True
2020-07-09
Speranza chiude, i malati arrivano lo stesso
Ansa
- Sospesi tutti i voli dal Bangladesh dopo lo sbarco a Fiumicino di 36 infetti. Ma molti contagiati riescono a raggiungere comunque l'Italia con certificati medici falsi. I positivi giunti nella Capitale le scorse settimane potrebbero essere circa 600.
- Mentre in Libia aumentano i focolai, «Die Welt» pubblica un rapporto sull'immigrazione clandestina realizzato dagli analisti del ministero dell'Interno germanico: «Partenze concordate con gli scafisti».
Lo speciale contiene due articoli
Possono essere centinaia i positivi al coronavirus non tracciati, provenienti dal Bangladesh e ormai sparpagliati per tutte le nostre città. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha ordinato la sospensione dei voli dalla capitale Dacca dopo che 36 passeggeri, su 225 sbarcati a Fiumicino, erano risultati infetti, ma quello di lunedì era solo l'ultimo degli otto voli arrivati negli ultimi giorni dalla capitale asiatica. «La cifra dei possibili positivi è di circa 600», ha dichiarato il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, durante la trasmissione radiofonica 24 Mattino di Radio 24, aggiungendo che si cerca di «rintracciare queste persone per poter fare il link epidemiologico e tamponi per tutti». La bomba contagi dall'estero è dunque già esplosa. Il blocco dei voli diretti, da ieri anche di quelli con scalo, non impedisce a centinaia di bengalesi di raggiungere in qualunque modo l'Italia perché «nel nostro Paese la situazione legata ai contagi è un disastro, non ci sono cure mediche e la gente sta cercando di scappare con ogni mezzo», ha dichiarato Mohamed Taifur Rahman Shah, presidente dell'associazione Italbangla. Una prospettiva spaventosa, per la nostra sicurezza sanitaria, ma c'è di peggio. Sempre Rahman Shah, al quotidiano Il Messaggero ha rivelato che molti acquistano documenti falsi per entrare e uscire dal Bangladesh con un certificato medico, che attesti di non essere contagiati. Basterebbero tra 3.500 e 5.000 taka (ovvero 36-52 euro) per ottenere un pezzo di carta falso e in questo modo «ci si compra il diritto a volare verso l'Italia e verso l'Europa». Il diritto di poter viaggiare anche se si è ammalati, un'autentica follia che rischia di moltiplicare in tutta Italia nuovi focolai di Covid-19. In Bangladesh il numero dei positivi accertati è 172.134, ma sui dati c'è poco da stare tranquilli perché il Paese non è certo tenero nei confronti di chi parla dell'epidemia, perciò è possibile che i contagiati siano molti di più e che tanti di loro siano davvero in fuga, pur presentando i sintomi del coronavirus. Non solo, nei giorni scorsi le autorità bengalesi avrebbero scoperto che l'Istituto sanitario Regent, con filiali nei sobborghi di Dacca, malgrado avesse analizzato solo 4.200 campioni su oltre 10.000 test a pagamento raccolti, non si era fatto scrupolo di consegnare a tutti il certificato di negatività necessario per uscire dal Paese. Saranno già ovunque, i bangladesi infetti. La comunità, 175.000 persone in tutta Italia, la settima per numero di stranieri residenti, è presente soprattutto in Lazio (37.000), Lombardia (22.000), Veneto (17.000), Campania (11.000), Emilia Romagna (10.000) e Sicilia (10.000). Prima che scoppiasse l'emergenza Covid-19, molti bengalesi erano tornati a casa, ma ora cercano di rientrare in Italia anche perché sta per scadere il loro permesso di soggiorno e «l'ambasciata italiana a Dacca ha spiegato che dopo non concederà più visti d'ingresso», ha raccontato Batchu, sindacalista dei bangladesi, al Foglio. Secondo il referente della comunità bengalese di Roma «sono arrivati 9 voli per 1.500 passeggeri, stimiamo che ci siano