La Sicilia è senz’acqua ma non sa conservare quella caduta dal cielo
Sarà anche colpa del cambiamento climatico se prima piove troppo poco e poi piove troppo. E il cambiamento climatico sarà anche colpa dell’uomo, delle sue case energeticamente poco efficienti, delle sue auto a gasolio, dei suoi sacchetti di plastica, dei suoi allevamenti intensivi pieni di mucche con l’aerofagia. Siamo sinceri, però: se, mentre prosegue la crociata contro i combustibili fossili, sui territori non si fa niente per limitare i danni del dissesto idrogeologico, a volte la responsabilità è degli ambientalisti.
schiaffo alla siccità
Due esempi clamorosi arrivano dalla Sicilia e dal Veneto. Nell’arida Trinacria, si sa, ci sono intere aree, specie nelle zone interne, dove i rubinetti funzionano una volta a settimana. Eppure, ora che i nubifragi hanno scaricato tutti gli arretrati, bisogna lasciar defluire l’acqua verso il mare perché le dighe sono malconce. Nel Vicentino, un ricorso di Italia Nostra, l’associazione di salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali, da luglio blocca la realizzazione di una vasca di laminazione lungo il corso di un torrente che, sempre più spesso, allaga la frequentatissima tratta ferroviaria Milano-Venezia. La «salvaguardia» forse riguarda le nutrie, non i poveri cristi che vanno a lavoro.
La vicenda sicula è surreale. Vi ricordate quando, quest’estate, le cronache nazionali erano zeppe di resoconti sull’emergenza siccità? Ennesima conseguenza del disastro ecologico globale, ci spiegavano. Nessun cenno al colabrodo della rete idrica regionale, perché, come accade con la pulizia dei fiumi in Emilia-Romagna, è molto più facile prendersela col global warming che aprire cantieri. Giusto tre settimane fa, il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, aveva convocato un vertice per pianificare «opere che nel futuro possano evitare ulteriori situazioni di criticità». In attesa del futuro, il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, discute ancora di razionamento dell’acqua. Il primo cittadino ha avuto il coraggio di definire «confortante il monitoraggio sia sul piano della risposta tecnica che sul piano degli eventuali disservizi, che ho visto essere molto limitati». Be’, un trionfo: in un capoluogo di quasi 700.000 abitanti le case rimangono a secco, però il sindaco è confortato. «Certo», aggiunge, «questo non deve far venire meno l’impegno che continuiamo a garantire per intercettare nuovi pozzi e per potabilizzare e rendere fruibili le acque del fiume Oreto». Purtroppo, pare sia impossibile «intercettare» la pioggia che è caduta a Gela: per scongiurare il rischio di un’inondazione a valle, sono stati aperti i rubinetti della diga Comunelli. Migliaia di siciliani girano a vuoto le manovelle dei loro lavandini; nel frattempo, le dighe scaricano verso il mare, soltanto perché nessuno le ha mai manutenute e adesso sono pericolanti.
L’edizione locale di Repubblica fotografa anni di incuria: «I progetti che pure la Regione ha pianificato sulla sicurezza antisismica non sono ancora diventati cantieri, i letti dei bacini non sono stati ripuliti dai detriti e la pressione che si crea rischia di far cedere gli argini artificiali». Su molti altri fiumi - dal Dittarino (Piana di Catania), all’Alcantara nel Messinese, al Pollina e al Torto nel Palermitano - di dighe non c’è mai stata nemmeno l’ombra. E il pasticcio non dipende mica dalle multinazionali del petrolio. In qualche caso, sono gli attivisti a mettersi di traverso. Succede a Vicenza.
green pro allagamenti
Per un ricorso al Tar del Lazio, è al palo un bacino di laminazione che Rfi avrebbe realizzato a sue spese sull’Onte, affluente del Retrone. Questo torrente nasce a Creazzo e, all’altezza del tribunale cittadino, confluisce nel Bacchiglione, già dotato di vasche. Quando il livello del Bacchiglione si alza, il Retrone esonda e ferma i treni della Milano-Venezia. Secondo il Corriere del Veneto, la coincidenza avveniva una volta ogni 300 anni; nel solo mese di ottobre è già successo due volte, l’8 e il 18. Colpa del clima? D’accordo. Fatto sta che, nelle more della realizzazione dei binari per la Tav, Comune di Vicenza e Regione avevano ottenuto che Rfi costruisse un bacino da mezzo milione di metri cubi. Problema quasi risolto. Poi sono arrivati i custodi dell’ambiente. Italia Nostra si è rivolta al tribunale. Motivo? Il progetto iniziale di Rete ferroviaria italiana era un terzo dell’attuale. Cavilli burocratici, penserete voi. Già. Ma dal 24 luglio, per quei cavilli, si attende invano che il ministero dell’Ambiente comunichi se il progetto vada ripresentato daccapo oppure basti integrare quello che c’è. Una bella vittoria per l’ecosistema, eh? Intanto, il torrentello vicentino continua a insidiare la ferrovia. E i pendolari della linea più importante del Nord, quando vedono le nubi nere, devono pregare di non rimanere a piedi. Almeno, in casa l’acqua ce l’hanno.





