2018-08-08
Solo una mossa del Cav può ricucire Forza Italia
Marcello Foa resta il candidato unico dei gialloblù per la Rai. E sui social l'elettorato azzurro mostra di non condividere il «niet» dei colonnelli azzurri nei suoi confronti. Giorgio Napolitano glissa sulla telefonata ad Antonio Tajani: «Non mi occupo di politica contingente, riposo».Il vertice della Vigilanza scrive al cda: «Nuovo nome per la presidenza». Oggi la risposta del Consiglio. L'ad Fabrizio Salini fa sapere che il giornalista resta consigliere anziano. Luigi Di Maio: «Senza intesa si continua così».Uno stallo figlio della riforma Renzi. L'ex premier modificò la legge immaginando di controllare l'azienda per anni ma scordò di inserire una via d'uscita in caso di conflitto tra la governance e l'organo di controllo.Lo speciale contiene tre articoliSembrano due corazzieri. Forti del consenso popolare, Matteo Salvini e Luigi Di Maio affrontano la prima vera tempesta politica sul governo rimanendo immobili a protezione delle loro scelte e di un'idea di Rai fondamentalmente diversa rispetto al passato, costellato di mani sudate e di accordi sottobanco fra gruppi di potere. Per loro Marcello Foa rimane l'unico presidente possibile. Lo hanno proposto, lo hanno visto cadere in trappola e adesso continuano a difenderlo ergendolo a simbolo di un principio. Così, alla lettera della commissione di Vigilanza (firmata dal presidente Alberto Barachini, Forza Italia) in cui si chiede al consiglio di amministrazione di occuparsi solo di affari correnti e lo si sprona a trovare al più presto un nuovo candidato, replicano senza mezzi termini. E vanno ben oltre la diplomatica risposta ufficiale dell'amministratore delegato Fabrizio Salini (sintesi: le vostre preoccupazioni sono anche le nostre). Il leader dei 5 stelle sottolinea che «il cda è pienamente operativo». E aggiunge sibillino: «Bisogna eleggere il presidente della Rai, la legge dice che serve un'intesa tra i gruppi e fino a quando non c'è questa intesa non c'è un presidente. Il problema è che noi non stiamo cedendo alla lottizzazione politica». Come a dire: il centrodestra si è spaccato sul nome, il centrodestra si ricomponga sullo stesso nome.Ancora più esplicita la posizione della Lega, probabilmente per allontanare le voci di un possibile sganciamento da Foa che in queste ore stanno diventando la colonna sonora della partita. È il portavoce di Salvini, Alessandro Morelli, a prendere la parola: «Va bene, non c'è fretta visto che siamo in periodo agostano. Così tutti hanno la possibilità di ragionare sulle scelte fatte e da fare» spiega al sito Affaritaliani. «La Lega continua a indicare Foa, non cambiamo nome. Ci vuole un voto della Vigilanza, ovvio, e sono convinto che la scelta sbagliata partita dall'alto di Forza Italia in questo periodo possa essere rivalutata grazie alla forza che arriva dal basso di quel partito, indicando Foa come miglior presidente». Poi Morelli scende nel dettaglio e conferma ciò che La Verità aveva anticipato nella ricostruzione di ieri: «Antonio Tajani, Gianni Letta e Mariastella Gelmini hanno compiuto una scelta e preso una direzione non condivisa dalla base di Forza Italia. E basta leggere i social di quel partito o i commenti su ilgiornale.it per capirlo. Il loro elettorato è a favore di Foa, un giornalista liberale. Il fuoco amico posto in essere dai nomi di esponenti di Forza Italia che ho citato è del tutto incomprensibile».Due corazzieri alla vigilia di un cda apparentemente di routine - quello di oggi con un ordine del giorno conservativo come gli highlight di Novantesimo minuto e il destino della fiction Un posto al sole -, che ritengono di non potersi permettere una sconfitta sotto l'ombrellone, periodo in cui in Rai storicamente si compiono i blitz più sorprendenti, nei quali scompaiono poltrone e ne compaiono altre. Salvini e Di Maio mostrano di non avere fretta, di voler scollinare oltre le ferie agostane. E per evitare altri agguati hanno intenzione di