2021-10-06
«Si vince al centro? La débâcle moderata dice che non è così»
Il politologo: «Il centrodestra ha scelto solo candidati “perbene" ma è stato sconfitto. Errore non puntare su profili più marcati».«Il buon risultato del centrosinistra è innegabile, ma sul piano della conquista delle amministrazioni locali non mi pare abbia fatto passi avanti degni di nota: ha ripreso quel che già era suo. A perdere sono stati sia il centrodestra, che ha subìto distacchi più ampi del passato, e soprattutto il M5s, sceso a quote irrilevanti pressoché dappertutto». È un multi-scatto, quello con cui il professor Marco Tarchi, politologo e ordinario di scienza politica, comunicazione, analisi e teoria politica all'università di Firenze, direttore della rivista di cultura politica Trasgressioni e del mensile Diorama, fotografa il risultato di questa tornata elettorale. «Il Pd è tornato in sintonia con il Paese» come dice il segretario Enrico Letta (che ha avuto un successo personale venendo eletto nelle suppletive di Siena)?«Se Letta avesse perso, sarebbe stato uno smacco clamoroso. Si è presentato in alleanza con il M5s in un collegio in cui tre anni e mezzo fa, insieme, le cifre dei due partiti davano il 56,8%; ben più di quanto il segretario del Pd ha ottenuto. I toni enfatici sono obbligatori quando si esce bene da un confronto elettorale, ma servono solo a galvanizzare le truppe».Giuseppe Conte, faro dei progressisti, lo possiamo considerare definitivamente «spento»?«Di sicuro non è un trascinatore e non ha la forza per salvare il M5S dal declino. È un curatore fallimentare che cerca di trovare dei buoni acquirenti di quel che è rimasto di un movimento che aveva scosso dalle radici il sistema politico italiano e illuso parecchi milioni di elettori di voler cambiare radicalmente il paese, e adesso si accontenta di fare da stampella ad un partito che per anni ha insultato e dileggiato. Il progressivo ridimensionamento del M5S credo sia inarrestabile. E quando il loro ceto parlamentare si ridurrà di più della metà, il processo di disgregazione potrebbe accelerare fortemente».Il governo di Mario Draghi esce rafforzato da questo voto? Un esito diverso l'avrebbe indebolito? Oppure Draghi è Draghi, e qualunque risultato non tocca la stabilità e l'«indispensabilità» del suo esecutivo?«Propendo per la seconda ipotesi. Draghi esercita di fatto una supplenza della politica, e lo fa con il consenso degli interessati, che speravano di limitarsi a farsi raffreddare la patata bollente, ma ci stanno rimettendo molto in termini di legittimità e credibilità nei confronti degli elettori».Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia sono credibili quando giurano: «Il centrodestra è unito»?«Se con “unito" si intende convergente su un'univoca linea strategica, attorno a idee condivise, la risposta è no. Ma non da oggi; da sempre. Ad unire le forze eterogenee che nelle varie fasi lo hanno composto è sempre stato il Nemico. Il voto “contro" era la loro forza, speculare a quella dei loro avversari. Oggi di quell'antagonismo è rimasta una versione raffazzonata e sbiadita, la corsa verso il centro da entrambe le parti dà un'immagine di ambiguità e insincerità allo scontro, e di conseguenza le divergenze all'interno delle alleanze spiccano di più. Forza Italia non è una forza di destra; su molti temi è molto più vicina al Pd che a Lega o a Fratelli d'Italia. Non è, e non sarà mai, un alleato fidato. E anche gli altri due partners non sono sempre in sintonia: la concorrenza agisce su di loro più delle affinità».C'è un problema di carenza di classe dirigente nel centrodestra? Maurizio Lupi ha detto: «Ci siamo presi una bella scoppola. La scelta dei candidati di centrodestra sembrava X Factor».«Sì, questa carenza c'è, ma le classi dirigenti si formano nel tempo, sul campo. Basta pensare a come la Lega è riuscita a creare, dal nulla, un ceto di amministratori locali tutt'altro che sprovveduto, nel suo insieme. Quanto alla celebrazione dei moderati, un vero coro che in queste ore vede impegnata gran parte del mondo politico e giornalistico, mi pare ispirata dalle convinzioni ideologiche - se si può adoperare una parola così pesante - di chi interpreta lo spartito, molto più che da analisi serie e spassionate. Chi era più moderato di certi candidati sindaci del centrodestra (Bernardo a Milano, Maresca a Napoli e molti altri), “civici" e quasi apolitici? Eppure hanno perso, spesso seccamente. E Forza Italia, il partito moderato per eccellenza? Calabria esclusa, ha cifre risibili. È vero il contrario: candidature più marcate avrebbero reso meglio. Si è tanto favoleggiato sui fallimenti delle candidate “populiste" leghiste in Emilia-Romagna e in Toscana, ma hanno perso molto meglio di questi candidati “perbene"».Nella Lega si apre la fase della resa dei conti? Giorgetti, Zaia, Fedriga possono davvero mandare a casa il Capitano?«Non credo. A Giorgetti e a chi ne condivide la linea - non mi riferisco solo agli esponenti interni, ma anche agli ambienti economici, sociali e politici che sponsorizzano il “leghista buono" - non conviene una Lega spaccata. Preferirebbero costringere Salvini ad agire secondo le loro intenzioni. Ci riusciranno? Per capirlo, bisognerebbe essere nella testa del segretario, che dall'agosto 2019 ha effettuato una serie di mosse difficilmente comprensibili alla luce della razionalità politica».Giorgia Meloni avverte: «A Roma e Torino il risultato del ballottaggio non è scontato, a sinistra stanno cantando vittoria troppo presto». Ha ragione?«Ottimismo della volontà? Propaganda? Buonsenso? Le opzioni sono aperte, ma saranno gli elettori fra due settimane a dare la risposta giusta. Nessun altro può farlo».Meloni è zavorrata dal peso della destra più radicale? Può tagliare il cordone ombelicale con quell'area?«Bisognerebbe intendersi su cosa sia la “destra radicale": i gruppuscoli nostalgici e/o esagitati? Non mi pare che con quelli Fdi abbia legami significativi, men che meno organici. Anzi, fra le due aree c'è una non celata antipatia. Se invece ci si riferisce a quel settore non trascurabile di elettorato e di opinione pubblica che dell'esperienza storica fascista ha un'opinione diversa da quella espressa ogni giorno dalle “Autorità Morali" politiche e intellettuali di questo Paese (le quali, ispirate dal libello di Umberto Eco sul “fascismo eterno" -che con l'analisi scientifica ha poco, se non nulla, a che vedere - vi vedono il Male Assoluto e ne vietano ogni considerazione equilibrata) credo che per Giorgia Meloni non sia una zavorra, ma un utile bacino di utenza». È possibile che Meloni tema la sindrome Gianfranco Fini, cioè di ripeterne la parabola se sterzasse al centro?«Beh, l'esempio indubbiamente non è edificante. Da un insuccesso così clamoroso bisogna pur imparare qualcosa».«Fdi è disponibile a votare Mario Draghi alla presidenza della Repubblica a patto che si vada subito alle urne». Meloni dixit. