2024-06-07
Sinner cede ad Alcaraz: è l’inizio del duopolio
Jannik Sinner e Carlos Alcaraz (Ansa)
Dopo una battaglia di quasi quattro ore, al quinto set lo spagnolo guadagna l’accesso in finale al Roland Garros (2-6 6-3 3-6 6-4 6-3). Jannik era partito meglio ma alla distanza il fisico non regge. Torna da Parigi numero 1 al mondo, e con Carlitos sarà lotta per anni. Un corvo dalle piume brizzolate, mancino d’inclinazione e con una linguaccia biforcuta da far impallidire quello marxista che duellava con Totò nel film Uccellacci e uccellini di Pasolini, da qualche giorno sentenziava sul Roland Garros e i suoi protagonisti. «Sinner numero 1 al mondo? Deve stare attento, in Italia reggere la pressione è difficile». Più che a un corvo somigliava a un gufo, forse a un pavone, vanitoso come è sempre stato quel geniaccio attaccabrighe di John McEnroe. Sarà stato lui a portar un po’ di scarogna a Jannik Sinner, che la pressione la regge imperturbabile, a differenza dello sregolato John, iracondo, che sulla terra rossa parigina ci lasciò le penne nella finale del 1984 contro Ivan Lendl dopo essere stato in vantaggio di due comodi set. Forse anche per quello, nella semifinale di ieri persa dal nostro numero 1 Atp contro un Alcaraz granitico, il vantaggio iniziale di 6-2 per l’altoatesino aveva fatto suonare un campanello d’allarme. Troppo facile, una percentuale di prime di servizio vicina alla perfezione per Sinner, addizionata di risposte potenti e certosine, mentre lo spagnolo faticava a raccapezzarsi commettendo errori gratuiti specie sul suo drittone, il braccio ancora fasciato per l’infiammazione, eppur non dolorante. Nel 2-6 6-3 3-6 6-4 6-3 con cui il murciano ha avuto ragione di Dolomiti Kid non c’è stata superiorità tennistica, bensì atletica. Alcaraz è abituato alle galoppate fino al quinto set, quelle volte in cui c’è arrivato, ha vinto 10 partite su 11. Jannik ha l’indole del centometrista, fino a ieri nell’ultimo gioco dei match a tre set su cinque, aveva vinto sei volte e perso sette, con tanti saluti alle coronarie dei suoi fan. Il secondo set della disfida di ieri, Alcaraz se lo è aggiudicato perché le percentuali di Sinner con la prima di servizio sono calate di molto, mentre il numero tre del ranking, a poco a poco, alzava i giri del suo tennis, azzeccando passanti lungolinea con la veemenza di un Pete Sampras d’annata, ma con la differenza che sulla terra battuta Sampras non si è mai trovato granché a suo agio. In questo caso era diverso. Alcaraz sul rosso ci sguazza, tuttavia il campione italiano, reuccio del cemento indoor e outdoor, sa reggere il confronto con la sua nemesi ovunque, a patto che il corpo tenga botta sulle maratone. Sinner lo ha dimostrato nel terzo set. Si è ritrovato sotto di un break, con i crampi a un avambraccio e a un dito smaltiti grazie alla mano santa del fisioterapista, ha messo i piedi in mezzo al campo, risposto colpo su colpo agli sberloni da fondo del rivale, alternandoli a malizie tecniche favorite dal terreno lento, agguantando il parziale e illudendo tutti, forse anche se stesso, che la vittoria fosse un traguardo abbordabile. Nelle tre sconfitte fino a ora patite in questa stagione (pochissime, un record), due, includendo ieri, sono state per mano di Alcaraz, e il motivo lo si è visto nel quarto parziale. Servizi e smorzate di precisione per l’iberico, potenza e controllo dei colpi per l’italiano. Pareva un tennis speculare, e però no, non lo era. Jannik sa giocare meglio, Carlos quando vuole somiglia a un muro di mattoni: rimanda indietro di tutto, spesso con traiettorie siderali. Somiglia a Mats Wilander dopo una fusione nucleare con Andrè Agassi. Ma è destinato a vincere molto di più di loro. Così come Sinner, del resto. In una montagna russa di emozioni ieri scandita da un punto decisivo nel quarto parziale: Jannik deve gestire un turno di battuta delicato e lo chiude concedendo un solo 15 per il 4-4. Alcaraz serve sul 40-15 quando qualcuno si sente male sulle tribune. Si ferma il gioco, gli sguardi dei duellanti si perdono verso gli spalti. La situazione si risolve, Carlos serve la prima, il suo dritto si affievolisce in rete: 40-30, poi il rovescio di Sinner scappa via e lo spagnolo si colloca sul 5-4. Nel 10° game, sul 30-15, Sinner commette uno di quei due, tre errori che un tennista professionista è destinato a ricordarsi per l’intera carriera: sbaglia uno smash a rimbalzo comodo, lo schiaffa sulla rete, per un attimo i suoi occhi imperturbabili si colorano delle tinte imberbi di quando in Val Pusteria sognava di competere coi migliori. Ma è un’innocenza delusa, la sua. Serve sul 30-30 e Alcaraz guadagna un set point. Con rovescio in campo aperto lo spagnolo arraffa break e set. I social, il pubblico, forse Alcaraz stesso capiscono l’antifona: il nostro eroe nazionale ha appena gettato alle ortiche l’ultima occasione per vincere. Sul quinto set - questione di nervi e di muscoli - la bilancia pende a favore dello spagnolo. Che all’apertura vola sul 40-0, mentre l’altoatesino ha difficoltà a rispondere, sta indietro, si difende con nerbo, non riesce a comandare gli scambi. Manca di fluidità e leggerezza mentale e lo dimostra cedendo il servizio nel secondo gioco, che è un po’ come cedere le armi, a meno di miracoli. Alcaraz quando sbaglia, lo fa per eccesso di foga, Sinner perché ha poca benzina. Il break patito diventa irrecuperabile e dopo oltre quattro ore di battaglia, la partita si incanala verso la sconfitta che, come spesso accade con l’atleta allenato dal duo Vagnozzi-Cahill, presenta pochi coni d’ombra e tutti illuminati dal guizzo della rielaborazione. Jannik raggiunge per la prima volta la semifinale al Roland Garros, lo fa da numero 1 al mondo dopo il recupero lampo da un infortunio all’anca che gli ha impedito di giocare quasi tutta la stagione sul rosso. Cede al suo rivale di sempre, l’unico capace di tenergli testa, dimostrando di poterlo affrontare in ogni condizione alla pari. Bisogna preparare i pop-corn: questi duelli rappresenteranno l’essenza del tennis professionistico per i prossimi 10 anni buoni. Dal canto suo, Alcaraz ritrova solidità, accreditandosi per una finale di torneo alla sua portata.