approfondire il dossier Rai in tutte le sue sfaccettature, compresa quella della ricca torta pubblicitaria, i sei miliardi suddivisi con i network privati nazionali, compresa Mediaset.Mentre Foa si appresta a guidare il cda di oggi in qualità di consigliere anziano, forte del rinnovato consenso dei suoi sponsor governativi, il vicepresidente di Forza Italia, Tajani, contesta la parte della nostra ricostruzione di ieri relativa a pressioni da parte dell'Europa stessa e a una telefonata di Jacques Attali, gran burattinaio di Emmanuel Macron. Lo scenario - ampiamente dibattuto in questi giorni nel mondo della massoneria (libreidee.org) in cui si parla di un coinvolgimento del presidente emerito Giorgio Napolitano -, farebbe assomigliare curiosamente la vicenda Foa alla fibrillazione istituzionale verificatasi nei giorni successivi all'inserimento di Paolo Savona nella formazione di governo. «Mai parlato con Attali né con Napolitano della vicenda Rai né di altro», precisa su Twitter il presidente del Parlamento europeo. E fra lo scetticismo dei suoi follower rassicura: «Non prendo ordini né da Parigi, né da Berlino, né da Mosca, né dagli Usa. Da cattolico rispondo solo alla mia coscienza». Anche l'ufficio stampa dell'ex capo dello Stato si smarca elegantemente dalla vicenda: «Il presidente Napolitano sta trascorrendo un periodo di assoluto riposo e pertanto non si occupa né si è occupato di alcuna questione politica contingente».Fra misteri, dubbi e colpi di scena la sfida continua, a conferma che gli interessi sono enormi. Dentro Forza Italia la dialettica è ampia e tutti attendono una mossa di Silvio Berlusconi, che in questi casi in passato ha saputo sparigliare e inventarsi il colpo d'ala decisivo per superare l'impasse. La presidenza della Rai sta creando un clima avvelenato anche a Ferragosto, a dimostrazione che la battaglia sotto il pelo dell'acqua è dura, combattuta. «Non stiamo cedendo alla lottizzazione politica»; la frase di Di Maio dice molto. Ma agli occhi degli abbonati (ed elettori) sono visibili solo i relitti dei sommergibili affondati. Giorgio Gandola<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/solo-una-mossa-del-cav-puo-ricucire-fi-2593671981.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lega-e-m5s-non-si-rimangiano-foa-lo-scontro-puo-durare-tutto-agosto" data-post-id="2593671981" data-published-at="1757969566" data-use-pagination="False"> Lega e M5s non si rimangiano Foa. Lo scontro può durare tutto agosto Nessuna audizione fissata con il ministro del Tesoro Giovanni Tria, ma una lettera inviata al cda della Rai affinché proceda al più presto all'indicazione del presidente e nel frattempo «si astenga dal compiere atti al di fuori dell'ordinaria amministrazione». Ovvero, fare le nomine dei direttori di rete, di canale e dei Tg. Ieri di buon mattino l'ufficio di presidenza della commissione bicamerale di Vigilanza ha dato mandato all'unanimità al presidente Alberto Barachini di scrivere al cda di Viale Mazzini, e per conoscenza ai presidenti di Camera e Senato e al ministro Tria, per sbloccare così l'impasse in cui si trova dopo che Marcello Foa, il giornalista indicato come presidente dal governo (soprattutto dalla Lega), ottenuto l'ok del cda non ha raggiunto il quorum dei due terzi previsto dalla legge proprio in Vigilanza. Alla lettera sono stati allegati i pareri di Beniamino Caravita di Toritto, ordinario di istituzioni di diritto pubblico all'università La Sapienza, e dei giuristi Bruno Del Vecchio e Luigi Principato secondo i quali il consigliere bocciato non può né guidare il Consiglio, né riproporsi come candidato. Manca però l'opinione del costituzionalista simbolo della sinistra, Valerio Onida, che aveva detto l'esatto opposto: «Foa può tornare per un voto bis in Vigilanza, basta che il cda lo voti di nuovo riavviando l'iter». Il presidente Barachini a dimostrazione che la Vigilanza è pronta a portare avanti il suo compito, per la prima volta l'ha convocata in maniera