altre 4.000 persone a cui scade a breve il permesso di soggiorno». Batchu assicura che molti stanno facendo i tamponi, che «questa cosa del coronavirus è vissuta come uno stigma sociale», tanti condividono lo stesso appartamento e lavorano in settori quali la ristorazione e il commercio, dove il rischio di contagio è particolarmente elevato. Solo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, potrebbe risolvere la situazione a detta del sindacalista, spiegando ai bangladesi che «potranno comunque rientrare anche dopo con la procedura ordinaria, in questo modo si fermerebbero le partenze, purtroppo l'ambasciatore italiano a Dacca continua a dire il contrario». Ieri, un totale di 152 passeggeri del Bangladesh sbarcati a Milano Malpensa e a Roma Fiumicino con voli di scalo, sono stati respinti. Il primo aereo da Doha, in Qatar, aveva a bordo 40 bengalesi provenienti da Dacca, quello atterrato nella capitale ne aveva 112. Una donna del Bangladesh, incinta, è stata trasferita al Policlinico Gemelli. Agli altri viaggiatori di Qatar Airways è stato fatto il tampone «in quanto potenziali casi di contatto», ha spiegato il responsabile dell'Unità di crisi Covid-19 della Regione Lazio, Alessio D'Amato. Oggi sono previsti altri due voli dal Qatar e uno speciale dall'India, perfino il sindaco dem di Fiumicino, Esterino Montino, chiede al governo fermezza perché «solo impedendo lo sbarco di tutti i passeggeri a bordo si può ottenere dalle compagnie aeree straniere che evitino di trasportare persone che vivono in Paesi in cui il virus non è sotto controllo». Il consorte della senatrice Monica Cirinnà ha poi aggiunto: «Mi auguro che i ministeri competenti affrontino con maggiore profondità il problema che non riguarda solo il Bangladesh, ricordo, ma diversi altri Paesi in cui in questo momento la pandemia è al massimo della sua potenza. Certo, serve del coraggio per fare questo».
Intanto, fortunatamente, i primi 270 tamponi effettuati al drive-in della Asl Roma 2 ai componenti della comunità del Bangladesh sono risultati tutti negativi.
Gli esperti del governo tedesco: «Accordi tra Ong e trafficanti»
La situazione è «catastrofica». Così dice all'Agenzia Nova il direttore del Centro nazionale per il controllo delle malattie, Badr al Din al Najjar. In particolare si registrano difficoltà nella città di Sebha, dove il numero di infetti aumenta rapidamente. Solo ieri si sono registrati 65 nuovi casi, e il totale dei contagiati sarebbe intorno alle 1200 unità. Il punto, come ha fatto notare al Giornale.it il giornalista Faraj Aljarih, è che in Libia «non ci sono abbastanza test per misurare l'estensione del Coronavirus e il paese soffre di un sistema sanitario che non è in grado di far fronte alla pandemia in alcun modo». Secondo Aljarih, «la Libia non ha ancora raggiunto l'apice della diffusione del virus e siamo solo all'inizio. Data la situazione epidemiologica nel Paese, si può affermare che il peggio deve inevitabilmente ancora arrivare, soprattutto se le autorità continuano a non prendere provvedimenti concreti sul terreno per contrastare la diffusione del virus».
Tutto ciò, evidentemente, avrà ripercussioni anche sull'Italia, perché gli sbarchi sulle nostre coste di stranieri provenienti dalla Libia sono in continuo aumento. Secondo i dati del Viminale, a ieri erano approdate in Italia 7.554 persone, contro le 3.073 registrato nello stesso periodo dell'anno scorso. E il flusso, considerato che ci avviamo verso il cuore dell'estate, è destinato a crescere. Non si tratta, badate bene, di una previsione apocalittica utile a spargere terrore per far guadagnare consenso ai pericolosi sovranisti. A mettere in guardia sono ricercatori piuttosto autorevoli.
