2023-05-07
Pur di attaccare la Meloni i sindacati si buttano a destra
La manifestazione della Cgil a Bologna (Ansa)
Pd e Cgil in piazza contro la «precarietà». E dopo mesi passati a denunciare la «guerra ai poveri» il leader rosso Maurizio Landini fa la piroetta: «Tagli al cuneo? Vanno estesi». Benvenuto, ma allora se la prenda col Patto di stabilità.Sotto le bandiere rosse a Bologna va in scena la sfilata di pensionati, militanti dei centri sociali e trotzkisti attempati per criticare l’esecutivo. I manifestanti non gradiscono la presenza di Elly Schlein: «Vai a casa».Lo speciale contiene due articoli.Era da anni che i sindacati non scendevano in piazza contro un governo di centrodestra. Ovvio che in automatico scattino tutti gli esercizi retorici che piacciono a chi sventola le bandiere rosse. Stavolta però la critica contro il il recentissimo decreto lavoro impone alla Cgil, alle altre due sigle e pure alla Confindustria di Carlo Bonomi (che sembra virtualmente accodarsi) un salto carpiato. Il taglio delle tasse sui salari chiesto da anni è finalmente arrivato, ma attenzione: non basta. «Ce ne vuole di più», spiega Maurizio Landini, e soprattutto «deve essere per sempre, deve essere strutturale». Guarda caso esattamente ciò che la legge delega sulla riforma del fisco del governo Meloni ha appena partorito e consegnato alle Camere perché ne scaturiscano i numerosi decreti attuativi. Insomma, pur di manifestare sembra che Landini & C. vogliano spostarsi a destra rispetto a questo governo. Peccato che, nell’operazione politica, le sigle glissino oggi una serie di problemi che hanno negli anni ignorato oppure cavalcato solo a beneficio personale, e mai per giungere a una soluzione. Parliamo del Patto di stabilità e dei vincoli che questo Paese ha accettato di sottoscrivere nel corso degli anni. Lo scorso dicembre il capo della Cgil manifestava a Roma contro la legge Finanziaria. Critiche contro il governo perché applicava una austerity maggiore di quella richiesta dall’Ue. Sul cuneo fiscale, puntò il dito contro il passo indietro del governo che aveva promesso «un grande intervento sul taglio dei contributi» sui salari, ma «poi ha deciso di prorogare il 2% dell’esecutivo Draghi senza aggiungere nulla». Ecco: adesso che è arrivato il taglio del cuneo, Landini sembra dimenticare tutta la storia pregressa di questo Paese e purtroppo ignorare anche il suo futuro immediato. È vero che il più grande taglio del cuneo fiscale è stato realizzato da Romano Prodi, ma quello attuale segue a ruota ed è il massimo che oggi si possa fare: tanto più che il Reddito di cittadinanza grillino è stato riformato, ma nei fatti (per il 2024) rifinanziato con un taglio inferiore al miliardo di euro. Il sindacato ha perso due anni dietro ai deliri del salario minimo, di cui Enrico Letta si era invaghito per far contenta la nomenclatura Ue. E, prima ancora, la Cgil non risulta aver bacchettato più di tanto Giuseppe Conte per le sue mancate promesse in tema di lavoro e fisco.Il problema complessivo sta sempre nella coperta corta. Aver abbracciato e sposato il Pnrr ha creato nella realtà un enorme vincolo interno che impedisce al Paese di spendere i soldi al di fuori delle infrastrutture, certamente importanti ma non l’unico elemento per il rilancio dell’economia e della produttività. Il Pnrr per di più crea inflazione: eppure i sindacati non sono mai scesi in piazza contro il Piano di ripresa e resilienza. Tanto meno sono scesi in piazza contro le strategie di Bruxelles. Lo scorso 24 gennaio Landini ha incontrato il ministro all’Industria, Adolfo Urso. All’uscita da Via Molise, l’erede di Susanna Camusso ha spiegato ai giornalisti: «Si è parlato anche delle politiche europee, c’è bisogno di una discussione perché si superi il Patto di stabilità senno a partire dal 2023 pagheremo un prezzo molto alto». Parole sacrosante, che non sono state in alcun modo seguite dai fatti. La trattativa per la riforma del Patto di stabilità è tutta sulle spalle del governo. E, per il momento, non si è conclusa bene. Visto che torneremo nei fatti all’austerity precedente, con la differenza che ci saranno o quattro o sette anni per rientrare nei parametri. Il tutto