2024-01-06
Spunta la mail della vittima di Epstein: «Per coprirlo Clinton minacciò i cronisti»
Il «Guardian» elenca le intimidazioni fatte dal magnate ai giornalisti che seguivano il suo caso. E restano dubbi sul ruolo del marito di Hillary (che però non è indagato).Joe Biden è in crisi nera di popolarità e i fogli progressisti, incluso l’«Economist», temono un trionfo di Donald Trump. Ma il tempo stringe e i liberal non hanno un vero piano B.Lo speciale contiene due articoli.Il nome di Bill Clinton continua a spuntare dai documenti giudiziari che, desegretati su ordine del giudice Loretta Preska, sono relativi a una causa civile per diffamazione, intentata nel 2015 da una delle vittime di Jeffrey Epstein, Virginia Giuffre, contro Ghislaine Maxwell: la socia del finanziere, morto suicida in carcere nell’agosto 2019. Ebbene, tra i nuovi incartamenti è emerso uno scambio di email, avvenuto nel 2011, tra la giornalista Sharon Churcher e la stessa Giuffre. In particolare, quest’ultima espresse preoccupazione sulla copertura giornalistica del caso Epstein da parte del magazine Vanity Fair, scrivendo: «Ieri, mentre stavo facendo delle ricerche su Vf, mi sono preoccupata di cosa potrebbero voler scrivere su di me considerando che B. Clinton è entrato in Vf e li ha minacciati di non scrivere articoli sul traffico sessuale relativo al suo buon amico JE (Jeffrey Epstein, ndr)». Non è chiaro se l’affermazione della Giuffre si basasse su conoscenze di prima mano o su fonti di stampa. Tale episodio era stato riportato nel 2007 dal sito Gawker. Come che sia, le presunte minacce di Clinton ai vertici della redazione di Vanity Fair sono state smentite sia all’epoca sia l’altro ieri, quando l’allora direttore della rivista, Graydon Carter, ha dichiarato al Telegraph: «Questo non è categoricamente accaduto». Un’affermazione, la sua, che è stata rilanciata dallo staff dello stesso Clinton. Ora, pur prendendo atto di queste smentite, bisogna rammentare ulteriori elementi, resi noti da John Connolly: un giornalista di Vanity Fair che si occupò all’epoca del caso Epstein. A ricordarli è stato ieri il Guardian. «Nel 2019, Connolly ha detto a Npr che Epstein aveva minacciato Carter anni prima quando Vanity Fair aveva preso in considerazione la possibilità di seguire le accuse di cattiva condotta sessuale contro il finanziere», ha scritto la testata britannica. «Connolly affermò che nel 2006, quando stava indagando su Epstein, un gatto morto era stato messo fuori dalla casa di Carter. Secondo Npr, Connolly ha detto che Carter gli aveva riferito che era preoccupato per la sicurezza dei suoi figli e il giornalista ha detto che aveva deciso di interrompere le sue inchieste», ha proseguito il Guardian. Nell’agosto 2019, il New York Magazine riportò inoltre che «secondo un rapporto di All Things Considered della Npr, Epstein ha minacciato orribilmente il direttore di Vanity Fair, Graydon Carter, per allontanare la giornalista Vicky Ward dalla pista degli abusi sessuali di Epstein su minori, dopo che lei aveva scritto un articolo su di lui nel 2003». «Il mese scorso», continuò la testata, «la Ward ha accusato Carter di aver rimosso le accuse di abusi delle sorelle Maria e Annie Farmer - che sostengono che Epstein le abbia aggredite sessualmente quando Annie aveva 15 anni - dopo che il finanziere aveva fatto pressioni sul direttore». Stando alla stessa testata, Carter avrebbe inoltre raccontato a Connolly di aver trovato un proiettile fuori dalla propria porta. Ma non è tutto. Tra i nuovi documenti desegretati, spunta anche una richiesta, avanzata dai legali della Giuffre, per chiamare a testimoniare Clinton. «Ha viaggiato con Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e potrebbe avere informazioni sulla condotta di traffico sessuale di Ghislaine Maxwell e Jeffrey Epstein», sostennero. Ricordiamo che, nella prima tranche di documenti, un’altra vittima del finanziere, Johanna Sjoberg, aveva raccontato di aver saputo proprio da Epstein che a Clinton piacevano le ragazze giovani. Va detto che dai vari incartamenti in via di pubblicazione non emergono elementi penalmente rivelanti sull’ex presidente dem. Tuttavia questi dettagli certo non fanno bene alla sua reputazione, che già da qualche anno si è appannata. D’altronde, nel 2021 il New York Post rivelò che Epstein aveva visitato la Casa Bianca ai tempi dell’amministrazione Clinton per almeno 17 volte. Tutto questo può tradursi in un problema per l’immagine pubblica della Clinton Foundation e del suo network. Senza trascurare che alcuni fedelissimi dei Clinton ricoprono oggi posizioni apicali nell’amministrazione Biden. Finora, l’ex presidente si è limitato a riproporre un vecchio comunicato del 2019, in cui sosteneva di non essere coinvolto nelle attività illegali di Epstein e di aver effettuato quattro viaggi sul suo jet: «Uno in Europa, uno in Asia e due in Africa, comprese tappe