permanente, così se anche il giorno di ferragosto il cda decidesse il nome di un nuovo candidato alla presidenza, la bicamerale, all'indomani, sarebbe pronta a votarlo. Soddisfatto il renzianissimo Davide Faraone, capogruppo Pd in commissione : «È assolutamente necessario che il servizio pubblico completi il suo organigramma dopo che il Parlamento, attraverso il voto della Vigilanza, ha bocciato Foa (formula impropria, perché non ha raggiunto i voti necessari al sì, ndr). Il cda prenda atto della situazione e sblocchi una situazione non più sostenibile». «All'interno dell'attuale cda Foa rimane il professionista migliore per il ruolo di presidente. Se il Pd vuole nei fatti il bene della Rai abbassi i toni e rispetti i ruoli, aiutandoci a voltare pagina dopo la disastrosa gestione renziana», hanno detto i leghisti Massimiliano Capitanio e Paolo Tiramani, segretario e capogruppo in Commissione Vigilanza. «Ci auguriamo che il cda della Rai scelga al più presto il proprio presidente e lo sottoponga alla Vigilanza, senza alcuna pressione da parte dei partiti», così Gianluigi Paragone, senatore M5S e membro della commissione. Non proprio sulla stessa linea il vicepremier Luigi Di Maio (che la Vigilanza vorrebbe ascoltare ma la prima data utile sarà a settembre): «Per quanto mi riguarda il cda è pienamente operativo. Bisogna eleggere il presidente della Rai, la legge dice che serve un'intesa tra i gruppi e fino a quando non c'è questa intesa non c'è un presidente». «Va bene la lettera ma non c'è fretta visto che siamo in periodo agostano. Così tutti hanno la possibilità di ragionare sulle scelte fatte e da fare», ha detto Alessandro Morelli, responsabile della comunicazione della Lega, intervistato da Affaritaliani.it. «La Lega non cambia nome», ha proseguito, «ci vuole un voto della Vigilanza, ovvio, e sono convinto che la scelta sbagliata partita dall'alto di Fi in questo periodo possa essere rivalutata. Tajani, Letta e Gelmini hanno compiuto una scelta e preso una direzione non condivisa dalla base di Fi. Il loro elettorato è a favore di Foa, un giornalista liberale. Il fuoco amico è del tutto incomprensibile». Pierferdinando Casini, consigliere per le Autonomie in Vigilanza, ha rivolto un appello «alla serietà a Salvini e Di Maio: inutile continuare questa pantomima che blocca la Rai. Si individui una persona super partes e la si voti. Foa potrà svolgere, nello stesso ambito del servizio pubblico, il suo lavoro in un altro ruolo». Teoricamente il cda di Viale Mazzini, convocato per oggi alle 16, dovrebbe dare una risposta alla lettera della Vigilanza, ma concretamente sembra improbabile. Del resto, la missiva appare priva di fondamento considerato che il cda non ha all'ordine del giorno le nomine ma soltanto il «rinnovo del contratto della ventiquattresima stagione di Un posto al sole e quello per gli highlights del calcio», ovvero la normale gestione. Un invito dunque della Vigilanza «inutile» considerato che mancando l'accordo politico è inutile indicare qualsiasi altro presidente scelto all'interno dello stesso cda (7 membri di cui 4 della maggioranza di governo e 3 dell'opposizione) che ha già dato l'ok a Foa ma non è detto che possa darlo ad un altro consigliere. Peraltro, ammesso passasse un nuovo nome potrebbe di nuovo trovare il muro in Vigilanza. L'unico che può sciogliere il nodo Rai, decisamente politico, è Matteo Salvini che però continua a non cedere né indicando un altro nome come presidente né sostituendo Foa con un'altra personalità concordata con le opposizioni, sempre in attesa del ripensamento di Berlusconi. In serata è arrivata la risposta dell'ad Fabrizio Salini, in sintonia con la linea dell'esecutivo. Al primo punto dell'ordine del giorno del cda ci sarà la presidenza, ma Foa, in assenza di mosse dell'azionista (leggi Tria), svolgerà la funzione di consigliere anziano. Sarina Biraghi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/solo-una-mossa-del-cav-puo-ricucire-fi-2593671981.