a fronte di un monitoraggio così stretto che puzza di commissariamento. È giusto che il governo si prenda le sue responsabilità, ma chi fa opposizione deve almeno perseguire un obiettivo concreto e una strada coerente. Inoltre, non è immaginabile che la cosiddetta società civile continui a essere cieca nei confronti delle problematiche di riassetto europee. Giornali e sindacati tacciono di fronte all’austerity quando ci sono governi di sinistra e si stracciano le vesti quando a Palazzo Chigi c’è il centrodestra. Se poi vogliamo entrare nei dettagli dei numeri, i costi del Pnrr e pure quelli del riarmo non sono stati scorporati dal Patto. Le conseguenze sono tangibili. Nella legge finanziaria 2024 ci saranno come minimo sette miliardi di tagli imposti dal nuovo Patto di stabilità. A cui si aggiungeranno altri sette o otto eredità del governo Draghi. La scelta di tassare gli extraprofitti delle società energetiche è stata un fallimento. Tanto che su dieci miliardi messi a copertura della Manovra ne sono arrivati otto. L’ultimo degli osservatori (La Verità) aveva lanciato l’allarme: a differenza dei sindacati che sono stati silenti, avevamo previsto il buco in arrivo. Buco che purtroppo pagheranno i lavoratori il prossimo anno. Questo governo si troverà ad avere nel 2024 almeno 14 miliardi in meno da investire nel fisco e nelle buste paga. Darà continuità alle politiche di questo dl Lavoro, ma non sarà per nulla facile. Chi adesso, come la coppia Landini-Bonomi, chiede meno tasse sul lavoro, sa bene che l’austerity non si combatte in piazza ingannando i lavoratori, ma con un percorso politico complesso che richiede la riforma degli equilibri Ue. Gli slogan falsi e bolsi contro l’evasione fiscale o a favore degli espropri - modello patrimoniale - fanno comodo a Elly Schlein, ma non a chi deve lavorare ogni giorno e lottare per una paga dignitosa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sindacati-meloni-bologna-2659974872.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="spot-in-piazza-per-cgil-cisl-e-uil-ma-la-gente-contesta-elly-schlein" data-post-id="2659974872" data-published-at="1683408446" data-use-pagination="False"> Spot in piazza per Cgil, Cisl e Uil, ma la gente contesta Elly Schlein Lei: «Partecipiamo a questa manifestazione unitaria...». Loro: «Vattene!». Lei: «Condividiamo queste rivendicazioni e battaglie...». Loro: «Via la politica dalla piazza». Lei: «Il Pd è al fianco della mobilitazione...». Loro: «Vai a casa, qui non si fa propaganda». Vengo anch’io, no tu no. Nostalgia di Enzo Jannacci. Per Elly Schlein è una giornata difficile, parlare con i Cobas e alcuni duri e puri della Uil che contestano a una decina di metri non è facile, soprattutto se ti sei allenata solo su Vogue. Per qualcuno l’autonomia sindacale è ancora qualcosa di serio, così la mobilitazione di Bologna si trasforma in una sconfitta per la segretaria woke del Nazareno, bersagliata dagli ultrà delle barricate e in difficoltà anche per colpa dell’armocromista da 300 euro a seduta: per un classico festival rosso le ha fatto indossare una maglietta nera. I fondamentali, signora mia. Sopra c’è scritto: «La lotta paga. Sempre» e il pugno chiuso d’ordinanza è disegnato con chiarezza. Ma per vedere i dettagli bisognerebbe avvicinarsi. E il pueblo dei 30.000 in piazza Maggiore ha altro per la testa che omaggiare la snobissima Lady Radical con residenza a Lugano e doppio passaporto. Lei mette insieme qualche frase a favore di microfono. «Siamo qui per riparare gli errori del passato sulle politiche del lavoro, come il Jobs Act. Giuseppe Conte non c'è? Ci siamo sentiti anche ieri con lui. Non sempre le agende si incrociano ma su questa, come su altre battaglie, c’è convergenza». Convergenza. Lo ripete anche questa volta, come se dai maggiorenti dem (Enrico Letta, Dario Franceschini, Goffredo Bettini, vale a dire coloro che tirano le fila della nuova stagione) fosse partito l’imperativo di cementare l’alleanza, di non irritare il avvocato del popolo, di glorificarlo anche da remoto. Balletti senza gloria. Un po’ oltre, pensionati, militanti, trotzkisti attempati e vecchie zie - mischiati ai soliti happy few della contestazione