
Il tennista dà forfait agli Internazionali. Il piano: guarire in tempo per il Roland Garros. La notizia era nell’aria, risuona da ieri come il rumore sordo di un ace nel game decisivo di un Grande Slam. Jannik Sinner è costretto a ritirarsi dagli Internazionali d’Italia in programma a Roma da domani, un Master 1000 su terra rossa che Dolomiti Kid avrebbe potuto agguantare, gustandoselo come aperitivo prima del Roland Garros. È lo stesso numero 2 del mondo a raccontarlo: «Non è facile, ma dopo aver parlato con i medici e gli specialisti dei miei problemi all’anca devo annunciare che purtroppo non potrò giocare a Roma. Ovviamente sono molto triste di non aver recuperato, è uno dei miei tornei preferiti in assoluto. Ora lavorerò con la mia squadra e i medici per essere pronto per Roland Garros». La faccenda è seria. Dopo il gomito del tennista, il fato avverso si scatena sull’anca di molti campioni, e già la rinuncia di Sinner a disputare un quarto di finale accessibilissimo nel torneo di Madrid contro il canadese Auger-Aliassime (che in semifinale ha poi beneficiato del ritiro del ceco Lechecka, che a sua volta aveva beneficiato del ritiro del russo Medvedev, non scordando l’infortunio di Carlos Alcaraz, la competizione spagnola sembrava una partita di «ciapa no», un’ecatombe per i favoriti) aveva fatto suonare la spia d’allarme. Non è noto l’esito della risonanza magnetica, alcuni esperti parlano di «conflitto femoro-acetabolare», una condizione ortopedica che si verifica quando c’è un attrito tra il femore e l’acetabolo dell’anca, una sorta di inserzione tra le due parti. Per i dettagli, citofonare a Andy Murray: il tennista britannico ha trascurato i dolori negli anni e si è ritrovato con una protesi al posto dell’anca naturale, non riuscendo a tornare ai suoi massimi livelli agonistici. C’è chi rimprovera i ritmi forsennati a cui sono sottoposti oggi i fenomeni della racchetta. Tanti tornei, movimenti sempre più articolati per aumentare la potenza dei colpi, la necessità di scivolare, aumentando il peso sulle articolazioni, quando si gioca sulla terra battuta, superficie lenta e complessa. Terreno di caccia potenziale per uno Jannik completo e quasi onnipotente: dopo aver sfoderato il suo strapotere sul cemento, vincendo Australian Open, Rotterdam e Miami, stava mostrando analoga disinvoltura sui campi rossi. Se non fosse stato costretto a fermarsi, avrebbe aggiunto nuovi trofei alla bacheca. I medici parlano di 15 giorni di pausa, giusto in tempo per il Roland Garros e poco prima che inizi la stagione sull’erba. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Il numero uno Atp Novak Djokovic quest’anno non ha ancora vinto un torneo ed è alle prese con la gestione oculata delle sue risorse, non favorite dall’anagrafe. Carlos Alcaraz, grande rivale di Sinner nella corsa al dominio mondiale, starà fermo a sua volta fino allo Slam di Parigi per un’infiammazione a un braccio che lo tormenta da qualche mese. Daniil Medvedev rischia di fermarsi per dolori a un inguine. Le peripezie fisiche dei primi classificati conducono a due conseguenze: da un lato, bisognerà aspettare per veder ridefiniti gli equilibri in vetta e per ufficializzare in pianta stabile l’era del dualismo Sinner-Alcaraz, sempre che Djokovic intenda cedere il passo. Dall’altro, tignosi combattenti tra i top 10 possono rilanciare la loro carriera, da Rublev a Zverev, fino a Tsitsipas, non scordando il bizzoso Holger Rune e i promettenti Ben Shelton e Jakub Mensik (segnatevi il nome: ha solo 18 anni ed è destinato a grandi imprese). Ci sono poi gli altri italiani in cerca di rilancio: Matteo Berrettini ci proverà proprio a Roma, imitato da Lorenzo Musetti, che oggi disputerà la finale nel torneo Challenger di Cagliari.