Il giornale tedesco Die Welt, infatti, proprio ieri ha pubblicato un report molto interessante (e pure abbastanza inquietante) realizzato dal Gasim, che è il centro di analisi strategiche sull'immigrazione illegale del ministero dell'Interno tedesco. Stiamo parlando, dunque, di una istituzione pubblica germanica, le cui osservazioni sull'argomento sono state piuttosto puntuali già in precedenti occasioni.
Ebbene, il Gasim tocca due tasti dolenti. Il primo riguarda appunto le partenze dalla Libia, che secondo i ricercatori sono in crescita. «L'esperienza ha dimostrato», si legge in un passaggio del rapporto citato da Die Welt, «che ci sarà un aumento delle partenze nei prossimi mesi estivi, la cui entità dipenderà, tra le altre cose, dall'intensità dei combattimenti, dall'ulteriore sviluppo della pandemia di Covid e dalle capacità delle reti di contrabbando e dai soccorsi marittimi statali e privati».
Ecco, quest'ultima parte è forse la più sorprendente. Che ci fosse da attendere un'esplosione di partenze, infatti, era abbastanza chiaro. Ma che i «soccorsi marittimi statali e privati» giocassero un ruolo determinante in tutta la faccenda era decisamente meno scontato. Negli ultimi anni, infatti, sono stati prodotti innumerevoli studi secondo la presenza delle Ong nel mar Mediterraneo non costituisce un «pull factor». Tradotto, significa che le navi umanitarie presenti nei pressi delle coste libiche non costituirebbero un «fattore di attrazione» per i migranti. Non staremo a questionare sull'attendibilità delle varie ricerche o sul loro orientamento ideologico. Ci limiteremo a riportare ciò che sostengono i ricercatori del Gasim tedesco. Costoro, infatti, sostengono - come scrive Die Welt - che «quando sono presenti navi delle Ong, ci sono partenze concordate. Secondo rifugiati e migranti, i trafficanti usano la funzione di localizzazione di vari siti Web per determinare la posizione delle navi delle Ong, e in singoli casi le hanno contattate tramite telefono satellitare». Queste affermazioni aiutano a farsi un'idea di che cosa avvenga nel Mediterraneo. È evidente che le partenze non dipendono esclusivamente dalla presenza delle imbarcazioni «umanitarie» nelle acque libiche. Anche perché, secondo gli analisti tedeschi, anche in assenza delle Ong si verificano sbarchi e ci sono traversate autonome compiute da stranieri che poi vengono recuperati nella zona Sar maltese da navi commerciali oppure riescono a giungere sulle rive italiane.
Tuttavia, quando ci sono navi Ong nei paraggi il procedimento diventa più facile. L'accusa che gli esperti del Gasim mettono per iscritto è parecchio pesante: secondo loro i trafficanti verificano la posizione delle imbarcazioni degli attivisti, poi le contattano e fanno in modo che il loro carico umano venga recuperato. Il che, si ci pensate, è abbastanza sensato. Se esistono navi che pattugliano il Mediterraneo per fare «ricerca e soccorso», è evidente che per i trafficanti di uomini ciò si riveli un vantaggio. Invece di trovare modovedette libiche che riportano indietro gli aspiranti profughi, gli scafisti possono contare su imbarcazioni che li fanno salire a bordo e li portano direttamente in Europa. E finché i governi continueranno a farsi ricattare dai taxisti del mare, questo meccanismo mortifero funzionerà a pieno ritmo.
