
Ogni volta che torna in auge la discussione sulle inoculazioni, i paladini della «scienza» tirano fuori l’allarmismo sulla malattia infettiva. I numeri, però, non mostrano affatto uno scenario drammatico: quella sull’obbligo rimane una decisione politica.Sicuramente una buona copertura vaccinale contrasta la diffusione del morbillo, malattia molto contagiosa e che può dare complicazioni comunque curabili, ma un modesto rialzo di casi non giustifica l’allarmismo degli ultimi mesi, la cui unica finalità è scongiurare l’abolizione dell’obbligo vaccinale. Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene e Sanità pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, già consigliere dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, ieri sulla Stampa aveva toni apocalittici: «In questo momento stiamo già rischiando perché il numero di casi di morbillo è di nuovo in forte aumento. Se non esistesse l’obbligo torneremmo alle cifre precedenti al 2017 con migliaia di casi l’anno e morti». Da dove nasce tanta preoccupazione, se da inizio anno fino a giugno nel nostro Paese ci sono stati 391 casi di morbillo? Eppure Nino Cartabellotta, il gastroenterologo presidente della Fonazione Gimbe, si dispera perché «le coperture vaccinali per il morbillo raggiungono il target del 95% solo in dieci Regioni». Evidentemente «l’obbligo non funziona», come ha fatto notare il senatore della Lega Claudio Borghi, e bisognerebbe rivedere la campagna di prevenzione puntando sulla raccomandazione. Certo, se lo spauracchio è quello che va dicendo l’Oms attraverso il direttore generale per l’Europa Hans Henri P. Kluge, ovvero «i vaccini salvano le vite, e quando la copertura diminuisce, le malattie si diffondono», dopo il Covid diventa il morbillo il virus da cui difendersi a colpi di inoculi. In Italia nel 2024 i casi totali sono stati 1.057; la copertura vaccinale è aumentata dal 74% dell’anno 2000 fino al 95% nel 2023. Negli ultimi anni, a parte una diminuzione al 92% nel 2020, la copertura vaccinale è rimasta costante ma soprattutto non si può affermare che il morbillo sia così letale. Nel 2024 sugli oltre 50 Stati europei l’Oms ha censito complessivamente 127.350 casi e appena 38 decessi. Una pubblicazione del 2018 a cura dell’Istituto superiore di sanità mostrava che la mortalità infantile da morbillo era ridotta ai minimi storici già prima dell’introduzione del vaccino Mpr (antimorbillo, parotite, rosolia) nel 1999 e della vaccinazione raccomandata nel 1976. E le coperture vaccinali avevano raggiunto livelli attorno all’85-90% mediante la sola raccomandazione. Questo significa che, in considerazione dell’alta percentuale di popolazione immunizzata in Italia e in assenza di rischio epidemiologico (non c’è alcuna epidemia di morbillo in atto), basterebbe «puntare sulla raccomandazione» attiva, e «predisporre dei piani di intervento per fronteggiare eventuali emergenze senza per questo esporre la collettività a gravi conseguenze», come suggeriva già nel 2019 il professor Paolo Bellavite durante un’audizione al Senato in commissione Igiene e Sanità. Nella stessa occasione, l’ematologo ha mostrato un grafico in cui si osserva chiaramente che, da inizio Novecento fino al 2019, il trend dell’incidenza del morbillo (al netto dei vari picchi), cala costantemente. L’introduzione delle prime coperture nel 1985, dunque, ha al più permesso a quel trend di continuare, ma i miglioramenti conseguiti anche in precedenza sono netti. Certo, Bellavite oggi sarebbe il «responsabile», assieme al pediatra Eugenio Serravalle, dell’azzeramento della commissione vaccini Nitag perché non avrebbero merito per farne parte, ma non si possono discutere le sue affermazioni: «L’utilità (o necessità) di un vaccino va valutata scientificamente in termini di rapporto tra benefici e rischi».Tanto allarmismo che circola da mesi fa pensare che si voglia tornare a parlare di emergenza nazionale morbillo, come quella che fu proclamata nel 2017 attribuendo la responsabilità del picco di casi al calo di coperture vaccinali che si erano verificate negli anni precedenti. In realtà, i casi segnalati quell’anno furono 5.397 (fonte Iss), non molto diversi da quelli da quelli del 2008 (oltre 5.312 casi) e del 2011 (4.671 casi). Cinquemila malati di morbillo corrispondono a circa 100 per settimana, in media, in tutta Italia. Nella settimana di aprile 2017 in cui si era registrato il maggior numero di casi, il morbillo aveva colpito 200 italiani, cioè quattro per ogni milione di abitanti, di cui uno era un bambino. E i decessi furono tre, quell’anno. Sarebbe stato questo l’annus horribilis che non dovrebbe ripetersi abbassando la guardia sul fronte vaccino obbligatorio anti morbillo? Senza contare che dal 1999, anno di introduzione della vaccinazione universale, i decessi con causa iniziale il morbillo in fascia 0-19 anni sono stati quasi sempre zero fino al 2021, con punte massime di 3 morti l’anno.Non ultima considerazione, ricordiamo che l'Osservatorio epidemiologico della Regione Puglia aveva condotto un programma di sorveglianza attiva degli effetti avversi successivi alla vaccinazione dopo la prima dose del vaccino Mprv contro morbillo, parotite rosolia, varicella, riscontrando 462 eventi avversi ogni 1.000 dosi, di cui l’11% classificato come grave. Valori quasi 1.000 volte maggiori della sorveglianza passiva in Puglia considerata quai esclusivamente dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per gli anni 2017 e 2018. Sul tema occorre un confronto scientifico serio, quanto vissuto in epoca Covid non deve riproporsi. Invece, dal vaiolo all’Rsv, all’Hpv è sempre pronta a scattare la voglia di rendere obbligatorio un vaccino.
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(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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