
I giudici hanno archiviato l’ex ministro ritenendolo mero esecutore delle indicazioni degli enti internazionali. Il dem infatti scaricò il barile su di loro, eppure continua a far la parte dell’eroe e rivendicare i risultati ottenuti.francesco borgonovoSiamo, nemmeno troppo inaspettatamente, al gioco delle tre carte. Come ormai noto, il tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le denunce presentare contro l’Agenzia italiana del farmaco e Roberto Speranza dal Comitato Ascoltami e dal sindacato Osa Polizia, seguiti dagli avvocati Angelo Di Lorenzo e Antonietta Veneziano. A risultare parecchio interessanti, tuttavia, sono le motivazioni di tale archiviazione, contenute in un documento di una trentina di pagine. Come ha scritto Andrea Zambrano sulla Nuova Bussola Quotidiana, il succo di quel testo è: Speranza va archiviato perché nei fatti la responsabilità non è sua. «Il giudice di Roma cita nell’ordine l’Ema, l’Oms, l’Fda statunitense e la Commissione europea», spiega Zambrano. «Istituzioni, organismi o agenzie regolatorie sovranazionali che hanno dato il via libera ai vaccini prima che il ministero della Salute e Aifa introducessero nel mercato italiano gli inoculi. Ne consegue che di ogni tipo di responsabilità su eventuali danneggiamenti a persone, non sarebbe Speranza - e in seconda battuta l’ex direttore di Aifa, Nicola Magrini - che deve rispondere, ma semmai quegli organismi». Gli avvocati erano convinti che nella condotta di Aifa e dell’ex ministro durante la pandemia si potesse trovare traccia di numerosi e pesanti reati: corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, false dichiarazioni, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, lesione personale, somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica fino a giungere all’omicidio. Per il tribunale, tuttavia, Speranza non sarebbe colpevole poiché stava semplicemente seguendo indicazioni arrivate dall’alto, dagli organismi internazionali come Oms, Fda e Ema. Ed è esattamente qui che qualcosa non torna. Perché queste motivazioni - che andranno ovviamente approfondite e studiate nel dettaglio - fanno intuire una verità diversa da quella che viene propagandata in queste ore dai principali mezzi di informazione. Danilo Leva, avvocato dell’ex ministro, ha sostenuto che i giudici hanno riconosciuto «la correttezza della condotta di Speranza volta esclusivamente alla difesa dell’interesse pubblico e del diritto alla salute dei cittadini». Quanto a Speranza medesimo, ha scritto sui social: «Ho sempre creduto che la verità sarebbe emersa. In una situazione difficilissima, ho dato tutto me stesso per salvare la vita delle persone, seguendo le indicazioni della comunità scientifica. Questa è stata la mia esclusiva priorità». Ebbene, dalle motivazioni della archiviazione si scopre che l’ex ministro è stato interrogato e ha rilasciato pure numerose dichiarazioni. Frasi che, appunto, svelerebbero una formidabile strategia difensiva basata sul succitato gioco delle tre carte. A quanto pare, infatti, è stato proprio l’ex ministro a scaricare il barile sull’universo mondo per togliersi dalle spalle il peso delle responsabilità, garantendosi così l’archiviazione del procedimento. Sembra che il leitmotiv di Speranza sia il rimando alla «scienza ufficiale» e in particolare alle autorità sovranazionali come Ema, Comitato salute della Commissione europea, e persino Fda (per giustificare la proroga delle scadenze vaccinali e la vaccinazione dei bambini). Risulta uno scaricabarile anche rispetto all’Aifa guidata da Nicola Magrini. L’ex ministro sembra proprio si dia un gran daffare per spiegare che lui, con gli Aifaleaks fatti esplodere da Fuori dal coro, non ha nulla a che spartire, la faccenda proprio non lo riguarda. A questo punto la sensazione di presa in giro aumenta. Possibile che nessuno sia mai responsabile delle decisioni politiche prese? Davvero per scagionare un politico italiano basta che egli affermi di aver agito sulla base di indicazioni o diktat altrui?Tutto questo, per altro, stride notevolmente con il racconto di sé che Speranza ha fatto negli anni della pandemia e in quelli successivi. Un racconto che ancora adesso viene ribadito con foga dalla gran parte dei giornali amici dell’ex ministro. Ma se Roberto era solo un mero esecutore di ordini, perché ha rivendicato con enfasi i grandi risultati ottenuti e si è presentato a ripetizione come il salvatore della patria? Perché oggi si atteggia a eroe incompreso e perseguitato dai temibili no vax? Non sembrava così prono quando rivendicava il primato dell’Italia in Europa per vaccini somministrati e strigliava l’Ema: «Siamo primi in Ue per numero di vaccinati ma urge l’approvazione di più vaccini da parte di Ema», diceva a gennaio 2021. Certo, è molto credibile che Speranza non fosse altro che un ingranaggio di un sistema molto più ampio e complesso. Ma allora dovrebbe fare attenzione a ciò che dice ora. Qualche giorno fa ad esempio, lamentando le «aggressioni» dei no vax, ha rimarcato la sua condizione di vittima. Ha affermato che gli italiani non capiscono «cosa ha significato e quali siano le conseguenze dell’essere stato ministro della Salute durante la pandemia da Covid 19». A sentire Speranza, sulla sua schiena è planato «un carico di lavoro inimmaginabile, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, senza alcuna pausa con decisioni quotidiane che incidevano sulla vita quotidiana di milioni di italiani. Questa storia non può essere rimossa. E il lavoro incessante che ho fatto, dando tutto me stesso, non può essere sottovalutato». Delle due l’una, però: o lui decideva tutto e ogni scelta gravava su di lui al punto da sfiancarlo, oppure non ha deciso niente e si è attenuto soltanto a decisioni prese altrove. Se uno ha la faccia tosta di raccontarsi come un eroe, dovrebbe almeno avere il buon gusto di non scaricare le rogne sul groppone altrui.
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Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.