Sospesi tutti i voli dal Bangladesh dopo lo sbarco a Fiumicino di 36 infetti. Ma molti contagiati riescono a raggiungere comunque l'Italia con certificati medici falsi. I positivi giunti nella Capitale le scorse settimane potrebbero essere circa 600.Mentre in Libia aumentano i focolai, «Die Welt» pubblica un rapporto sull'immigrazione clandestina realizzato dagli analisti del ministero dell'Interno germanico: «Partenze concordate con gli scafisti».Lo speciale contiene due articoliPossono essere centinaia i positivi al coronavirus non tracciati, provenienti dal Bangladesh e ormai sparpagliati per tutte le nostre città. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha ordinato la sospensione dei voli dalla capitale Dacca dopo che 36 passeggeri, su 225 sbarcati a Fiumicino, erano risultati infetti, ma quello di lunedì era solo l'ultimo degli otto voli arrivati negli ultimi giorni dalla capitale asiatica. «La cifra dei possibili positivi è di circa 600», ha dichiarato il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, durante la trasmissione radiofonica 24 Mattino di Radio 24, aggiungendo che si cerca di «rintracciare queste persone per poter fare il link epidemiologico e tamponi per tutti». La bomba contagi dall'estero è dunque già esplosa. Il blocco dei voli diretti, da ieri anche di quelli con scalo, non impedisce a centinaia di bengalesi di raggiungere in qualunque modo l'Italia perché «nel nostro Paese la situazione legata ai contagi è un disastro, non ci sono cure mediche e la gente sta cercando di scappare con ogni mezzo», ha dichiarato Mohamed Taifur Rahman Shah, presidente dell'associazione Italbangla. Una prospettiva spaventosa, per la nostra sicurezza sanitaria, ma c'è di peggio. Sempre Rahman Shah, al quotidiano Il Messaggero ha rivelato che molti acquistano documenti falsi per entrare e uscire dal Bangladesh con un certificato medico, che attesti di non essere contagiati. Basterebbero tra 3.500 e 5.000 taka (ovvero 36-52 euro) per ottenere un pezzo di carta falso e in questo modo «ci si compra il diritto a volare verso l'Italia e verso l'Europa». Il diritto di poter viaggiare anche se si è ammalati, un'autentica follia che rischia di moltiplicare in tutta Italia nuovi focolai di Covid-19. In Bangladesh il numero dei positivi accertati è 172.134, ma sui dati c'è poco da stare tranquilli perché il Paese non è certo tenero nei confronti di chi parla dell'epidemia, perciò è possibile che i contagiati siano molti di più e che tanti di loro siano davvero in fuga, pur presentando i sintomi del coronavirus. Non solo, nei giorni scorsi le autorità bengalesi avrebbero scoperto che l'Istituto sanitario Regent, con filiali nei sobborghi di Dacca, malgrado avesse analizzato solo 4.200 campioni su oltre 10.000 test a pagamento raccolti, non si era fatto scrupolo di consegnare a tutti il certificato di negatività necessario per uscire dal Paese. Saranno già ovunque, i bangladesi infetti. La comunità, 175.000 persone in tutta Italia, la settima per numero di stranieri residenti, è presente soprattutto in Lazio (37.000), Lombardia (22.000), Veneto (17.000), Campania (11.000), Emilia Romagna (10.000) e Sicilia (10.000). Prima che scoppiasse l'emergenza Covid-19, molti bengalesi erano tornati a casa, ma ora cercano di rientrare in Italia anche perché sta per scadere il loro permesso di soggiorno e «l'ambasciata italiana a Dacca ha spiegato che dopo non concederà più visti d'ingresso», ha raccontato Batchu, sindacalista dei bangladesi, al Foglio. Secondo il referente della comunità bengalese di Roma «sono arrivati 9 voli per 1.500 passeggeri, stimiamo che ci siano altre 4.000 persone a