2021-02-21
I soldi di Invitalia al socio del broker d’oro
L'Agenzia di sviluppo è pronta a investire 41 milioni di euro per entrare nel business dello studio degli anticorpi monoclonali. La società prescelta è controllata da una fondazione presieduta da un ex finanziatore renziano in affari col giornalista indagato.Domenico Arcuri, commissario all'emergenza Covid e amministratore di Invitalia, sarebbe pronto a investire nell'azienda di monoclonali controllata da una fondazione presieduta da Fabrizio Landi, finora noto alle cronache per essere stato il primo finanziatore della Fondazione Open legata all'ex premier Matteo Renzi e per i suoi trascorsi come consigliere di amministrazione di Finmeccanica. Ma come La Verità vi ha raccontato ieri, Landi, da sei anni, risulta essere in affari, attraverso una sua società, con Mario Benotti, mediatore della maxi commessa di mascherine su cui sta indagando la Procura di Roma.A fine gennaio si è diffusa la notizia (del tutto scollegata da quella dell'inchiesta) dell'imminente ingresso di Invitalia nella senese Tls sviluppo, attiva nel settore della ricerca sugli anticorpi monoclonali da usare nella cura contro il Covid. La Tls sviluppo è controllata dalla fondazione Toscana life science di cui è presidente Landi e di cui sono soci fondatori tra gli altri la Regione Toscana, la Fondazione e la Banca Monte dei Paschi di Siena; la Provincia di Siena, le Università di Siena, Pisa e Firenze; le Scuole di alta formazione Sant'Anna e Normale di Pisa; l'Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, il Comune e la Camera di Commercio di Siena.Secondo le cronache, a inizio febbraio Landi contava di firmare in pochi giorni l'accordo con Invitalia relativo alla cessione del 30 percento del capitale della Tls sviluppo srl. L'accordo in trattativa prevede il versamento da parte di Invitalia di 15 milioni di euro per il 30 percento delle quote di Tls Sviluppo e di 26 milioni per la fase 2 della ricerca sugli anticorpi. Se l'ingresso di Invitalia nella società senese è da tempo di pubblico dominio, non era invece noto il rapporto di affari tra Landi e Benotti. I due si conoscono almeno dal 2015, come raccontato proprio da Landi a un quotidiano l'8 novembre di quell'anno: «Ho conosciuto Benotti attraverso Gozi […]. So che ha dei rapporti con il Vaticano, suo padre lavorava all'Osservatore Romano». Un rapporto stretto che porta il manager toscano a introdurre Benotti negli ambienti del Pd fiorentino, facendogli conoscere ad esempio il sindaco di Firenze Dario Nardella: «Si sono trovati una sera a cena a casa mia e l'idea è nata in quell'occasione, poi ho saputo che Dario gli aveva fatto una proposta di collaborazione». Nello stesso anno Benotti e Landi entrano in affari: il 23 dicembre la Partecipazioni spa, holding di Benotti e della compagna Daniela Guarnieri, entra a far parte della compagine azionaria di una società riconducibile a Landi, la Diadem srl, con sede a Brescia, fondata nel 2012, attiva nel settore della diagnostica. Maggiore azionista della Diadem (con circa il 76 per cento delle quote) è la Panakes partners, una società di gestione del risparmio di cui Landi è azionista al 33 percento e presidente del cda dal 2018. La prima quota di azioni della Diadem viene acquistata dalla holding di Benotti per 1.000 euro, esattamente il valore nominale, ma un anno dopo l'acquisto, nel dicembre 2016, la Partecipazioni acquisisce altre azioni del valore nominale di 7.200 euro, per poi cederne una parte, del valore di 635,19 euro, l'anno successivo a Heber Rafael Verri, direttore scientifico della Partecipazioni e consulente della Diadem, che paga la quota al valore nominale, cioè poco più di 600 euro. Quando la holding di Benotti entra a far parte della Diadem il bilancio dell'azienda bresciana è in utile. Nel 2014 ha chiuso l'anno con un valore della produzione di 107.966 euro, un piccolo utile di 5.101 euro e anche il 2015 è positivo: valore della produzione 66.414 euro e utile di 8.955 euro. Dal 2016 in poi però la Diadem diventa una sorta di buco nero, con un valore della produzione pari a zero e arrivano le prime perdite, per 8.249 euro. L'anno dopo, il 2017, la produzione è sempre ferma, mentre le perdite lievitano a 260.562 euro. Nel 2018 la situazione precipita, con valore della produzione di 166 euro e una perdita monstre di 960.616 euro. Nel 2019, ultimo anno di cui è disponibile il bilancio, la produzione ha una ripresa a 14.701 euro, ma le perdite restano altissime: 897.453 euro. In pratica, dopo l'ingresso della Partecipazioni le attività della Diadem appaiono paralizzate e si accumulano perdite per 2,1 milioni di euro. Ma nonostante questo Benotti continua a essere interessato a investire nella Diadem, rilevando le quote di Verri, che al momento della stipula dell'atto hanno un valore nominale di 1.045,45 euro, per una cifra importante: 120.000 euro. E finanziando direttamente la società con 2 bonifici, entrambi emessi il 9 settembre, il primo da 72.317,71 euro, il secondo da 93.800 euro. Un'attività che non è sfuggita ai magistrati che indagano sulle mascherine e che nel decreto urgente di sequestro notificato quattro giorni fa dagli uomini della guardia di finanza agli indagati evidenziano l'emissione di bonifici da parte della Partecipazioni a favore di Verri «e della società allo stesso riconducibile Diadem Research Srl per euro 286.117,71». Forse il prosieguo dell'inchiesta ci dirà perché Benotti e la compagna abbiano ceduto una quota da 635,19 euro a Verri, ne abbiano acquistata una da 1.045,45 (differenza circa 400 euro), pagandola anziché al valore nominale (come aveva fatto Verri), 114 volte di più, dopo che la società aveva accumulato perdite milionarie. Un affare difficilmente spiegabile. Se non con il fatto che Benotti, grazie alla conoscenza di Arcuri e all'affare delle mascherine, a settembre aveva molti soldi da spendere.
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