
Non una di meno rivendica l’assalto alla Ong al grido «Vi bruciamo dentro». Ritrovata nella sede una bomba artigianale accidentalmente inesplosa. Giorgia Meloni: «Schlein, Conte, Landini dicano qualcosa». Ma nessuno fiata.Sembrava un addobbo di Natale, la bottiglia incendiaria con tanto di innesco bruciacchiato tirata sabato pomeriggio dai manifestanti contro la sede di Pro vita & famiglia. Sull’episodio che racconta meglio di altri particolari la manifestazione romana contro la violenza sulle donne sta indagando la Digos della Capitale, mentre dall’organizzazione Non una di meno è arrivata una sorta di rivendicazione dai toni surreali, in cui si afferma con orgoglio: «Abbiamo sanzionato la sede di Pro vita & famiglia, espressione del patriarcato becero». Di fronte alla gravità dell’aggressione, il premier, Giorgia Meloni, ha parlato di «assalto vergognoso», sfidando Elly Schlein, Giuseppe Conte e Maurizio Landini a dire almeno una parola. A ieri sera, solo il leader 5 stelle ha aperto bocca, dimostrandosi però preoccupato più che altro di difendere la bontà del corteo. Per prima cosa è utile mettere in fila i fatti, anche con l’aiuto dei militanti dell’associazione che si batte contro aborto, eutanasia e utero in affitto. Secondo quanto risulta alla Verità, che ha parlato con alcuni di loro, anche se la manifestazione di sabato era contro la violenza, ci si aspettava qualche brutto scherzo. Nella sede di via Manzoni erano state tirate giù le serrande ed erano stati ingaggiati un fotografo e un cameraman esterni per riprendere eventuali danneggiamenti. Nel pomeriggio di sabato, quando il corteo è passato davanti alla sede, circa 200 donne e uomini hanno urlato vari insulti, tra i quali un sinistro «Bruciamo le sedi Pro vita, meglio con i Pro vita dentro». Poi sono entrati in scena scrittrici e scrittori. Sulle serrande, con lo spray, sono comparse le seguenti scritte, non proprio pacifiche: «Aborto libero», «Morite mer...», «Assassini», «Bruciamo i Pro vita», «Obietta ’sta f...», «Figli di p...» (che non sta per patriarcato) e un cosmopolita «Fight patriarcato». La mattina di domenica, quando alcuni esponenti dell’associazione sono andati in sede, hanno trovato un vetro rotto e una bottiglietta da 33 centilitri pitturata di bianco e addobbata con spago e cera colata. Lì per lì non hanno capito e anche la polizia guardava stupita l’oggettino un po’ pacchiano. Poi, quando hanno visto la polvere dentro e l’innesco bruciacchiato, hanno chiamato gli artificieri. Era un ordigno artigianale in piena regola, fatta anche bene e ben dissimulata. Solo che, per fortuna, chi l’ha tirata non era tanto capace e quindi non ha preso fuoco. Nella mattina di ieri, il presidente del Consiglio ha preso posizione su un gesto che non può passare sotto silenzio e che stranamente stride con i proclami sulla non violenza ascoltati negli ultimi giorni. «Io non so come si pensi di combattere la violenza contro le donne rendendosi protagonisti di intollerabili atti di violenza e intimidazione come quelli avvenuti sabato a danno dell’associazione Pro vita e famiglia», ha scritto sui social Giorgia Meloni. Poi, alludendo alla famosa irruzione nella sede della Cgil nell’ottobre del 2021 durante un corteo No green pass, ha aggiunto: «Voglio interrogare tutti su una questione banale: la violenza va condannata sempre o solamente quando si rivolge a qualcuno di cui condividiamo le idee? È questa la domanda sulla quale, da parte di certa sinistra, non abbiamo mai avuto una risposta chiara». E ha invitato Giuseppe Conte, Elly Schlein e Maurizio Landini a rompere il silenzio. Anche perché «una sede devastata è inaccettabile sempre. Particolarmente se la si devasta nel nome delle donne violentate, picchiate o uccise». Anche Jacopo Coghe, portavoce della Onlus cristiana, ha chiesto solidarietà bipartisan: «Ci aspettiamo dal sindaco, Roberto Gualtieri, e dal segretario del Pd, Schlein, che hanno partecipato alla manifestazione contro la violenza sulle donne, che prendano le distanze e condannino questi atti violenti e criminali». E ha ricordato che «sono stati prodotti danni ingenti per furia ideologica» e «solo per caso non hanno trovato i nostri collaboratori presenti all’interno, che altrimenti sarebbero stati in serio pericolo».Dei leader presenti in piazza sabato, al momento, si è fatto vivo solo Conte, ma con un distinguo peloso. L’avvocato amministrativista ha affermato: «Io condanno insieme a tutto il Movimento 5 stelle sempre gli atti di violenza, ci troveranno sempre contro. Però non vorrei che questo fosse anche un modo per sminuire una grande mobilitazione, una grande risposta a favore del riscatto delle donne, della massima libertà contro ogni sopraffazione, arbitrio, ogni sopruso». Come insegna la storia della violenza politica in questo Paese, con i «però» si va purtroppo assai lontano. Nel silenzio di Schlein e compagni, Andrea Crippa, vicesegretario della Lega, osserva che «non esprimere solidarietà ai Pro vita, è vergognoso e fa capire la dimensione umana e la leadership del Pd». Anche Matteo Salvini ricorda il fattaccio di due anni fa: «Se assaltano la sede della Cgil c’è (giustamente) indignazione nazionale. Se estremisti rossi assaltano la sede di una Onlus che aiuta e difende le famiglie, silenzio?».In serata, arriva qualcosa che, se non è una rivendicazione, molto vi somiglia. Sulla pagina Facebook di Non una di meno Milano si legge un autentico delirio anni Settanta: «Abbiamo sanzionato la sede di Pro vita & famiglia, espressione del patriarcato becero e anti scelta. Sui nostri corpi scegliamo noi! In Italia l’accesso all’aborto continua a essere ostacolato e negato». Si passa quindi alla polizia, accusata di avere una doppia faccia: da un lato «ha dato spettacolo con post e dichiarazioni in supporto alle donne» e dall’altro «ha picchiato le manifestanti, una delle quali è ancora in ospedale». La stessa polizia, per altro, sabato pomeriggio aveva in piazza chi riprendeva tutto. Forse la sinistra farebbe davvero meglio a parlare subito.
Leone XIV (Ansa)
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Ansa
Dopo il doppio disastro nella corsa alle rinnovabili e lo stop al gas russo, la Commissione avvia consultazioni sulle regole per garantire l’approvvigionamento. È una mossa tardiva che non contempla nessuna autocritica.