cui scade a breve il permesso di soggiorno». Batchu assicura che molti stanno facendo i tamponi, che «questa cosa del coronavirus è vissuta come uno stigma sociale», tanti condividono lo stesso appartamento e lavorano in settori quali la ristorazione e il commercio, dove il rischio di contagio è particolarmente elevato. Solo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, potrebbe risolvere la situazione a detta del sindacalista, spiegando ai bangladesi che «potranno comunque rientrare anche dopo con la procedura ordinaria, in questo modo si fermerebbero le partenze, purtroppo l'ambasciatore italiano a Dacca continua a dire il contrario». Ieri, un totale di 152 passeggeri del Bangladesh sbarcati a Milano Malpensa e a Roma Fiumicino con voli di scalo, sono stati respinti. Il primo aereo da Doha, in Qatar, aveva a bordo 40 bengalesi provenienti da Dacca, quello atterrato nella capitale ne aveva 112. Una donna del Bangladesh, incinta, è stata trasferita al Policlinico Gemelli. Agli altri viaggiatori di Qatar Airways è stato fatto il tampone «in quanto potenziali casi di contatto», ha spiegato il responsabile dell'Unità di crisi Covid-19 della Regione Lazio, Alessio D'Amato. Oggi sono previsti altri due voli dal Qatar e uno speciale dall'India, perfino il sindaco dem di Fiumicino, Esterino Montino, chiede al governo fermezza perché «solo impedendo lo sbarco di tutti i passeggeri a bordo si può ottenere dalle compagnie aeree straniere che evitino di trasportare persone che vivono in Paesi in cui il virus non è sotto controllo». Il consorte della senatrice Monica Cirinnà ha poi aggiunto: «Mi auguro che i ministeri competenti affrontino con maggiore profondità il problema che non riguarda solo il Bangladesh, ricordo, ma diversi altri Paesi in cui in questo momento la pandemia è al massimo della sua potenza. Certo, serve del coraggio per fare questo». Intanto, fortunatamente, i primi 270 tamponi effettuati al drive-in della Asl Roma 2 ai componenti della comunità del Bangladesh sono risultati tutti negativi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/speranza-chiude-i-malati-arrivano-lo-stesso-2646369411.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-esperti-del-governo-tedesco-accordi-tra-ong-e-trafficanti" data-post-id="2646369411" data-published-at="1594245869" data-use-pagination="False"> Gli esperti del governo tedesco: «Accordi tra Ong e trafficanti» La situazione è «catastrofica». Così dice all'Agenzia Nova il direttore del Centro nazionale per il controllo delle malattie, Badr al Din al Najjar. In particolare si registrano difficoltà nella città di Sebha, dove il numero di infetti aumenta rapidamente. Solo ieri si sono registrati 65 nuovi casi, e il totale dei contagiati sarebbe intorno alle 1200 unità. Il punto, come ha fatto notare al Giornale.it il giornalista Faraj Aljarih, è che in Libia «non ci sono abbastanza test per misurare l'estensione del Coronavirus e il paese soffre di un sistema sanitario che non è in grado di far fronte alla pandemia in alcun modo». Secondo Aljarih, «la Libia non ha ancora raggiunto l'apice della diffusione del virus e siamo solo all'inizio. Data la situazione epidemiologica nel Paese, si può affermare che il peggio deve inevitabilmente ancora arrivare, soprattutto se le autorità continuano a non prendere provvedimenti concreti sul terreno per contrastare la diffusione del virus». Tutto ciò, evidentemente, avrà ripercussioni anche sull'Italia, perché gli sbarchi sulle nostre coste di stranieri provenienti dalla Libia sono in continuo aumento. Secondo i dati del Viminale, a ieri erano approdate in Italia 7.554 persone, contro le 3.073 