2021-04-15
La sinistra deride gli esercenti disperati: «Lavoretti»
Per Nicola Zingaretti sono «lavoretti». Tra virgolette, a sottolineare la marginalità dell'occupazione di migliaia e migliaia di persone che si guadagnano lo stipendio nei bar e nelle palestre. Sì, l'ex segretario del Partito democratico, cioè di quello che un tempo fu il punto di riferimento politico delle classi più disagiate, oggi mette tra virgolette il lavoro e chiama ragazzi, quasi fossero studenti in cerca di arrotondare la paghetta, le persone che campano facendo i camerieri o i personal trainer.«Mi permetto di invitarli a questo tavolo», ha detto il presidente del Lazio. A fare che cosa non si sa, anche perché non risulta che il governatore abbia sostenuto le richieste di riapertura dei pubblici esercizi, ma anzi ci pare che, prima da capo del Pd e poi da numero uno della Regione, non abbia mai mosso critiche all'operato del ministro della Salute, ossia di colui che nel governo resta il più convinto sostenitore della linea rigorista che ha portato l'Italia, oltre che ad avere più morti, a essere uno dei Paesi europei i cui locali commerciali sono stati chiusi più a lungo.Qualcuno ha definito la frase pronunciata da Zingaretti durante una puntata della trasmissione Mezz'ora in più (Rai 3) di Lucia Annunziata (la quale si è scandalizzata perché l'ex segretario ha usato il detto «la botte piena e la moglie ubriaca», ritenendola un'offesa alle donne, ma non perché ha chiamato un «lavoretto» il mestiere del barista) una gaffe. Ma forse, non si tratta di una cantonata, bensì di un vero e proprio modo di pensare e di ritenere che in fondo quella del personale di bar, ristoranti, palestre non sia vera occupazione, ma lavoro saltuario, scarsamente remunerato e sostanzialmente precario. Dunque, da non prendere troppo in considerazione e tantomeno da preoccuparsene troppo. Così si capisce perché abbia twittato in difesa di Barbara D'Urso (non ce l'abbiamo affatto con lei, che oltre a esserci simpatica è un'eccezionale professionista, ma diciamo che non è persona che rischi di fare la fame se un suo programma viene sospeso) e non a tutela di chi da mesi è costretto a rimanere a casa senza sapere come mantenere la propria famiglia. Da un anno, le cronache riferiscono di ristoratori sull'orlo della disperazione, alcuni dei quali sono giunti a gesti estremi. Non parliamo di chi in piazza ha lanciato pietre o scatenato la guerriglia: pur comprendendo l'esasperazione, la reazione violenta non è mai giustificabile. Ci riferiamo a chi non ha retto il peso di una chiusura che equivaleva a un fallimento, alla perdita di tutto ciò per cui aveva lavorato.Le storie di scoraggiamento raccontate in questi mesi le abbiamo lette tutti. In qualche caso abbiamo visto i volti dei protagonisti di una situazione che può essere sintetizzata in una sola parola: sconforto. Le immagini della tv hanno fatto entrare nelle nostre case il disagio profondo di baristi, ristoratori, ambulanti, commessi, fisioterapisti, allenatori, partite Iva. E i giornali hanno riprodotto le istantanee dello sconforto. Ricordate la foto simbolo del titolare di una gelateria di Oderzo? Beppo Tonon era accasciato su una sedia, con la mascherina abbassata sul viso e lo sguardo perso nel vuoto. Un settore piegato che è rappresentato dallo scatto che settimane fa ha ripreso Camilla, una giovane ristoratrice di Ostia, seduta per terra, nella cucina del suo locale, con la testa reclinata per la rassegnazione. E le lacrime di Chiara, una donna di 50 anni in ginocchio davanti al cordone di polizia al Circo Massimo di Roma? «Aiutateci, ve lo chiedo per piacere. Avevo due bar ristoranti, tutti e due chiusi in nove mesi. Non ce la facciamo più. È arrivata la bolletta, come si paga? È arrivato l'affitto, come si fa? Non ho soldi per fare la spesa a casa. Se non mi aiutassero le persone, io non c'ho neanche da dar da mangiare ai ragazzi». Chi è Chiara? Una che fa i «lavoretti»? E Camilla? Una «ragazza» da invitare al tavolo di Zingaretti? E Beppo? Le frasi del governatore del Lazio sono la dimostrazione che la sinistra è lontana anni luce dai lavoratori e non ne conosce i problemi. Ai compagni basta dire di aver stanziato miliardi con il decreto Ristori, ma poi dove siano finiti quei miliardi, quale sia la condizione di chi è rimasto senza lavoro, non è una questione che li interessi. Mi viene in mente un episodio che riguarda Pier Luigi Bersani, anch'egli ex segretario del Partito democratico. Nel mezzo della campagna elettorale del 2013, a una tribuna politica in onda su una tv nazionale, gli chiesi a bruciapelo: «Lei parla tanto di occupazione, ma mi sa dire quante righe sono dedicate all'argomento lavoro nel suo programma?». Quello balbettò una risposta, farfugliando che la sua storia personale parlava da sola, ma non sapeva che dire. Eppure la risposta era semplice: il programma di un partito che si candidava a guidare il Paese, al lavoro dedicava solo otto righe, cioè nulla. La storia si ripete con il governatore del Lazio, che a chi chiede di lavorare risponde come Maria Antonietta, con i lavoretti. Tra virgolette, però.