2025-07-20
Sovranità sanitaria ancora a rischio
Il rifiuto alla modifica del Regolamento dell’Oms è il segnale che l’Italia vuole essere autonoma nella gestione delle emergenze. Ma occhio: l’Ue pretende la regia.Il recente rigetto da parte del governo degli emendamenti proposti al Regolamento sanitario internazionale (Rsi) dell’Oms rappresenta, sul piano politico, un atto di resistenza meritevole di apprezzamento. In un contesto dove le organizzazioni sovranazionali spingono per un incremento delle proprie competenze in materia sanitaria, a scapito dell’autonomia decisionale degli Stati, la posizione assunta dall’Italia riafferma un principio essenziale: la salute pubblica, quale espressione della sovranità nazionale, deve essere disciplinata nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti e del principio democratico. Gli emendamenti in questione miravano a modificare radicalmente la natura del Rsi, attribuendo all’Oms prerogative vincolanti nella gestione delle emergenze sanitarie, anche in assenza del consenso statale. In particolare, si prevedeva la possibilità per il direttore generale di dichiarare unilateralmente emergenze sanitarie pubbliche di rilevanza internazionale, adottando misure vincolanti per gli Stati membri. Queste avrebbero incluso, tra le altre cose, obblighi di raccolta e condivisione di dati sensibili, raccomandazioni obbligatorie in materia di vaccinazione, restrizioni agli spostamenti e limitazioni alla libertà personale anche in deroga alle normative nazionali. Inoltre, le nuove definizioni di «emergenza» e di «potenziale minaccia sanitaria» estendevano pericolosamente la discrezionalità dell’Oms ponendo le basi per un controllo tecnocratico globale delle politiche sanitarie. Tuttavia, il «no» del governo non può ritenersi una vittoria definitiva. Infatti, l’intero impianto normativo del Rsi, adottato ai sensi dell’art. 21 dello statuto dell’Oms, si basa su un meccanismo che consente modifiche vincolanti mediante il principio del silenzio-assenso. Gli emendamenti, se non espressamente rigettati entro un certo termine, entrano automaticamente in vigore. Il rifiuto espresso da parte dell’esecutivo Meloni, pur rappresentando un atto giuridicamente efficace, non esclude il ripresentarsi ciclico di proposte simili, né neutralizza la pressione normativa internazionale volta a uniformare le risposte sanitarie sotto un’unica regia globale. A rendere ancora più fragile questa posizione vi è un ulteriore e insidioso fattore: l’Unione europea. Sebbene l’art. 168 del Trattato sul funzionamento dell’Ue riconosca che la politica sanitaria resta, in linea di principio, competenza degli Stati membri, la stessa Unione esercita una competenza concorrente in materia di protezione della salute pubblica limitatamente a funzioni di coordinamento, sostegno e complemento. Proprio attraverso questa competenza di coordinamento, la Ue potrebbe tentare di far «rientrare dalla finestra» ciò che il governo italiano ha fatto uscire dalla porta. L’esperienza pandemica ha già mostrato come Bruxelles possa agire, sebbene indirettamente, nell’imporre linee guida, standard comuni, obblighi informativi e sistemi di interoperabilità dei dati sanitari, sfruttando strumenti quali le raccomandazioni della Commissione, i programmi quadro (come EU4Health) e le agenzie tecniche (come l’Hera, ossia l’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie). Così l’Unione può esercitare un’influenza normativa e operativa significativa, determinando indirettamente le scelte degli Stati membri e condizionandone le politiche sanitarie nazionali. Inoltre, la giurisprudenza della Corte di giustizia europea ha teso, nel tempo, ad ampliare il perimetro della competenza di coordinamento sanitaria, legandola alle libertà fondamentali del mercato interno, alla libera circolazione delle persone e alla tutela dei consumatori. In tal modo, misure sanitarie adottate a livello europeo possono essere giustificate come funzionali alla protezione del mercato e alla prevenzione di crisi transfrontaliere, ponendo così limiti ulteriori all’autonomia legislativa statale, in nome di una visione funzionalista dell’integrazione europea. Sul piano tecnico-giuridico, dunque, la mancata adesione agli emendamenti dell’Oms, pur corretta e legittima, non risolve il problema di fondo: la progressiva erosione ]della sovranità normativa nazionale in ambito sanitario, che rischia di essere compressa non solo da organismi internazionali, ma anche, e forse in modo più subdolo, dalle istituzioni europee, in forza di un’interpretazione espansiva delle proprie competenze di coordinamento. Senza un’effettiva presa di posizione da parte degli Stati membri, volta a riaffermare in sede europea il primato delle Costituzioni nazionali nelle materie che toccano direttamente i diritti fondamentali, la vittoria contro l’Oms rischia di trasformarsi in un arretramento strategico sul lungo periodo. Il diritto alla salute rischia di essere progressivamente affidato a organismi che non rispondono direttamente alla sovranità popolare, in una logica tecnocratica e post-democratica. È questo il vero pericolo: non tanto la singola proposta rigettata, quanto l’architettura istituzionale che consente di riproporla ciclicamente, finché, per logoramento o per imposizione indiretta, non venga comunque accolta.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)