registrato nello stesso periodo dell'anno scorso. E il flusso, considerato che ci avviamo verso il cuore dell'estate, è destinato a crescere. Non si tratta, badate bene, di una previsione apocalittica utile a spargere terrore per far guadagnare consenso ai pericolosi sovranisti. A mettere in guardia sono ricercatori piuttosto autorevoli. Il giornale tedesco Die Welt, infatti, proprio ieri ha pubblicato un report molto interessante (e pure abbastanza inquietante) realizzato dal Gasim, che è il centro di analisi strategiche sull'immigrazione illegale del ministero dell'Interno tedesco. Stiamo parlando, dunque, di una istituzione pubblica germanica, le cui osservazioni sull'argomento sono state piuttosto puntuali già in precedenti occasioni. Ebbene, il Gasim tocca due tasti dolenti. Il primo riguarda appunto le partenze dalla Libia, che secondo i ricercatori sono in crescita. «L'esperienza ha dimostrato», si legge in un passaggio del rapporto citato da Die Welt, «che ci sarà un aumento delle partenze nei prossimi mesi estivi, la cui entità dipenderà, tra le altre cose, dall'intensità dei combattimenti, dall'ulteriore sviluppo della pandemia di Covid e dalle capacità delle reti di contrabbando e dai soccorsi marittimi statali e privati». Ecco, quest'ultima parte è forse la più sorprendente. Che ci fosse da attendere un'esplosione di partenze, infatti, era abbastanza chiaro. Ma che i «soccorsi marittimi statali e privati» giocassero un ruolo determinante in tutta la faccenda era decisamente meno scontato. Negli ultimi anni, infatti, sono stati prodotti innumerevoli studi secondo la presenza delle Ong nel mar Mediterraneo non costituisce un «pull factor». Tradotto, significa che le navi umanitarie presenti nei pressi delle coste libiche non costituirebbero un «fattore di attrazione» per i migranti. Non staremo a questionare sull'attendibilità delle varie ricerche o sul loro orientamento ideologico. Ci limiteremo a riportare ciò che sostengono i ricercatori del Gasim tedesco. Costoro, infatti, sostengono - come scrive Die Welt - che «quando sono presenti navi delle Ong, ci sono partenze concordate. Secondo rifugiati e migranti, i trafficanti usano la funzione di localizzazione di vari siti Web per determinare la posizione delle navi delle Ong, e in singoli casi le hanno contattate tramite telefono satellitare». Queste affermazioni aiutano a farsi un'idea di che cosa avvenga nel Mediterraneo. È evidente che le partenze non dipendono esclusivamente dalla presenza delle imbarcazioni «umanitarie» nelle acque libiche. Anche perché, secondo gli analisti tedeschi, anche in assenza delle Ong si verificano sbarchi e ci sono traversate autonome compiute da stranieri che poi vengono recuperati nella zona Sar maltese da navi commerciali oppure riescono a giungere sulle rive italiane. Tuttavia, quando ci sono navi Ong nei paraggi il procedimento diventa più facile. L'accusa che gli esperti del Gasim mettono per iscritto è parecchio pesante: secondo loro i trafficanti verificano la posizione delle imbarcazioni degli attivisti, poi le contattano e fanno in modo che il loro carico umano venga recuperato. Il che, si ci pensate, è abbastanza sensato. Se esistono navi che pattugliano il Mediterraneo per fare «ricerca e soccorso», è evidente che per i trafficanti di uomini ciò si riveli un vantaggio. Invece di trovare modovedette libiche che riportano indietro gli aspiranti profughi, gli scafisti possono contare su imbarcazioni che li fanno salire a bordo e li portano direttamente in Europa. E finché i governi continueranno a farsi ricattare dai taxisti del mare, questo meccanismo mortifero funzionerà a pieno ritmo.
