2023-11-04
La sinistra appesa a tecnici e «monumenti»
Giovanni Maria Flick (Imagoeconomica)
Pur di non restituire sovranità agli italiani, i progressisti rimpiangono i senatori a vita (Giovanni Maria Flick ne parla come fossero il David o il Colosseo) e i presidenti del Consiglio non politici, spacciati per salvatori della patria. Anche se nessuno li aveva mai voluti. Ho letto molte critiche al progetto di riforma costituzionale varato ieri dal Consiglio dei ministri, ma la più divertente è quella pronunciata da Giovanni Maria Flick, indimenticato ministro della Giustizia del governo Prodi che per accontentare la folla fece annullare una sentenza. Già giudice costituzionale, per opporsi al premierato il professore richiama l’articolo 9 della Carta su cui si fonda la nostra Repubblica, quello che tutela il patrimonio artistico e culturale dell’Italia. Cosa c’entrano i beni storici con una legge che dà maggiori poteri all’esecutivo e impedisce i ribaltoni? La risposta, per quanto incredibile, sta nella norma che abolisce i senatori a vita. Come si fa, si chiede Flick, a rispettare il dettato costituzionale che tutela il patrimonio artistico e culturale se poi si mandano a casa «gli emblemi viventi di questo patrimonio nazionale che sono i senatori a vita?». Giuro. Non sto scherzando. Lo ha detto in un’intervista alla Stampa. Mario Monti come il David di Michelangelo, Renzo Piano equiparato al Colosseo. L’ex presidente della Consulta (come tutti i giudici delle toghe a fine carriera è stato premiato con una nomina che dà diritto a un trattamento più favorevole) si è poi spinto a spiegare che la riforma del premierato crea una doppia frattura. La prima tra il capo del governo e il capo dello Stato. La seconda tra il presidente del Consiglio eletto e chi punta a sostituirlo. In che cosa si esplicano queste fratture non è ben chiaro. Dare più poteri a chi è stato scelto dagli elettori, cosa che sento dire da fior di osservatori politici da almeno mezzo secolo, dividerebbe premier e presidente della Repubblica? In realtà, si tornerebbe alle origini, facendo cioè rientrare nell’alveo costituzionale gli inquilini del Quirinale, che da Oscar Luigi Scalfaro in poi hanno assunto sempre maggior potere, pretendendo non solo di fungere da arbitri, ma di trasformarsi in giocatori, decidendo la sorte delle leggi e spesso anche delle legislature nonostante non esistano maggioranze che le possano proseguire. Analoghe preoccupazioni si ritrovano su Repubblica, dove Filippo Ceccarelli si duole che con il premierato non sia più possibile affidare la guida dei governi a chi non sia stato eletto dagli italiani. Per l’editorialista del quotidiano di casa Agnelli «non basta aver vinto le elezioni o restare in cima alla classifica dei sondaggi» - ah, no? - «se si dimentica che a Palazzo Chigi nel 1993 spuntò l’ex governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi». Già, come si fa a dimenticarlo? Il numero uno di via Nazionale nella cosiddetta prima Repubblica fu incaricato da Scalfaro di sostituire la politica, e di tenere in caldo lo strapuntino per gli eredi del Pci. Per fortuna, la nomenclatura rossa, a cui idealmente Ciampi si ispirava, sbagliò i calcoli, perché sulla sua strada trovò Silvio Berlusconi, ma prima di andarsene l’ex governatore fece in tempo ad assegnare le frequenze telefoniche alla società fondata da Carlo De Benedetti che, incidentalmente, era anche l’editore di Repubblica oltre che l’uomo che aveva portato al collasso l’Olivetti. Ma Ciampi non fu il solo tecnico nominato senza passare dalle elezioni. Dopo di lui venne Lamberto Dini, a sostituire un Cavaliere appena silurato con il consenso di Scalfaro, il quale si rifiutò di sciogliere il Parlamento. Andò così anche nel 2011, quando al posto dell’ex governatore o dell’ex direttore della Banca d’Italia arrivò il prorettore della Bocconi, senatore a vita Mario Monti, il patrimonio da tutelare di cui sopra. In quel caso ci pensò Giorgio Napolitano, mentre di Draghi, anch’egli usato per impedire le elezioni, si occupò Mattarella. Per tutti loro, Repubblica trova un posto nella storia come salvatori della patria. Peccato che la patria non li avesse invocati né soprattutto eletti. È questo dettaglio che sfugge ai vari Flick, Ceccarelli e Sorgi (altro allarmato speciale contro la riforma). Il premierato serve proprio per evitare che qualcuno non eletto, ossia un presidente della Repubblica, dopo una crisi di governo, invece di restituire la parola al popolo sovrano, la consegni a signori che non sono stati scelti dagli italiani. Non è difficile da capire. Se l’articolo 1 della Costituzione, il più importante, dice che sono gli elettori a dover decidere, tutti quelli che vogliono impedirlo sono contro la Costituzione. È quella la vera frattura di cui Flick, Ceccarelli e compagni dovrebbero preoccuparsi. Gli italiani non hanno scelto dei pezzi da museo, patrimonio artistico e culturale da tutelare, per governare. Hanno scelto un leader e dovranno essere sempre loro a decidere se riconfermare la fiducia o sostituirlo. È a questo che serve il premierato.
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