2025-02-09
Sinistra bipolare sul governo filoamericano
Donald Trump e Giorgia Meloni (Ansa)
Opposizioni e stampa rinfacciavano a Giorgia Meloni l’atlantismo di maniera, poi fratture con la Lega «putiniana», infine l’essere troppo vicina a Joe Biden per poter piacere a Donald Trump. Ma ora che l’esecutivo è tutto pro Washington, di colpo pretendono un’altra Sigonella.Nicola Fratoianni è furibondo: Giorgia Meloni ha trasformato l’Italia nello «scendiletto dell’America». Il Manifesto rincara la dose: rifiutando di firmare l’appello di 79 Stati membri della Corte penale contro le sanzioni di Donald Trump, il presidente del Consiglio «rompe l’asse europeo». Di più: «Tradisce l’Europa», tuona in prima pagina Repubblica. Secondo Angelo Bonelli, mostra un «totale spregio del ruolo dell’Italia sulla scena internazionale» e «si piega alla volontà di Trump, isolando l’Italia dai suoi alleati storici». Tra i quali, evidentemente, non rientrano più gli Stati Uniti, da quando gli americani hanno osato eleggere il puzzone col ciuffo biondo.L’indignazione di stampa progressista e opposizioni ha ormai raggiunto lo stato solido. L’accusa è severa: pur di compiacere l’alleato sovranista appena entrato alla Casa Bianca, Meloni aliena il nostro Paese dal consesso delle nazioni civili: è «un inquietante passo indietro rispetto ai nostri valori tradizionali e ai nostri obblighi internazionali», commenta Giuseppe Conte.L’esecutivo di centrodestra è diventato una canaglia atlantista agli occhi degli stessi che, fino a qualche mese fa, provavano a inchiodarlo alle sue contraddizioni geopolitiche: la leader di Fdi tanto abile da ingraziarsi Joe Biden, partecipando persino all’impopolare escalation in Ucraina; e la Lega di Matteo Salvini smaccatamente trumpiana, contraria all’invio di armi a Kiev, gravata dallo stigma di una russofilia che, nonostante l’obbedienza a Washington, avrebbe imbarazzato Palazzo Chigi.Lo scorso luglio, ad esempio, Il Riformista sentenziava: «Salvini putiniano e Meloni atlantista, due posture incompatibili al governo». L’Espresso, ad agosto, scherniva le divisioni della maggioranza, accozzaglia composta da una «atlantista», la Meloni, un «trumpista», Salvini, e un «equilibrista», Antonio Tajani. Già allora, però, si affacciava il redivivo spirito di Sigonella, incarnato dal «monito di Mattarella che invita a non farsi dettare l’agenda Oltreoceano». Perché va bene mandare a Zelensky i missili per colpire la Russia, ma se The Donald intende staccare la spina al multilateralismo, la fedeltà agli Usa cessa di essere un dogma.Il Carroccio, considerato l’anello debole della collocazione internazionale del centrodestra, è stato bersaglio di attacchi mirati fin dalla campagna elettorale del 2022: a pochi giorni dal voto, l’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, al Giornale spiegava che la Meloni «fa finta di essere atlantista, ma è di fatto commissariata da Salvini, che strizza l’occhio a Putin». Per non parlare dell’«amicizia» di Fdi «con Orbán: serve solo a isolarsi in Ue». Sull’Ansa, addirittura, spuntava la «benedizione» al futuro premier italiano di Oleksandr Dugin, «ideologo del putinismo». In realtà, della Meloni il filosofo aveva detto qualcosa che avrebbe potuto intuire persino il segretario del Pd: Giorgia «si farà strada». Anche Il Post ci teneva a dipingere la conversione di maniera della politica romana: «Oggi esibisce l’atlantismo con nonchalance, ma prima criticava la Nato e voleva togliere le sanzioni alla Russia». Per la serie: con quel pedigree, chi vuole prendere in giro in America? Il politologo Vittorio Emanuele Parsi si spingeva fino a evocare la crisi di governo a governo nemmeno insediato: Salvini il putiniano, suggeriva, potrebbe farlo cadere «dopo sei mesi». Nelle settimane a cavallo tra le elezioni politiche e le nomine dei ministri, Repubblica parlava dei «sospetti degli Usa sul leghista filo Putin», ossia il solito Salvini, che avrebbero convinto il premier a proporre un incarico più defilato al principale di via Bellerio. Intanto, Biden aveva trattato pubblicamente quello italiano come un caso di scuola dell’allarmante avanzata della destra. Il Foglio, all’epoca, descriveva un equilibrio complicato, con la presidente del Consiglio «consapevole» della «fragile amicizia transatlantica», vieppiù «importante nella solitudine che la attanaglia».Appena prima delle presidenziali Usa, gli opinionisti tornavano a battere sulle antinomie del governo: Meloni, nel frattempo, si era troppo compromessa con Sleepy Joe per piacere a Trump. Che ne sarebbe stato delle relazioni con Washington, se fosse ridiventato presidente lui? Il 23 ottobre, l’European council on foreign relations, pensatoio con sede a Berlino, dava al premier la dritta opposta: prepari un «piano Harris» per evitare che, qualora vinca Kamala, si deteriorino i rapporti con gli Usa.Adesso - la liberazione di Cecilia Sala ne è stata la prova maestra - quei rapporti vanno a gonfie vele. Ed è sparito il rischio di cortocircuiti: tutto il centrodestra è unito sotto la bandiera a stelle e strisce. Eppure, la sinistra e i giornali si stracciano le vesti. Troppo filoamericanismo, stavolta: vergogna, ne va della nostra dignità. Abbiamo perso la spina dorsale. Massimo Giannini, come un carabiniere che tiene sotto tiro i marines, inveisce: «Meloni cheerleader di Trump». Ideona: e se i missili, anziché agli ucraini, li dessimo a Cuba?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.