2021-12-02
Sotto l’albero di Natale l’Ue ci infila l’obbligo vaccinale che vuole Berlino
Per Ursula von der Leyen «in Europa è il momento di discuterne». Guarda caso proprio adesso che la Germania lo valuta cercando una copertura internazionale. L’impegno dell’Unione a non discriminare è acqua passata.Che si fa per Natale (anzi «per le feste», in modo da non turbare il lessico «inclusivo» europeo)? Una bella norma sull’obbligo vaccinale, che straccerebbe e contraddirebbe buona parte delle cose solennemente dette e scritte dalla stessa Ue nell’ultimo semestre. Ma ora le carte in tavola sono improvvisamente cambiate. E come mai? Elementare, Watson: perché la situazione sanitaria tedesca è in netto e rapidissimo peggioramento, e a Berlino stanno cercando il modo di ottenere ciò che vogliono (cioè norme draconiane) senza assumersi il costo politico di una decisione nazionale diretta, ma simulando di farsi imporre la scelta da Bruxelles. «Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia», sussurrava l’avvocato Gianni Agnelli. La formula, riveduta e corretta in salsa tedesca, suonerebbe così: «Quello che va bene alla Germania dovrà andar bene anche al resto d’Europa». E così, dopo mille occasioni in cui il vincolo esterno è scattato come frusta per punire qualcun altro, stavolta lo schema conoscerebbe una curiosa variante: il vincolo esterno per imporre a tutti gli altri ciò che Berlino ritiene utile a sé in un dato momento. E in effetti, se si considera la sequenza di dichiarazioni delle ultime 48 ore, c’è una triangolazione impressionante. Scena uno. Parla Steffen Seibert, il portavoce di Angela Merkel: «La Germania si prepara a discutere in Parlamento l’obbligo vaccinale generalizzato per il Covid e va verso una sorta di lockdown per non vaccinati». Scena due. La palla viene raccolta e rilanciata dall’ormai quasi certo successore di Angela Merkel, l’attuale ministro delle Finanze e leader socialdemocratico Olaf Scholz: «È importante stabilire un obbligo generalizzato alla vaccinazione».Scena tre (il giorno dopo, cioè ieri pomeriggio, in conferenza stampa). Entra in campo Ursula von der Leyen, già ministro merkeliano e ora presidente tedesca della Commissione Ue: «È ora che l’Unione europea inizi a discutere dell’opportunità di introdurre il vaccino obbligatorio contro il Covid». Furbescamente, la von der Leyen ha lasciato cadere la bomba parlando di Atene e non di Berlino: la tedesca ha infatti risposto a una domanda sulle possibili sanzioni che la Grecia potrebbe introdurre per gli over 60 non vaccinati. Così, la tedesca ha fatto presente che ci sono 150 milioni di persone tuttora non inoculate, e ha aggiunto: imporre l’obbligo «è assoluta competenza degli Stati membri. Su questo non spetta a me dare alcuna raccomandazione». Ma subito dopo ha lasciato a verbale: «Se mi chiedete qual è la mia posizione personale, due o tre anni fa non avrei mai pensato di vedere quello a cui assistiamo ora. Abbiamo una pandemia orribile, abbiamo vaccini che salvano la vita, ma non vengono usati in modo adeguato dappertutto. Pertanto, questo è un enorme costo sanitario». Conclusione: «Penso che sia comprensibile e appropriato condurre questa discussione ora su come possiamo incoraggiare e potenzialmente pensare alla vaccinazione obbligatoria all’interno dell’Ue. Serve un approccio comune, ma penso che sia una discussione che deve essere fatta».E qui arriva il primo avvertimento: che vuol dire «approccio comune»? Dobbiamo attenderci convocazioni urgenti dei rappresentanti dei governi in sede di Consiglio europeo? Oppure la ripresa della questione carsica (che di tanto in tanto scompare e riappare) delle maggiori competenze Ue in materia sanitaria? La strada scelta non è ancora chiara: la prima sarebbe intergovernativa, la seconda più comunitaria. Ma non è escluso un terzo modo per arrivare allo stesso obiettivo: che qualche Stato si offra come battistrada, e che poi (in modo apparentemente «spontaneo») scatti il processo imitativo, replicando il meccanismo in tutta Europa o quasi. Peccato che tutto ciò contrasti con quello che la stessa Ue aveva a più riprese affermato a chiare lettere, ad esempio quando fu varato il green pass europeo (che tra l’altro, giova ricordarlo, nasceva non per vietare ma per favorire la circolazione delle persone, risparmiando ai viaggiatori il labirinto delle quarantene). All’epoca la normativa Ue spiegò che era «necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate o hanno scelto di non esserlo». Non solo: una risoluzione del Consiglio d’Europa invitava l’Ue e gli Stati ad assicurare che i cittadini fossero «informati del fatto che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno può essere sottoposto a una pressione politica, sociale o di altro genere affinché si vaccini se non desidera farlo, e che nessuno sia discriminato» in caso di scelte diverse.Anche in sede politica, ancora l’estate scorsa, la Merkel in persona, dopo la decisione francese del pass e dell’obbligo per il personale sanitario, disse: «Non stiamo programmando di rendere la vaccinazione anti Covid obbligatoria». E uno dei portavoce della Commissione aggiunse: «Le campagne vaccinali sono competenze nazionali, quindi se siano obbligatorie o meno spetta agli Stati membri deciderlo». Ma ora è scattata l’inversione a U. Come si dice «contrordine, compagni» in tedesco?
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