2018-05-17
Ci risiamo, il governo lo decide lo spread
Per frenare Matteo Salvini e Luigi Di Maio, politici ed eurocrati (spalleggiati dai media) tornano ad agitare lo spauracchio del divario fra i titoli di Stato. Che ieri ha toccato la stessa quota di gennaio, quando regnava l'innocuo Paolo Gentiloni: la prova che si tratta di falso problema. Nel 2011 un grande banchiere - direi il più grande - mentre infuriava la bufera dello spread mi confidò: «I giornali parlano dello spread come se l'Italia fosse sull'orlo del fallimento, ma dimenticano che anche in passato, quando c'era Romano Prodi, lo spread salì e di molto, tuttavia all'epoca nessuno sembrò preoccuparsi». E poi aggiunse: «Lo spread è un falso problema». Che l'Italia non fosse sul precipizio della bancarotta lo scoprimmo poi, una volta che Silvio Berlusconi venne rimpiazzato da Mario Monti. Il bocconiano ci fece digerire una stangata che per anni lasciò l'economia tramortita, senza restituirci né l'occupazione che avevamo prima né più soldi nelle tasche. Il risultato di quell'operazione semmai sono 300 miliardi di debito che si sono aggiunti ai 2.000 di prima. Tutto ciò mentre i tassi di interesse erano al minimo storico, cioè senza dover pagare grandi prezzi ai sottoscrittori dei titoli di Stato. Non eravamo al default e siamo riusciti a peggiorare le cose «facendo i compiti a casa». Vi domandate perché tiri fuori cose vecchie, di sette anni fa? Perché la storia pare non insegnare nulla, né ai politici né ai giornalisti. All'epoca lo spread fu agitato come uno spauracchio per far dimettere il Cavaliere. Le grandi banche estere vendettero i titoli di Stato e, messo con le spalle al muro dagli indici di Borsa, Berlusconi capitolò e rassegnò le dimissioni, accettando di sostenere un governo tecnico. Adesso i fatti sembrano ripetersi uguali. La carezza dello spread non serve a convincere un presidente del Consiglio a farsi da parte, ma a indurre due aspiranti premier a mollare il colpo, rimettendo nel cassetto i programmi di governo che non piacciono al mercato. Che poi il mercato non sia altro che gli interessi dei Paesi europei e delle istituzioni finanziarie non sembra passare per la testa a nessuno. I principali siti di informazione ovviamente sono già in allarme e ritirano fuori la storia dello spread. «Di Maio e Salvini scherzano con il fuoco» titolano alcuni, lasciando capire che se i due non tornano a più miti consigli per l'Italia si mette male. In realtà la differenza fra il valore dei nostri titoli di Stato sul mercato e quelli per esempio della Germania oscilla da tempo e da prima che Lega e 5 stelle trionfassero alle elezioni e si mettessero in testa di fare un governo. A gennaio, con il tiepido Paolo Gentiloni ancora in sella, lo spread salì esattamente dov'è ora, per poi ridiscendere. Ma quando toccò i 150 punti, come ieri, a che cosa era dovuto? La reazione dei mercati al programma di un governo a guida Pd? Oppure era stato Er Moviola a spaventare i risparmiatori con qualche provvedimento alla camomilla? Né l'una né l'altro. Semplicemente le quotazioni fluttuano e investitori speculano, approfittando delle situazioni e anche delle dichiarazioni, come avviene da sempre. C'è dunque ragione di fare titoli allarmati, come se fossimo ad un passo dalla catastrofe? No. E per capirlo basta guardare gli indici dall'inizio dell'anno. Ieri la Borsa è andata giù del 2,3 per cento. Una bella perdita, non c'è che dire, ma riguardando le flessioni degli anni scorsi non si tratta di un crollo. Anzi: negli ultimi mesi l'indice azionario ha una tendenza al rialzo, mentre la linea dello spread è in discesa. E allora perché suscitare paura e vedere pericoli che al momento non sono concreti? La risposta è semplice: Borsa e spread votano e pesano più degli elettori e dunque muovendo gli indici si condizionano le scelte politiche. Tradotto, con un po' di spread in più c'è un po' meno di Salvini nel governo. O almeno questo è ciò che si augura chi gioca ad agitare i mercati e chi amplifica le oscillazioni degli indici facendo titoli che spaventano l'opinione pubblica. Vorrei che fosse chiaro: non mi piace un governo con dentro Luigi Di Maio e Matteo Salvini ma la cui guida sia affidata a un terzo che, non essendo eletto, inseguirà un programma che non va né di qua né di là. Però ancor meno mi piacciono le operazioni di Palazzo, nazionale o estero, per impedire che forze regolarmente votate facciano il governo che vogliono gli italiani. Ieri Di Maio è stato tirato per la giacca da un giornalista che intendeva porgli una domanda. In realtà mi sembra che da giorni siano altri a volerlo tirare per la giacca, usando ogni mezzo. Spread compreso. Ha ragione Berlusconi: non è un complotto. Solo un gioco di potere.
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)