legate al lavoro della Clinton Foundation». Dai documenti, pubblicati fino a questo momento, Donald Trump è uscito invece fondamentalmente indenne. Viene citato due volte dalla Sjoberg. Nella prima occasione, racconta che Epstein lo avrebbe chiamato per andare al suo casinò di Atlantic City, dopo che i piloti del jet gli avevano detto che avrebbero effettuato un atterraggio in quella città. Nella seconda, la Sjoberg ha negato di aver avuto rapporti sessuali con il futuro presidente repubblicano. Oltre ad Andrea di York, a uscirne peggio sono invece vari esponenti del Partito democratico. Dagli incartamenti emerge infatti che la Giuffre ha raccontato di aver avuto rapporti sessuali con l’ex governatore dem del New Mexico, Bill Richardson, e con i miliardari Glenn Dubin e Thomas Pritzker: il primo è un finanziatore dell’Asinello, mentre il secondo è il cugino dell’attuale governatore dem dell’Illinois, J. B. Pritzker. Richardson fu anche segretario all’Energia nell’amministrazione Clinton dal 1998 al 2001.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/spunta-mail-vittima-epstein-2666882553.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-stampa-dem-sta-scaricando-biden" data-post-id="2666882553" data-published-at="1704491970" data-use-pagination="False"> La stampa dem sta scaricando Biden L’Economist sta scaricando Joe Biden? Sembrerebbe proprio di sì. Dopo avergli dato l’endorsement nel 2020 e dopo aver recentemente definito Donald Trump «il più grande pericolo per il mondo nel 2024», il settimanale britannico si è all’improvviso accorto delle difficoltà che ha davanti l’attuale inquilino della Casa Bianca. Pochi giorni fa, infatti, ha pubblicato un’analisi intitolata significativamente: «Le chances di Joe Biden non sembrano buone. I democratici non hanno un piano B». In particolare, l’articolo mette in evidenza l’impopolarità in cui versa il presidente americano, sottolineando anche la sua indisponibilità ad abbandonare la corsa elettorale per la riconferma. Un elemento decisivo, ragiona il settimanale, potrebbe essere rappresentato dal fatto che una crescente quota di elettori ispanici e afroamericani sta progressivamente abbandonando il Partito democratico. La testata prende, sì, in considerazione l’ipotesi di un ritiro di Biden. Il punto è che, nel caso, la finestra temporale per condurre una campagna elettorale alternativa si sta ormai chiudendo. Senza poi trascurare che, qualora dicesse addio alla corsa, non è detto che la nomination presidenziale dem sarebbe automaticamente riconosciuta a Kamala Harris. Non dimentichiamo, infatti, che il vicepresidente americano è attualmente piuttosto impopolare. E che, dietro le quinte, stanno scaldando i motori vari potenziali concorrenti, a partire dal governatore della California, Gavin Newsom. Insomma, sembra proprio che il settimanale della famiglia Elkann non sia più così entusiasta della ricandidatura di Biden, anche se - va detto - le problematiche sottolineate nel suo recente articolo sono note da mesi. D’altronde, non è il primo segnale di malumore emerso verso l’attuale presidente americano da parte dell’establishment mediatico progressista. Era lo scorso settembre, quando il giornalista David Ignatius scrisse sul Washington Post che Biden non avrebbe dovuto ricandidarsi. Inoltre, critiche al presidente in carica sono ultimamente arrivate anche dagli ex consiglieri di Barack Obama, Larry Summers e David Axelrod. Tutto questo, mentre alcune settimane fa The Hill parlava di «tensioni persistenti» tra il team di Obama e quello di Biden. Non è del resto un mistero che, dopo averlo aiutato a vincere le primarie del 2020, lo stesso Obama mostri oggi freddezza nei confronti del suo ex vice. A giugno, i due ebbero un pranzo alla Casa Bianca, in cui l’ex presidente - pur formalmente ribadendo il proprio sostegno all’attuale - si concentrò molto sulle difficoltà insite nell’affrontare e battere elettoralmente Trump. Una posizione che qualcuno interpretò come un tentativo di convincere Biden a fare un passo indietro. Sarà un caso, ma gli Elkann non sono affatto distanti dal network dell’ex presidente democratico. Nel marzo 2014, John Elkann si vide con Obama a Villa Taverna, parlando di un incontro positivo. Sempre Elkann, nel maggio 2017, fu tra gli invitati alla cena milanese in onore dello stesso Obama organizzata dall’Ispi. Insomma, non è forse del tutto escludibile che nel riposizionamento dell’Economist su Biden possa aver in qualche modo influito il network obamiano, che resta assai influente in seno al Partito democratico statunitense. A febbraio scorso, il Los Angeles Times riportò che Axelrod aveva avuto parole di elogio per Newsom. Il che pone un interrogativo: non è che Obama sta cercando di puntare su di lui per le prossime presidenziali?
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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