2021-04-10
Spagna, Svizzera e Svezia insegnano. Il lockdown non è l’unica possibilità
A Madrid piangono meno morti di Milano, anche se la città è piena di gente. Gli elvetici sciano, preservano il turismo e frenano il contagio. Stoccolma punta sull’immunità di gregge. Roma potrebbe prendere appuntiLockdown, ne è valsa la pena? A guardare qualità della vita e numeri, sembra proprio di no. Gli svizzeri hanno sciato liberamente tutta la stagione e non c’è stata alcuna esplosione del Covid-19. In Spagna, sono già pronti per accogliere tutti i turisti che non verranno da noi e intere aree di Madrid, dove tutto è rimasto aperto, hanno registrato molti meno decessi di Milano. In Svezia, dove di pandemia parla solo l’epidemiologo capo del governo, hanno lasciato tutto aperto e continuano ad avere meno morti dell’Italia. Fosse anche un pareggio, visto il crollo del Pil e l’impennata di disturbi psichiatrici tra i ragazzi chiusi in casa, varrebbe comunque la pena di farsi venire qualche dubbio sulla reale possibilità di contagi all’aperto e sulle chiusure di scuole ed esercizi pubblici. Per carità, andare in montagna non è fondamentale come andare al mare, almeno nella testa del ministro Roberto Speranza e dell’ex premier Giuseppe Conte, che in un’altra vita dovevano essere dei pediatri del secolo scorso. In estate hanno dato semaforo verde alla stagione degli ombrelloni (e delle discoteche), per poi chiudere tutto l’arco alpino ai primi fiocchi di neve. Il risultato è stato più che scontato. Migliaia di piemontesi, lombardi e veneti sono andati a sciare in Svizzera. Mentre a Courmayeur, in Valle d’Aosta, il piazzale delle funivie è ancora pieno di ginevrini che vengono a fare sci alpinismo sul versante più innevato del Bianco. Lo stesso a Cervinia, dove gli svizzeri salgono con l’elicottero da Zermatt e si danno di gomito per tutti quegli italiani che si sono iscritti agli sci club e non sembrano proprio dei campioni. Ora, a impianti chiusi anche in Svizzera, è arrivato il bilancio della stagione. Ticinonline segnala che nelle ultime due settimane i nuovi contagi in Svizzera sono stati 274 ogni 100.000 abitanti, contro i 737 della Francia (che ha chiuso tutto) e i 447 dell’Italia. Il giornale della Svizzera italiana riporta la soddisfazione di Pascal Jenny, direttore turistico di Arosa: «Il coraggio del governo retico di non cedere alle pressioni dall’estero ha dato i suoi frutti». Insomma, i piani di protezione adottati dai vari comprensori sembrano aver funzionato e consentono alla Svizzera di pianificare meglio la prossima stagione. Del resto, pochi sport come lo sci sono per definizione «all’aria aperta», dove in fondo basta limitare l’uso delle telecabine. E il tema dei contagi all’aperto è sempre caldo, almeno fuori dall’Italia e dalle sue fobie indotte. In Svezia, anziché accusare chiunque abbia dei dubbi di essere un «no mask», continuano a puntare sulla convinzione che il virus debba sfogarsi e che la naturale immunità di gregge di giovani e adulti sia, insieme ai vaccini, sia il miglior sistema per fronteggiare la pandemia cinese. Senza suicidarsi economicamente. Insomma, basterebbe tenere in casa gli anziani e i soggetti fragili, come direbbe il buon senso. Ma la Svezia è uno dei Paesi più giovani d’Europa, mentre l’Italia ha l’età media più alta. Negli ultimi giorni, a Stoccolma hanno mediamente 15 morti al giorno, contro i 430 dell’Italia. Visto che loro sono 10,3 milioni e noi siamo 60, è come se avessero 90 decessi: sono quasi un quinto dell’Italia. E se da noi impazza la discussione da bar sport, con il circo dei virologi in tv, in Svezia il governo ha dato piena autonomia all’epidemiologo Anders Tegnell, a capo dell’Agenzia di sanità, che parla e decide per tutti. Salvo, ovviamente, essere giudicato dai fatti. Che non sono né i contagi, né i «positivi», dati incerti quanto manipolabili, ma i morti e le terapie intensive. Di Tegnell, sono note anche le posizioni sulla mascherina: «Non ci sono prove che serva a qualcosa», ha detto ad aprile scorso. Da noi, non ci sono prove che ammazzi. Certo, per evitare i confronti, un governo può anche decidere che chi va all’estero a fare ciò che in Italia non si può fare poi sia «punito» al ritorno con tamponi e quarantene. Ma con Pil che nel 2020 è sceso dell’8,9%, anche l’Italia comincia a guardare che cosa succede oltre confine. Dopo le prove generali di Pasqua, le vendite e le prenotazioni per la stagione turistica sono già partite in tutta Europa, con Grecia, Spagna e Gran Bretagna che stanno sventolando le loro mete «Covid free». Ma a parte le isole e le spiagge, comincia a essere imbarazzante anche il confronto tra metropoli. Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato un raffronto molto analitico tra Madrid, Milano e la Lombardia. Da ottobre, la Capitale spagnola è rimasta sostanzialmente aperta e non sono stati richiesti gran sacrifici a studenti, negozianti e ristoratori. Lo scorso primo ottobre, la Lombardia registrava 107 nuovi positivi e 5 morti al giorno, contro i 952 positivi e i 50 morti di Madrid. Ma a Madrid si sono limitati a chiudere singoli quartieri di volta in volta, a chiedere l’uso delle mascherine e a mettere il coprifuoco alle 23. Scuole, cinema, teatri, ristoranti e bar sono rimasti sempre aperti, anche di sera. Se ora si guarda com’è andata la stagione fredda, si scopre che «tra ottobre e marzo Milano ha avuto la media di 6.200 positivi ogni 100.000 abitanti, Madrid qualcuno meno, 5.800». Mentre i morti, secondo il quotidiano milanese, in Lombardia sono stati 136 ogni 100.000 abitanti, a Madrid 98». In Spagna, evidentemente, movida non è ancora una parolaccia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)