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="uno-stallo-figlio-della-riforma-renzi" data-post-id="2593671981" data-published-at="1757969566" data-use-pagination="False"> Uno stallo figlio della riforma Renzi Evocava il «modello Bbc» per la sua indipendenza e credibilità e condannava la Rai dei partiti. Perciò Matteo Renzi ci mise il faccione sulla sua riforma della tv di Stato con una legge che attribuisce a Palazzo Chigi e al ministero dell'Economia un'influenza decisiva sulla Rai diventata così, dal dicembre 2015, la Rai del governo. Nei suoi sogni, infrantisi con il referendum, non più dei partiti ma soltanto di uno: il Pd. Quella riforma che stabiliva criteri di nomina differenti dalla legge Gasparri trova oggi con il governo Lega-M5s la prima applicazione. E quindi, nessun problema per i componenti del cda passati da 9 a 7 (4 eletti da Camera e Senato, 2 nominati dal governo e 1 designato dall'assemblea dei dipendenti). Tutto liscio per la nomina, su indicazione del governo, ma fatta dal ministero dell'Economia, della figura del presidente «di garanzia» e del capo azienda, cioè dell'ad, non un semplice direttore generale, cha ha le mani libere sulle nomine e sui contratti fino a 10 milioni. I nuovi super poteri, grazie ad una norma transitoria, andarono subito ad Antonio Campo Dall'Orto, uomo della Leopolda voluto da Renzi (e da lui «rottamato») che si trasformò da direttore generale in ad. Unico limite all'azione del super ad, è nella facoltà del cda di licenziarlo. Passa invece per il cda, che deve votarlo a maggioranza, la nomina del presidente che deve essere ratificata dai due terzi dei voti in commissione di Vigilanza. Passaggio che per la prima volta si è incagliato sul nome di Marcello Foa, giornalista liberale non gradito però né al Pd né a settori di Fi. I poteri del presidente sono limitati alle «relazioni esterne e istituzionali», e alla «supervisione delle attività di controllo interno» e «alla firma sul bilancio». Certo è singolare la posizione del Pd (ormai poco renziano) che appena fatti i nomi di Foa e Fabrizio Salini denunciò subito, per bocca del segretario Maurizio Martina: «Va in onda la spartizione tra Lega e 5 stelle. La legge prevede maggioranza 2/3 per presidente di garanzia: per le poltrone calpestano anche le regole». O, a proposito di Foa, sentir dire dal capogruppo Pd alla Camera, Graziano Delrio: «Continuare a insistere su un candidato bocciato dalla commissione parlamentare significa non rispettare la volontà popolare che si esprime nel Parlamento e il dettato costituzionale che garantisce che la Rai è un servizio pubblico e non è a servizio di nessuno, tantomeno di un partito politico». Oltre ad essere sbilanciata, la nuova legge sulla Rai, alla sua prima applicazione, con il caso Foa (ma con un altro nome le cose non cambierebbero) mostra dei vuoti che andranno risolti con una riforma della riforma. Infatti, si parla di presidente di garanzia, con poteri ben limitati rispetto quelli di «peso» dell'ad, ma non si sono previsti strumenti o procedure per dirimere la crisi in atto tra cda e Vigilanza, con un ok del consiglio e un quorum non raggiunto in commissione. Non è stata normata, di conseguenza, nemmeno la possibilità che il nominato presidente fermato in Vigilanza possa ripresentarsi o si debba dimettere. E se Vigilanza possa sollecitare la nomina del presidente ben sapendo che si tratti di una nomina politica e non tecnica. Domande irrisolte che provocano uno stallo della procedura e che consentono di interpretare la legge come si vuole anche se non si può negare l'esistenza dello Statuto del cda Rai che prevede la possibilità del consigliere anziano (e Foa lo è malgrado i suoi soltanto 55 anni) di ricoprire il ruolo di presidente facente funzioni. Cosa che sta facendo avendo convocato per oggi pomeriggio alle 16 il cda di viale Mazzini. Sarina Biraghi
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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