2018-04-02
Caracas ne è la conferma: il socialismo è il male
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C'è un ciclo in tre fasi, preciso e regolare più di un orologio svizzero, che descrive il comportamento della sinistra occidentale rispetto alle applicazioni del socialismo in giro per il mondo. Prima fase, l'adorazione: campagne politiche e di stampa per propagandare il nuovo modello. Seconda fase, quando si cominciano a intravvedere i segni del fallimento: strategia del diniego e diffusione di dati alternativi. Terza fase, quando il disastro è irrimediabilmente conclamato: spiegare che quello in realtà non era «vero socialismo». La prima fase è un grande classico, ormai da una sessantina d'anni. Parliamoci chiaro. Dal Rapporto Krusciov del 1956 sui crimini dello stalinismo, passando per la repressione prima della rivolta di Budapest sempre nel 1956 e poi della Primavera di Praga 12 anni più tardi, per i comunisti d'Occidente è stato via via più difficile proporre pari pari l'adozione del modello sovietico. Meglio cercare una via alternativa, una variante meno scoperta: e allora - stagione per stagione, moda per moda, continente per continente - ecco l'infatuazione per la rivoluzione cubana, la guerriglia in Sud America, il Vietnam, il panarabismo, fino alle sperimentazioni più recenti, dall'ideologia no global fino alla grande fascinazione venezuelana per Hugo Chávez e Nicolás Maduro. Come si vede, un minestrone, un grande caos, un'enorme confusione, un canestro di contraddizioni. Ma - come tenacissimo filo conduttore - un elemento irrinunciabile: l'idea che l'Occidente sia il male, che il mondo sia retto da una grande congiura amerikana-capitalista-massonica-bancaria-sionista, e che occorra disperatamente cercare un'alternativa.Se prendiamo il caso del Venezuela e il ciclo che abbiamo descritto, la prima fase (adorazione e propaganda) ha protagonisti illustrissimi. Jeremy Corbyn, il leader laburista britannico, un tipetto che vorrebbe nazionalizzare tutto in patria, mentre all'estero occhieggia a Hamas-Hezbollah-Teheran, ha spiegato più volte che il Venezuela dovrebbe essere un'ispirazione per tutti noi per combattere contro l'austerità e il neoliberismo in Europa (un dettaglio: qualche articolo troppo spinto pro Chavez è poi sparito dal sito di Corbyn). Ancora: Noam Chomsky, icona culturale e ideologica della sinistra mondiale, parlando (nel 2009) del Venezuela, si emozionava a descrivere quanto fosse «eccitante vedere come un mondo migliore viene creato». E qui a casa nostra? Elementare, Watson: basta guardare in direzione 5 stelle. Ancora un anno fa, due perle: un viaggetto di una delegazione grillina a Caracas per una cerimonia commemorativa di Chavez, e la surreale proposta di Luigi Di Maio di affidare nientemeno che al tandem Venezuela-Cuba la mediazione tra le tribù della Libia (non è uno scherzo, avete letto bene).Naturalmente, a poco a poco, con un prezzo di fame, oppressione, miseria, interamente pagato da popolazioni sventurate, la verità comincia a farsi strada. E iniziano a filtrare i dati del disastro. Scatta allora la seconda fase, che a sua volta richiede alcuni step. Dapprima: negare, negare, negare. Poi cercare di spostare la colpa su altri: in genere sulle sanzioni americane, vere responsabili della crisi, ci si spiega. Non guasta, in questa fase, anche un po' di fango da lanciare contro gli oppositori del regime: descritti come manovrati da Washington, usati in funzione antirivoluzionaria, ventriloqui del capitalismo internazionale, e via delirando. Infine, l'ultimo step è la diffusione di dati alternativi, per confondere le acque. Anche qui, tornano utili i nostri 5 stelle, e una surreale mozione parlamentare del gennaio 2017 nella quale spiegavano che «da quasi 19 anni il Venezuela attraversa una profonda fase di trasformazione, che ha permesso al Paese di raggiungere importanti obiettivi», e poi un fuoco di fila di successi: «il