2020-03-06
Sono nati i frontalieri della messa
Molti cattolici lombardi non si accontentano delle celebrazioni in tv. E per partecipare all'eucarestia la domenica vanno in Svizzera in piccoli gruppi: «La fede non ha dogane».«Io vado alle 18 alla chiesa di San Vitale a Chiasso». La manina con un ok chiude il messaggio, oggi la fede viaggia anche su Whatsapp. E se le diocesi italiane chiudono le chiese contro il virus, se gli alti prelati invitano a dedicarsi alle funzioni televisive, i cattolici lombardi vanno a messa a Chiasso. C'è qualcosa della poetica di Alberto Arbasino nell'annuncio, ma è una semplice constatazione: ogni giorno fedeli comaschi e anche milanesi si trasferiscono oltre confine come frontalieri del Padre Nostro. Come gli spalloni che portavano le merci di contrabbando oltre la frontiera, anche se oggi ciò che li muove è la fede. Sono alla ricerca di ciò che non è replicabile dentro uno schermo: la devozione di chi crede. E di chi sa che parlare con Dio aiuta proprio in questi momenti di smarrimento.L'umanità che si trasferisce in Canton Ticino per la messa non è numerosa (al massimo 50 persone alla spicciolata) ed è variegata. C'è il top manager che si alza all'alba, partecipa alla funzione delle 9 nella chiesa di Fatima e poi dirige l'autista su Milano. C'è un primario dell'ospedale di Cantù, c'è il dirigente della multinazionale che fa la spola con l'estremo Oriente, ci sono alcuni insegnanti. C'è un mondo che si organizza, condivide gli orari delle messe nelle parrocchiali ticinesi e assolve a un compito irrinunciabile, la vicinanza a Cristo. Quella stessa che a tre chilometri al di qua del confine, a Como, è vietata nella sua manifestazione più classica poiché le chiese sono chiuse.«La fede non ha dogane», spiega un'imprenditrice comasca che due volte la settimana sconfina per pregare dal vivo a Morbio e a Mendrisio. «Per gli atei devoti è sufficiente il pensiero. Anzi, le chiese chiuse tolgono loro un fastidio. Ma il vero cattolico praticante ha bisogno della messa e della comunione. Non è come togliere il dessert da una dieta. Ed è triste che certi preti non se lo ricordino più». Lo smart work in religione non funziona e allora, nell'era del virus, ci si organizza come si può. C'è un monastero in Brianza nel quale si prega insieme, c'è una chiesa a Como in cui si celebra la messa a porte chiuse (che in realtà restano aperte per pochi intimi). L'assenza di spiritualità rende queste settimane ancora più dure, più aride. E lo zelo con cui la Chiesa secolarizzata e progressista di papa Francesco si appiattisce su ogni richiesta del governo di sinistra, crea ulteriore turbamento nei fedeli.Le precauzioni sono rispettate, anche in Svizzera corre l'obbligo di impartire l'eucaristia nelle mani del comunicando ed è stata sospesa la stretta di mano come segno di pace. All'inizio sembrava che potesse essere sostituita con un più onirico «sguardo di pace» (cautela adottata dalla diocesi di Bergamo in gennaio nel basso Iseo durante l'epidemia di meningite), ma poi si è deciso di tagliare corto. Rimane il problema delle distanze perché - Italia o Svizzera che sia - talvolta nei banchi non c'è un metro libero tra un partecipante alla messa e l'altro.«Cogliamo il valore di ciò che avevamo solo quando non c'è più», commenta un assiduo della trasferta a Chiasso. C'era un tempo in cui i comaschi facevano il percorso per il pieno di carburante e di cioccolata, oggi per il pieno di spiritualità. La soluzione sopperisce a un'assenza che somiglia a una sconfitta e alla quale non tutti si arrendono con passiva rassegnazione. In alcune diocesi si sta ragionando sull'allargamento a più ampie fasce di popolazione (non soltanto agli anziani e ai malati) dei ministri dell'eucaristica, vale a dire quei battezzati laici con facoltà di impartire la comunione. Per ora soltanto proposte, mentre il coronavirus imperversa e la regola del «chiusi in casa» diventa stringente.La trasferta svizzera dei cattolici comaschi potrebbe avere anche ricadute politiche. A Chiasso il clima elettorale si sta scaldando in vista delle elezioni del 5 aprile e i frontalieri italiani in missione per partecipare alla messa costituiscono una variabile tutta da considerare da parte di chi vorrebbe restrizioni al flusso, peraltro indispensabile, di lavoratori. Con un insegnamento che vale a ogni latitudine: non basta chiudere le chiese per fermare una preghiera.