Manfredi Catella (Ansa)
La Cassazione conferma la revoca degli arresti e «grazia» l’ex assessore Tancredi.
La decisione della Corte di Cassazione che ha confermato la revoca degli arresti domiciliari per Manfredi Catella, Salvatore Scandurra e gli altri indagati (e annullato le misure interdittive verso l’ex assessore Giancarlo Tancredi, l’ex presidente della commissione Paesaggio Giuseppe Marinoni e l’architetto Federico Pella) rappresenta un passaggio favorevole alle difese nell’inchiesta urbanistica milanese. Secondo i giudici, che hanno respinto il ricorso dei pm, il quadro indiziario relativo al presunto sistema di pressioni e corruzione non era sufficiente per applicare misure cautelari.
Giorgia Meloni (Ansa)
Il premier: «Tirana si comporta già come una nazione membro dell’Unione europea».
Il primo vertice intergovernativo tra Italia e Albania si trasforma in una nuova occasione per rinsaldare l’amicizia tra Roma e Tirana e tradurre un’amicizia in una «fratellanza», come detto dal primo ministro Edy Rama, che ha definito Giorgia Meloni una «sorella». «È una giornata che per le nostre relazioni si può definire storica», ha dichiarato Meloni davanti alla stampa. «È una cooperazione che parte da un’amicizia che viene da lontano ma che oggi vuole essere una cooperazione più sistemica. C’è la volontà di interagire in maniera sempre più strutturata su tanti temi: dalla difesa, alla protezione civile, dalla sicurezza, all’economia fino alla finanza».
Il direttore del «Corriere della Sera» Luciano Fontana (Imagoeconomica)
Se il punto è la propaganda, ogni leader è sospetto. Il precedente dell’inviato Rai, Marc Innaro, che più volte ha rivelato di avere proposto un’intervista a Lavrov. Risposta dei vertici dell’azienda: «Non diamo loro voce».
«Domandare è lecito, rispondere è cortesia». Il motto gozzaniano delle nostre nonne torna d’attualità nella querelle fra Corriere della Sera e Sergej Lavrov riguardo all’intervista con domande preconfezionate, poi cancellata dalla direzione che si è rifiutata di pubblicarla dopo aver letto «il testo sterminato, pieno di accuse e tesi propagandistiche». Motivazione legittima e singolare, perché è difficile immaginare che il ministro degli Esteri russo potesse rivelare: è tutta colpa nostra, L’Europa non aveva scelta, Le sanzioni sono una giusta punizione. Troppa grazia.
Volodymyr Zelensky (Ansa). Nel riquadro il bagno con sanitari in oro in una delle case dei corrotti smascherati a Kiev
La Tangentopoli ucraina era prevedibile: abbiamo finanziato uno dei Paesi più corrotti del mondo fingendo che fosse un modello di democrazia. E continuiamo a proteggere il presidente come se non c’entrasse nulla.
Chissà quanto saranno contenti i soldati ucraini, che ogni giorno rischiano la morte in una trincea di Pokrovsk, o gli abitanti di Kharkiv, rimasti nei giorni scorsi senza elettricità a causa dei bombardamenti russi, di sapere che una banda di affaristi vicina a Volodymyr Zelensky incassava tangenti milionarie mentre loro rischiavano la pelle. Chissà quanto saranno felici gli italiani, ma anche i francesi, i tedeschi, gli spagnoli e tutti gli altri consumatori europei che da tre anni e mezzo pagano bollette d’oro, di sapere che gli uomini del presidente ucraino hanno rubato a mani basse, facendosi pagare mazzette per decine di milioni, imponendo una «cresta» del 10-15 per cento sulle forniture energetiche.