Venezuela è tra i 29 Paesi nel mondo che hanno raggiunto gli obiettivi di sviluppo del Millennio e la meta del vertice sull'alimentazione. Tra il 1998 e il 2013, in Venezuela la fame si è ridotta del 21,10 per cento, e oggi essa si assesta a meno del 5 per cento». Insomma, una specie di paradiso in terra, se non fosse per i soliti perfidi attori stranieri, per «l'indebita ingerenza negli affari interni del Paese», e ovviamente per gli Usa con le loro «inique sanzioni che colpiscono il Paese».Quando infine tutto è ormai perduto, scatta allora la terza e ultima fase. I nostri intellettuali di sinistra - con la stessa sicumera di sempre, con un'arietta di superiorità non scalfita nemmeno da lutti, sangue, disastri, fame - ci spiegano che quello non era «vero socialismo». Che l'idea era buona, ma è stata realizzata male. La parola chiave è «implementazione». L'implementazione non è stata corretta, ci dicono. E invece no, cari compagni. Quello (vale per il Venezuela, ma vale quasi sempre per fulgidi esempi prima propagandati e poi frettolosamente rinnegati) era proprio autentico socialismo. Per Chavez e Maduro i punti fermi erano: proprietà statale dei mezzi di produzione e delle risorse; nazionalizzazioni ed espropri; più tasse e più spesa; e grande retorica del governo «per i tanti, non per i pochi» (come recitava lo slogan di Corbyn, poi ripreso dai Liberi e uguali di Pietro Grasso e Laura Boldrini) e della lotta contro la povertà. Socialismo puro, cristallino, da manuale.Risultato? L'ennesima prova di una regola che non conosce eccezioni: nessuno fa più male ai poveri del socialismo. Ancora negli anni Settanta, il Venezuela era un Paese dove in tanti - dal resto del Sud America - desideravano recarsi per sfuggire alla miseria. Oggi, dopo la cura Chavez-Maduro, l'inflazione è all'800%, la povertà è passata dal 48% all'82%, il salario minimo è diminuito di tre quarti, i blackout sono all'ordine del giorno, cibo e medicine scarseggiano, la malnutrizione è una realtà, e nuovi record di mortalità infantile vengono regolarmente stabiliti e battuti. Dinanzi a questa catastrofe politica, culturale e morale, è l'ora di ricompitare sette elementari verità, e di farlo con orgoglio occidentale, pro mercato, pro libertà. Consapevoli come siamo che il nostro sistema - pur pieno di difetti - basato su capitalismo e democrazia politica sia il miglior metodo di convivenza costruito dall'ingegno umano, e l'unico che cerchi - direi programmaticamente - di coniugare la soddisfazione individuale con la crescita comune.E allora diciamole queste cose che mandano in crisi di nervi collettivisti e marxisti vecchi e nuovi, di andata e di ritorno. Primo: il socialismo non ha funzionato e non funziona. Secondo: oltre a non funzionare, è basato sulla coercizione di stato. Terzo: questa coercizione di Stato non riguarda solo le libertà economiche, ma la libertà in quanto tale. Quarto: è incredibile la capacità comunista di sacrificare sull'altare dell'ideologia, della propaganda, di un modello, la vita concreta di milioni di donne e uomini, sulle cui vite devastate viene cinicamente caricato il costo di non sciupare una bella narrazione. Quinto: è doloroso che, tranne rare e meritorie eccezioni, servano eccidi o stragi eclatanti affinché storie come quelle del Venezuela si guadagnino alcuni centimetri o qualche decina di secondi di spazio sui giornali, nelle radio, nelle televisioni. Sesto: ma con che faccia ci si prepara alle celebrazioni italiane del 25 aprile (mancano tre settimane, tanto vale portarci avanti con il lavoro) senza desiderare un 25 aprile anche per i venezuelani, per i cubani, per gli oppressi di tutto il mondo? E infine, settimo (e ultimo): ma perché questi innamorati del modello venezuelano e dei suoi successi non sono ancora andati a goderseli in quel paradiso chiamato Caracas?
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità
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