2019-09-02
Davide Barillari: «Sono nato 5s e non morirò Pd. In piazza contro il Conte bis»
Il grillino dissidente: «Già penso alle schifezze che ci costringeranno ad approvare. Quello di Zingaretti non è un partito ma un sistema di potere che compra il consenso».«Se fanno un governo scendiamo in piazza. Mai con il Pd». Mentre prosegue, tra «stop and go», la trattativa per il matrimonio giallorosso, i frondisti stellati si mobilitano. Davide Barillari è uno dei girotondini più scatenati. Consigliere regionale 5 stelle nel Lazio, 45 anni, un passato in Rifondazione, a un passo dalla ribellione: «Piuttosto che lavorare con Nicola Zingaretti lascio la politica». Sui social lo ha scritto a caratteri cubitali: «Nasco 5 stelle e non morirò con il Pd. Non fatelo».Perché non si fida del partito democratico? «Perché li conosco. A Roma, in Consiglio regionale, vivo il Pd sulla mia pelle da sei anni: ne combatto il malaffare e il clientelismo. Non dimentico che è il partito di Mafia capitale e di Bibbiano. Non dimentico i 1.000 esponenti democratici arrestati negli ultimi 7 anni. Conosco bene anche il presidente Zingaretti, che in Regione dispone di un potere assoluto gestito a seconda della convenienza. Proprio per questo non mi fiderò mai. Né di lui, né tantomeno di un contratto di governo con il suo partito».Un'alleanza contro natura?«Mettiamola così: io sono critico su grandi opere, inceneritori, vaccini. Che cosa ci diremo quando, intorno a un tavolo, bisognerà decidere sulla Tav? Finiremo per incastrarci. Già penso alle schifezze che ci chiederanno di approvare, dal Jobs act ai finanziamenti alle banche. Ci rendiamo conto che in cambio di questa alleanza saremo costretti ad approvare decreti che cambieranno l'identità dei 5 stelle? Abbiamo fatto una gran fatica a digerire il governo gialloverde: ma con il Pd sarà molto peggio». Preferiva la Lega?«Questo non lo dico altrimenti i colleghi mi danno del leghista. Se non altro la Lega nacque come forza antisistema, salvo poi perdere la sua identità originaria. Il Pd invece non è un partito: è un sistema di potere. È entrato nella magistratura, nell'editoria, nella scuola. Sicuramente è molto più pericoloso della Lega. Certo non amo Matteo Salvini, ma non credo sia un pericolo per la democrazia. Il Pd invece è una dittatura democratica. Credetemi: nel Lazio la giunta Zingaretti stravolge quotidianamente leggi e regolamenti per fregare i cittadini». E il segretario del Pd è parte integrante di questo sistema?«Ho visto con i miei occhi che cosa ha fatto passare Zingaretti in Consiglio regionale. Personalmente mi occupo di sanità: ho visto come sono stati nominati i direttori delle Asl, la deriva clientelare. Il modello Pd è ben noto: privatizziamo gli ospedali e tagliamo i posti letto. E il presidente è coinvolto direttamente in certe decisioni scellerate». Anche sull'immigrazione?«Salvini lo conoscete: ha fatto leva sulla paura dell'invasione migratoria per raccogliere consenso. Il partito democratico, invece, a parole si batte per l'accoglienza, salvo poi sfruttare fisicamente i migranti con un sistema fondato sul business della cooperative e delle Ong». Il Pd staccherà la spina al governo, esattamente come ha fatto Matteo Salvini?«Di questo non sono sicuro. Prendo sempre ad esempio la mia regione: nel Lazio la legislatura è nata senza maggioranza. Abbiamo provato a trattare con il Pd per intavolare una collaborazione. Nel frattempo, Zingaretti ha comprato due consiglieri regionali a destra, e ci ha scaricato ancor prima di cominciare. Questo è il suo modo di operare: ha messo in atto una compravendita di consiglieri a livello regionale, e lo farà anche su scala nazionale, se ce ne sarà bisogno». E adesso voi malpancisti come vi muoverete? Immagino che, all'alba del governo giallorosso, non ci sia ancora una direzione.«A Roma ci facciamo una sola domanda: da domani faremo ancora opposizione al Pd, o dovremo svegliarci improvvisamente a fianco della maggioranza? Io che quotidianamente urlavo contro Zingaretti, che mi ha anche denunciato per diffamazione, adesso che cosa dovrei fare?».Appunto. Visto che sta contestando i vertici del suo partito, perché non se ne va?