permanente - si ritrovano sotto le bandiere rosse della Cgil (meno impatto cromatico per le bianche e verdi della Cisl) per contrapporsi al governo di Giorgia Meloni in tutte le sue sfaccettature. Tutto secondo un naturale teatrino che vede la sinistra paventare ogni tipo di emergenza democratica ogniqualvolta a palazzo Chigi c’è la destra. Così, a leggere cartelli e striscioni, in piazza si lotta per la sanità pubblica, per l’ambiente, contro la guerra e il precariato, ma anche per il welfare, soprattutto per «Lavorare meno, lavorare meglio». C’è tutto, come in un programma di Corrado Formigli. Anche qualche associazione pro migranti e i «giovani antifascisti militanti». Mancano un accenno all’Intelligenza artificiale e un altro allo scudetto del Napoli per un minestrone con il collante ideologico che non scalfisce il paese reale, ormai ben al di là di queste rappresentazioni anni Settanta. Una sfilata fuori dal tempo. Conte l’ha capito in anticipo e si è ben guardato dal farsi vedere. Nicola Fratoianni invece pianta con orgoglio la bandierina della sinistra estrema, nonostante sia fra quelli che gli ultrà vorrebbero cacciare: «È giusto essere qui alla manifestazione. Questo Paese è ammalato di diseguaglianze crescenti inaccettabili, questo Paese è ammalato di una precarietà insopportabile. Servono risposte, ma le risposte che vengono da questo governo sono quelle sbagliate». Le risposte mai arrivate nei dieci anni di governi di centrosinistra non lo preoccupavano, allora stava al calduccio sotto il tavolo del potere ad aspettare i resti della cena. La politica si sfilaccia mentre la gente sfila; non ci sono i centri sociali a riempire di cupo folclore l’aria, quindi manca il rigurgito violento. Solo qualche «Meloni boia» e altri insulti da corteo in attesa del messia rosso, Maurizio Landini, in arrivo direttamente dai talk show de La7 dove bivacca nei giorni dispari. Il padrone di casa sale sul palco, promette la replica della manifestazione a Milano e a Napoli (13 e 20 maggio) e minaccia uno sciopero generale per ravvivare l’atmosfera da weekend. «Noi non rinunciamo ai nostri obiettivi, con questa piazza che non si vedeva da tempo ed è un messaggio forte». Poi s’azzarda a ribaltare i numeri elettorali nel consueto fantasy da Spartacus: «Siamo noi la maggioranza di questo Paese e non ci fermeremo. La domanda che arriva dai lavoratori è di non fermarci finché non portiamo a casa i risultati che stiamo chiedendo. Diversamente dal governo non vogliamo dividere il Paese ma unirlo, abbiamo bisogno di unire il mondo del lavoro». La folla si eccita per un nanosecondo, allora il segretario della Cgil (sovrappeso, quindi suda) decide di lanciare il carico da undici in platea: «Abbiamo un governo che pensa che governare voglia dire decidere senza confrontarsi con nessuno. Non escludiamo nulla, gli scioperi generali non si minacciano ma si fanno quando è il momento di farli». Non ci sono sorprese nel cuore di Bologna. Non è un XFactor, tranne Schlein in maglia nera vincono tutti. Anche Luigi Sbarra, numero uno della Cisl, per la verità più morbido di Landini: «Non ci accontentiamo dell’incontro del 30 aprile, da questa piazza arriva un invito a riprendere il dialogo. Il confronto non può essere una tantum, ma permanente e strutturato per sostenere assieme la sfida della ripartenza del Paese». C’è ovviamente spazio anche per Pierpaolo Bombardieri, segretario Uil, più prudente sull’ipotesi di sciopero generale: «Non l’abbiamo cancellato dal nostro vocabolario ma farlo adesso non serve. La mobilitazione dev’essere lunga per condizionare le scelte del governo». Disuniti alla meta, mentre Landini scuote la testa. Lui vorrebbe paralizzare il Paese per garantirsi la leadership, vorrebbe un’estate francese per tornare a condizionare la politica come ai tempi di Luciano Lama, Gianni Agnelli e la macelleria sociale per un punto di contingenza in più. Vorrebbe che il rosso sventolasse per sempre. Ma la piazza di nuovo distratta lo osserva sbadigliando e si diverte di più a svillaneggiare la Schlein. Ce l’ha insegnato Nanni Moretti, il sol del l’avvenire non tira più neppure al cinema.
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