2022-07-13
La tentazione di Draghi: mollo tutto
Il premier rifiuta il bis se escono i 5 stelle ed è pronto ad approfittare dell’occasione per sbattere la porta. Tutto sta a vedere fino a dove si spingerà Giuseppe Conte, ieri blandito (solo a parole). Le accuse da sinistra ai consiglieri di Palazzo Chigi per la scissione di Luigi Di Maio. Il governo vuol usare i super incassi Iva per tenere buoni grillini e sindacati. Insorge la Lega. nell’incredibile impresa di resuscitare Giuseppe Conte, offrendogli la possibilità di darsi un ruolo, ovvero quello di oppositore, da sinistra, di Draghi». Il ragionamento è il seguente: se gli amici del premier avessero tenuto a freno le ambizioni del ministro degli Esteri, invece di fomentarle, lo statista di Volturara Appula sarebbe rimasto a cuocere a bagnomaria fino a liquefarsi: un po’ quello che ha fatto da quando è uscito da Palazzo Chigi. Invece, con l’uscita di Di Maio, non essendo più costretto a mediare, Conte è risorto dalle sabbie mobili in cui stava sprofondando e oggi si candida a fare la guerra al presidente del Consiglio nella speranza di recuperare quella quota di scontenti che ha voltato le spalle ai 5 stelle. Le ultime elezioni amministrative hanno mostrato che il bacino di chi non vota è enorme e non c’è sondaggio che non segnali una cifra crescente di persone che non esprimono preferenza per alcun partito. Se all’ex premier riuscirà l’operazione di recuperare gli scontenti si vedrà: l’obiettivo appare abbastanza arduo da raggiungere. Ciò che conta tuttavia, è che se Conte spingerà in questa direzione, negando il voto al decreto Aiuti anche in Senato, le vie d’uscita per Draghi non potranno che essere due, entrambe impervie. La prima è quella che un tecnico qual è l’ex presidente della Bce mai vorrebbe imboccare. Ovvero un rimpasto, nel più puro stile della prima Repubblica. Già Silvio Berlusconi ha evocato una parola che a Draghi fa venire l’orticaria, ovvero «verifica», formula che ha accompagnato anni di governi democristiani e di centrosinistra. Questa, unita a «rimpasto», rischia di far rivivere il ricordo di Giulio Andreotti e dei capi corrente della Balena bianca. Quando le cose si mettevano male, per sopravvivere e tirare a campare (che come diceva il Divo Giulio era sempre meglio che tirare le cuoia), si sostituivano un po’ di ministri. Uscivano quelli della componente che faceva le bizze e ne entravano altri. Cambiava poco, ma si allungava la vita al governo. Ecco, in questo caso potrebbero andarsene Patuanelli, D’Incà e Dadone, cioè i filocontiani, un addio di cui potrebbero approfittare Silvio Berlusconi e Matteo Salvini per rivendicare qualche posto, così da spostare un po’ l’asse del governo verso il centrodestra.La seconda via d’uscita di Draghi è quella di guadagnare la porta, approfittando dello strappo voluto da Conte per svignarsela. Nonostante quel che scrivono alcuni, la tentazione è forte, perché il premier sa bene che da ora in poi sarà dura. I partiti non smetteranno di alzare i toni e purtroppo li alzeranno anche gli italiani, colpiti dagli aumenti e da una recessione che costringerà molte aziende a chiudere i battenti. Rassegnare le dimissioni, lasciando tutti con un palmo di naso, gli consentirebbe di evitare anche il rito della smentita, ovvero di fare il contrario di ciò che si è promesso. Appena una settimana fa, Draghi ha giurato che non avrebbe accettato di continuare a fare il presidente del Consiglio se fosse cambiata la maggioranza. E lo ha ribadito anche ieri. Se i 5 stelle escono, la maggioranza cambia e per restare a Palazzo Chigi l’ex governatore dovrebbe cambiare idea. Ovviamente c’è chi ha fatto peggio: qualcuno promise di lasciare la politica se avesse perso il referendum, qualcun altro di non essere un uomo per tutte le stagioni. In fondo, per Draghi si tratterebbe solo di trasformarsi da tecnico in politico e, come tutti i politici, di abituarsi a mentire.Certo, è sempre possibile un finale a sorpresa. Per esempio, dopo aver tirato tanto la corda, Conte potrebbe mollare, accontentandosi di qualche promessa sui famosi nove punti. Ovvio, sarebbe una retromarcia con la coda tra le gambe. Ma Conte, più di Draghi, la lezione numero uno della politica, quella che ti consente ogni giravolta, l’ha imparata a memoria.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)