Stop al contratto di Starlink in Italia per non disturbare i satelliti europei

Non c’erano dubbi. Ma ieri si ha avuta l’ennesima conferma del motivo per cui l’Europa voglia bloccare a tutti i costi lo sbarco di Starlink in Italia. Airbus, Thales Alenia Space e quindi Leonardo hanno avviato l’iter di comunicazione all’antitrust Ue per il progetto di fusione delle attività satellitari delle aziende con l’obiettivo di creare una sola società sul modello dell’azienda paneuropea Mbda, leader nella produzione di missili e affini.
Airbus e Thales sono i maggiori produttori europei di satelliti per telecomunicazioni, navigazione e sorveglianza. Ma entrambe sono alle prese con perdite e riduzione del personale. La seconda ha subito perdite significative nel 2023. Sia per ragioni cicliche che strutturali, a causa di un declino duraturo del mercato dei satelliti geostazionari. Da qui il ridimensionamento al ribasso dell’organico di Thales, in particolare in Francia. Anche Airbus ha annunciato a ottobre scorso il taglio di 2.500 dipendenti in Defence and Space, la divisione Difesa e Spazio che al momento impiega circa 35.000 persone e sta registrando un calo della domanda per le attività satellitari. A far crollare il mercato dei satelliti geostazionari è stata chiaramente la concorrenza di Starlink che al contrario si muove nella fascia più bassa dell’atmosfera ed è riuscita in pochi anni ha mandare in orbita oltre 8.000 mini satelliti con un obiettivo concreto di arrivare a 42.000. A quel punto il progetto di Musk chiuderebbe il proprio cerchio di investimenti e grazie all’uso delle frequenze tipiche del settore delle tlc riuscirebbe a creare la prima copertura globale. Tradotto? Nessuna concorrenza possibile, monopolio tecnologico della criptazione e del traffico dati fondamentale per la cyber e per tutte le evoluzioni quantistishe. Insomma, il futuro. Le scelte da parte dell’Europa potevano essere due. La prima, cercare di collaborare. La seconda, fare totale ostruzionismo e fermare l’evoluzione sperando di colmare il gap in tempi il più possibile ragionevoli. Almeno questo è il racconto della politica e di chi la guida soprattutto a Bruxelles.
In realtà anche immaginando che il resto del mondo rimanga fermo e l’industria Ue corra all’impazzata, dieci anni non sarebbero sufficienti per colmare il gap tecnologico tra le due piattaforme. Per questo il possibile accordo tra Italia ed Elon Musk è diventato una pietra di scandalo. L’idea di chiudere un contratto tra la Difesa tricolore e il colosso controllato da Space X per un valore superiore al miliardo di euro (da destinare alle comunicazioni criptate della Difesa e della Marina) è finito in un cassetto. Non di una scrivania ma addirittura del freezer. E non perché i vertici delle Forze armate abbiano smontato tecnicamente l’iter di valutazione (il ministro Guido Crosetto si era anche speso in audizione spiegando che non ci sono rivali), ma per un fatto meramente politico. Lo scorso dicembre è stato lanciato il progetto Bromo, dal nome di un vulcano indonesiano. Con la benedizione di Bruxelles i tre colossi della Difesa ipotizzavano di avviare il cammino che oggi li ha portati a chiedere all’antitrust l’ok per la fusione delle rispettive divisioni. Tutti sanno che anche in caso di esito positivo (che visto l’andazzo odierno risulta scontato) serviranno almeno dieci mesi di attesa. In questo lasso di tempo, Musk avrà lanciato altri 2.000 satelliti e messo a frutto tutta l’esperienza guadagnata sul terreno ucraino. Chi ipotizza uno scenario diverso, non fa una comunicazione corretta. Basti pensare a quanto sta accadendo attorno al titolo della francese Eutelsat. Anche se recentemente ha ripiegato, nell’ultimo mese e mezzo ha guadagnato in Borsa oltre il 200% promettendo di poter subentrare a Starlink in Ucraina e, per giunta, di poter assistere l’esercito di Kiev esattamente come il colosso Usa.
Peccato che con Eutelsat i soldati di Volodymyr Zelensky non sarebbe più in grado di utilizzare i droni difensivi, ma soprattutto quelli killer che contribuiscono a rallentare l’avanzata russa. L’Europa negli ultimi dieci anni ha investito poco e scommesso sul settore geostazionario. Ha sbagliato. E ora ha un solo modo per ripartire. Sfruttare il piano del riarmo Ue per incanalare i fondi. Un contratto con Starlink spezzerebbe l’equilibrio delle cancellerie e sarebbe come una crepa nella diga del grande progetto di riconversione delle industrie francesi e tedesche. In Italia il garante delle cancellerie è il Quirinale che si è speso contro Musk con una veemenza che non è nei consueti tratti comunicativi di Sergio Mattarella. Anche il Corriere della Sera si è speso con particolare impegno contro Musk e il suo rappresentante in Italia, Andrea Stroppa. Ultima paginata ieri, guarda caso sul pericolo di affidare a terzi i nostri dati. Terzi intesi come partner non europei. Perché quelli Ue fino ad oggi non ci hanno mai preservato dalle fregature industriali.






