2021-05-22
Il socialismo dei dem copiato dall’agenda del Fondo monetario
Valdis Dombrovskis (Ansa)
Con i deliri sul tributo per la successione, Enrico Letta & co. riesumano i mantra di sinistra, uguali ai dogmi dei tecnocrati di Fmi e Ocse.No, quella di Enrico Letta non è una gaffe, non è un lapsus, non è un incidente, non è una scivolata su una buccia di banana. La sortita del segretario Pd sulla tassa di successione è invece qualcosa di più profondo.E lo è sia nel merito sia nel metodo. Nel merito, perché ripropone i vizi più classici della sinistra: aumentare le tasse in generale; punire in modo particolare il ceto medio; porre l'enfasi sulla redistribuzione anziché sulla creazione di ricchezza; negare l'idea che chi ha qualcosa in più possa far del bene alla società investendo e consumando, ma debba invece essere tosato e magari incoraggiato ad andarsene all'estero; scommettere (anche quando si tratta di aiutare qualcun altro) sui sussidi statali anziché sulla voglia di ciascuno di mettersi alla prova e avviare un'attività; puntare su un dirigismo che tende a divenire ingegneria sociale, con la mano pubblica chiamata a scegliere chi premiare e chi penalizzare. Con diverse gradazioni, sono tutti virus che circolano da tempo immemorabile a sinistra: sia tra i comunisti (ex, neo e post) sia nella vecchia sinistra democristiana, a sua volta nemica della competizione e del mercato. Ma attenzione: accanto al merito, pesa anche un metodo che ormai la sinistra ha acquisito come un tic ideologico: quello del «vincolo esterno». È la convinzione che gli italiani - se affidati a sé stessi - non sarebbero in grado di governarsi in modo efficace. Peggio: rischierebbero di passarla liscia. Dunque, occorre che vi sia un'autorità esterna (ed estera) che ci insegni la durezza del vivere, che ci impartisca i compiti a casa, che ci imponga condizionalità. Una logica insieme paternalistica e penitenziale: la medicina, per funzionare, deve essere amara. E il controllore dev'essere un cerbero. Pensate al tono sacrale, ieratico, sacerdotale, che i giornaloni italiani, da anni, prestano al Valdis Dombrovskis della situazione, consentendo - in questo caso a un signore lettone - di avere diritto di vita e di morte sulle nostre leggi di bilancio. Per non dire delle scorribande in Italia del suo predecessore, commissario Ue fino a un anno e mezzo fa, il francese Pierre Moscovici, che arrivava a Roma con l'aria di chi corregge i compiti in classe e assegna le pagelle. Da parte nostra, un atteggiamento che si potrebbe definire «autorazzista»: razzismo applicato a sé stessi. La sinistra è medaglia d'oro di questa mentalità, di questo mindset. Al punto che non si sa più se sia nato prima l'uovo (la propensione a tassare) o la gallina (la mistica del vincolo esterno). Se cioè a sinistra amino il vincolo esterno perché è una scorciatoia per imporre più tasse, o se puntino sugli incrementi fiscali sapendo già che ciò soddisferà le «giurie esterne» chiamate a giudicarci. La scena rischia di ripetersi sul Recovery plan, con modalità perfino umilianti, con verifiche Ue insistenti e ripetute. Per non dire del meccanismo (ancora da chiarire) dell'alert, che potrà portare un Paese a eccepire sulle misure di un altro (indovinate quale). Occhio, però. Perché nella sua corsa al vincolo esterno, la sinistra non si accontenta delle bacchettate europee, ma ne cerca anche altre, ad esempio dal Fondo monetario internazionale e dall'Ocse. Ormai non si contano più, e arrivano ogni anno a scadenze regolari, documenti in fotocopia che chiedono sempre le stesse cose (devastanti per i contribuenti italiani, se fossero realizzate): riforma del catasto (con il conseguente innalzamento di una patrimoniale immobiliare che «cuba» già oltre 21 miliardi annui); il ripristino della tassazione sulla prima casa (e, come sappiamo, già ora non tutte le prime case sono esenti); l'incremento della tassa di successione (quello invocato ieri da Letta); e il mitico spostamento della tassazione «dalle persone alle cose». Con lo Stato italiano che - in genere - ricorda bene di incrementare la tassazione «sulle cose», e curiosamente dimentica di alleggerire quella «sulle persone». Memoria intermittente. Così, ogni anno si apre la stagione di caccia: con Ocse, Fmi e Commissione Ue ben armati di fucile, e invece, nel ruolo scomodo del fagiano, i contribuenti italiani, e in particolare le oltre 70 famiglie su 100 proprietarie di un immobile. È di inizio 2018, per fare un solo esempio e per restare a tempi tutto sommato recenti, il documento Ocse The role and design of net wealth taxes (l'Ocse ha un vero e proprio feticismo per la patrimoniale): nel documento si spiega che le patrimoniali servono a ridurre le diseguaglianze. C'è del vero: nel senso che contribuiscono a mettere tutti in miseria. Poche settimane dopo, arrivò il Fmi, con un paper dal soave titolo Verso una riforma fiscale favorevole alla crescita. E come volevano «favorirla», la crescita, gli scienziati del Fmi? Introducendo una nuova tassa sulla prima casa, con tanto di riforma del catasto.Da quel momento, a scadenze regolari, la giostra ricomincia a girare. E non manca mai un Letta pronto a recitare il mantra: «Più tasse, più vincolo esterno».
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