«Sono pronto a lasciare, sto decidendo in queste ore. La Lega mi ha offerto, cortesemente, di passare con loro. E io altrettanto cortesemente ho rifiutato. Sono a un bivio: potrei restare per diventare la spina nel fianco nel movimento, oppure lasciare la politica. Torno al mio lavoro di informatico. In tutti questi anni alla Pisana, in quella vasca di squali, ho visto cose che mi hanno umanamente distrutto». In queste ore ha ricevuto pressioni dall'alto?«Ho sentito tanti big, anche nazionali, che mi ripetono: aspetta, combatti da dentro. Mi dicono che se sto buono magari otterrò qualcosa in Regione. Se invece esagero e continuo a dare del buffone a Zingaretti, le pratiche che sto seguendo in aula verranno bocciate. Insomma, non c'è più politica, non si pensa più alle necessità dei cittadini. C'è solo immagine e strategia». Lei ha scritto che ci sono «tanti portavoce» del Movimento pronti a lasciare. Quanti sarebbero?«Ci sono decine di persone, a tutti livelli, che mi contattano per chiedermi: e adesso che facciamo? Sono resistenze fortissime, ancora sottovalutate. Ci sono interi Consigli comunali intenzionati a dimettersi. Faremo un incontro a Bologna, nei prossimi giorni, per capire quanto è profondo il malcontento». Un inizio di scissione? «Non vado in un altro partito, e penso non sia giusto parlare di scissione. Occorre riformare profondamente il Movimento, incanalare il malcontento e ritornare agli antichi valori. Ho visto troppi colleghi abbandonare l'impegno politico, in questi mesi, segnati dalla delusione. Le decisioni calate dall'alto non le digeriamo più». È un'accusa a Beppe Grillo e Davide Casaleggio?«Restano punti di riferimento del Movimento. Ma sono sicuro che Gian Roberto Casaleggio non avrebbe mai accettato un'alleanza con il Pd. Ciò che sta avvenendo in questi giorni è un tradimento del suo insegnamento». Avranno fatto i loro calcoli. Se si torna alle urne, i 5 stelle ne uscirebbero malconci. «Non bisogna avere paura del voto degli italiani. Se si lavora bene, gli elettori ti premiano, altrimenti ti bocciano. E se ti bocciano, torniamo a fare opposizione per cinque anni, così ne approfittiamo per riflettere e ripartire. E poi non si può mai dire».Cioè?«Magari il voto non ci punirebbe così tanto, magari la Lega si sgonfierebbe più di noi. La verità è che nessuno può anticipare gli scenari. E comunque, ripeto: è sbagliato il principio. Non possiamo andare a votare solo quando i sondaggi ce lo consentono». Lamenta una scarsa democrazia nel movimento? «Troppo potere ai vertici nazionali. La parola deve essere restituita alla base degli iscritti. Siamo un movimento fondato sulla democrazia diretta? Ebbene, la base andava consultata a ogni passaggio. Invece non siamo stati coinvolti: anche la rottura con Salvini doveva essere frutto di consultazione. Invece…».Però vi conterete su Rousseau.«Sì, ma sarà comunque troppo tardi. A proposito: spero che il voto sulla piattaforma sia libero e consapevole. Il modo più chiaro e trasparente per formulare il quesito è il seguente: “Siamo favorevoli a un contratto di governo con il Pd?". Niente giri di parole. Se il quesito fosse questo, penso che molti affosserebbero il nuovo governo». Con chi ha rapporti più stretti nel Movimento?«Sento spesso Nicola Morra, il sindaco Virginia Raggi, Vito Crimi e Alessandro Di Battista, che secondo me è la persona che potrebbe tirarci fuori dalla palude in cui siamo finiti». Dunque la leadership di Luigi Di Maio è arrivata al capolinea?«Non contesto Di Maio come persona. Temo però che sia coinvolto in questa spartizione di ministri e poltrone, e costretto ad accettare come ministri alcuni personaggi che non avremmo mai desiderato. Inoltre, non è accettabile un leader che assomma il ruolo di capo politico a quello di esponente di governo». Serve un ricambio?«Un cambio di leadership adesso non sarebbe gestibile. Certamente in futuro sì, ma tutto il Movimento dovrà cambiare, aprendosi a una partecipazione più estesa». È pronto a scendere in piazza contro il nuovo governo?«Sì. Magari non la stessa piazza di Salvini, ma sì. Al fianco dei cittadini. Sono convinto che la politica dei due forni non sia salutare per noi. Se leggi elettorali sbagliate ci condannano a scegliere il meno peggio, allora è meglio tornare nelle piazze».
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)