiglia affatto alla miriade di politici buffoni che abbiamo noi, ed è per questo che è durato vent'anni. Ma la stampa americana lo ha demonizzato», ha continuato Oliver Stone, scagliandosi contro la faziosità di un sistema mediatico, i cui danni sulla società statunitense sarebbero ormai irreversibili.Il politicamente corretto, la presunzione di possedere una verità assoluta, esente da qualsiasi confronto dialettico, avrebbe compromesso irrimediabilmente la capacità critica dei cittadini, siano essi più e meno esposti. «L'Academy cambia il proprio giudizio ogni cinque o dieci mesi, ogni due qualora riesca a tenere il passo con il divenire delle cose. È il cosiddetto politicamente corretto, e plasma un mondo di cui non sono ansioso di fare parte. Non ho mai visto tanta pazzia come ne vedo oggi. Pare di avere a che fare con il tè del Cappellaio Matto, in Alice nel Paese delle Meraviglie», ha sentenziato il regista, ormai prossimo alla pubblicazione della sua prima autobiografia, Chasing the light.Stone, alle proprie dichiarazioni, non ha voluto seguissero esempi concreti. A tratti, anzi, ha cercato di sdrammatizzare. «Ho solo letto da qualche parte che fare un film, dopo l'emergenza sanitaria, sarà decisamente più costoso. Quel che, prima, richiedeva cinquanta giorni per essere girato, domani ne richiederà sessanta. Dovrai garantire la distanza sociale tra gli attori», ha detto, ma il riferimento al mondo contemporaneo è stato chiaro quanto basta. Oliver Stone, che negli anni, con titoli come JFK - Un caso ancora aperto, Looking for Fidel e Usa, la storia mai raccontata, ha suscitato la disapprovazione dell'intellighenzia hollywoodiana, ha voluto scagliarsi compostamente contro l'assurdità di un'industria formato plastilina. Contro la Hollywood delle mode e del pensiero unico, dove è solo la corsa all'omologazione a dettare la propria linea.In America, i fatti di cronaca più recenti hanno costretto l'industria cinematografica ad adeguare i propri modelli produttivi a nuove, e presunte, sensibilità. Così, all'indomani del Black lives matter, dell'insorgere di un movimento che ha portato i Washington Redskins a rinunciare al proprio nome, si è consumata la moria dei doppiatori bianchi. Chiunque, in televisione o al cinema, abbia prestato la propria voce a un personaggio che non fosse bianco è stato costretto a lasciarlo andare. Con tante scuse, per giunta, quasi si fosse trattato di una truffa, di un delitto. Via col Vento è stato rimosso dalle piattaforme digitali, la produzione di Friends si è scusata per non aver incluso tra le sue fila un'adeguata rappresentazione della diversità. J.K. Rowling è stata messa a tacere. E, con le statue di Cristoforo Colombo sradicate dai propri piedistalli, si è preso a censurare ogni battuta di ogni serie televisiva il cui umorismo non fosse in linea con quello scevro di stereotipi che il volto buono dell'America ha chiesto, preteso e, infine, ottenuto.