La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
Continua a leggereRiduci
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa dell'8 dicembre con Carlo Cambi
È stata confermata in appello la condanna di primo grado pronunciata nei confronti di Mario Roggero (Ansa)
Nel 2015 Roggero subì una rapina devastante. «Naso, tre costole, operato alla spalla destra il mese dopo, oltre 6 mesi di terapia molto dolorosa», racconta ora davanti alle telecamere del programma condotto da Mario Giordano su Rete 4. «Mi hanno aggredito con una tale aggressività che non ho potuto fare niente. Erano due picchiatori e mi hanno sopraffatto completamente». È il passaggio che demolisce la lettura della Corte, secondo cui nel 2021 Roggero avrebbe «agito con la stessa modalità del 2015». Il gioielliere commenta: «Penoso. Ma stiamo scherzando?». Nel 2015 fu massacrato da due individui che continuarono a picchiarlo quando era a terra. «Chiunque ha visto il video di quella rapina», aggiunge Roggero, «è rimasto profondamente impressionato». E infatti le immagini mandate in onda mostrano un’aggressione brutale, con l’uomo inerme a terra e sangue ovunque. Una scena che per Roggero è trauma puro. Ma per i giudici non è ammissibile che un uomo massacrato nel 2015, che vive un dramma simile nel 2021, abbia reazioni difensive. Il salto di cornice che Roggero mette in evidenza è questo: nel 2015 non si difende, viene pestato, finisce in ospedale. Risultato: innocente, vittima. Nel 2021 reagisce, neutralizza chi minaccia con la pistola e fugge. Risultato: imputato, condannato, trattato da aggressore. Roggero fotografa senza filosofia: «Le vere vittime siamo noi».
Lui lo dice in modo semplice: «Con la pistola in alto non avrei sparato, ma quando lui me la punta in faccia, me la punta in fronte, che faccio?». L’ultimo passaggio delle sue parole è dedicato alla Suprema corte. Sembra un atto di fede laica: «Per la Cassazione», dice Roggero, «si presuppone e si spera che abbiano buon senso i giudici». Per comprendere il percorso dei giudici d’Appello, bisognerà attendere le motivazioni. Già in primo grado, però, era emersa una doppia narrazione: con Roggero nel ruolo di vittima durante la rapina e di aggressore fuori dal negozio. La moglie ha riferito che uno dei rapinatori, «soggetti con plurimi precedenti penali per reati contro il patrimonio» riconoscono i giudici, dopo averla colpita al volto le puntava il coltello al collo e minacciava di uccidere tutti. Alla figlia erano stati legati i polsi dietro la schiena. Roggero ha riferito che il rapinatore gli ha puntato la pistola in faccia, urlando «ti ammazzo». Entrano, lo afferrano, lo spingono verso il registratore di cassa. Lo portano nella zona ripresa dalle telecamere e, mentre afferra il rotolo dei gioielli, l’altro continua a strattonarlo. Poi lo spostano nell’ufficio in cui c’è la cassaforte. Lui ha ancora l’arma puntata alla testa. La scena non dura pochi secondi. Va avanti finché il gioielliere, approfittando di un attimo di distrazione, riesce a schiacciare il pulsante dell’allarme antirapina. Uno dei malviventi se ne accorge e torna verso la cassa. Roggero sente di nuovo la moglie urlare. Riesce a prendere la sua pistola e a spostarsi nel retro. Un gesto istintivo, dettato, dirà in aula, dalla convinzione che la moglie fosse stata presa in ostaggio. I giudici evidenziano anche che la famiglia «è stata sicuramente vittima di una rapina connotata da uso di armi e anche dai citati atti di violenza fisica; condotte che hanno sicuramente generato una forte e comprensibile paura nelle vittime». Fuori c’era un’auto parcheggiata. Ed è a questo punto che la Corte introduce un teorema: quando i rapinatori escono dal negozio, con armi e refurtiva, il pericolo svanisce. Quando si tratta di qualificare la reazione di Roggero all’esterno, i rapinatori diventano di colpo soggetti in fuga, innocui e vulnerabili. Per i giudici, «ha deliberatamente deciso di affrontare i rapinatori con il precipuo fine di assicurarli, lui, alla giustizia, o meglio alla sua giustizia privata, con immediata “esecuzione” della pena nei confronti dei colpevoli». La prova? Da ricercare, secondo i giudici, in alcune interviste, non perfettamente allineate alla ricostruzione giudiziaria, rilasciate dal gioielliere a giornali e tv dopo i fatti. L’azione, in primo grado, è stata giudicata punibile con 17 anni di carcere. Ora lo sconto di pena: 14 anni e 9 mesi (più 3 milioni di euro richiesti dalle parti offese). «Praticamente un ergastolo per una persona di 72 anni», aveva detto Roggero in udienza. E a Fuori dal coro ha aggiunto: «C’è qualcosa che non quadra».
Continua a leggereRiduci
Maurizio Landini (Ansa)
Al capo della Uil non è giunta neppure una lettera di scuse. Agli aggrediti neppure una manifestazione di solidarietà dai sindacalisti rossi. Ufficialmente è come se l’aggressione nei confronti dei colleghi sindacalisti da parte di quelli dei metalmeccanici della Cgil non fosse mai avvenuta. Eppure, molti giornali ne hanno parlato anche perché gli aggrediti sono finiti in ospedale ed è anche stata presentata una denuncia, affinché il caso non finisca nel dimenticatoio.
Tuttavia, nonostante quanto accaduto sia assai grave e riguardi la vertenza per la sopravvivenza dell’Ilva, ovvero della più grande acciaieria italiana che - grazie all’inchiesta della magistratura - rischia di fallire, Landini di fatto non ha trovato il tempo di commentare. E neppure di prendere le distanze dai suoi. Il che significa solo una cosa, ovvero che il leader del principale sindacato italiano, per convenienza politica, ha imboccato una deriva pericolosa, che rischia di consegnare alcune frange della Cgil all’estremismo più violento.
Su queste pagine abbiamo più volte criticato il linguaggio radicale del segretario della Cgil. Non parliamo solo delle parole usate contro Giorgia Meloni, che venne definita una «cortigiana» di Donald Trump. Tempo fa Landini chiamò gli italiani alla «rivolta sociale», che in un Paese devastato da un terrorismo che ha provocato centinaia di morti non può certo essere lasciato passare come un invito a un pranzo di gala. «Rivolta» è un sostantivo femminile che sintetizza un «moto collettivo e violento di ribellione contro l’ordine costituito». Il significato non lascia dubbi: si parla di insurrezione, sommossa, rivoluzione. Insomma, si tratta di una chiamata se non alle armi quantomeno alla ribellione. Landini in pratica reclama una sollevazione popolare, con le conseguenze che si possono immaginare. Dunque, vedere un manipolo di squadristi rossi che dà la caccia a sindacalisti che su una vertenza la pensano in maniera diversa, suscita preoccupazione.
Pierpaolo Bombardieri, capo della Uil, ha parlato di metodi «terroristici», una definizione che mette i brividi soprattutto in un momento in cui l’Italia è percorsa da manifestazioni ed espressioni che proprio non si possono definire pacifiche. Mentre alla fiera di Roma dedicata ai libri si discute della presenza di un singolo editore non allineato con il pensiero di sinistra (per questo lo si vorrebbe cacciare), a Pietrasanta è comparso un invito a sparare a Giorgia, con la stella a 5 punte delle Br, e ovviamente non si parlava della cantante. Si capisce che sia nel linguaggio sia nelle manifestazioni è in atto un cambiamento e un inasprimento della lotta politica.
A questo punto Landini deve solo decidere da che parte stare. Se di qua o di là. Se con chi difende la democrazia e la diversità di opinione o con chi usa metodi violenti per affermare le proprie idee. Il silenzio non si addice a chi denuncia ogni giorno il ritorno del fascismo. Qui l’unico pericolo viene da sinistra. È a sinistra che si invoca la rivolta. Se Landini non vuole finire nella schiera dei cattivi maestri ha il dovere di parlare e di denunciare chi riesuma lo squadrismo. Con i compagni che sbagliano sappiamo tutti come è finita.
Continua a leggereRiduci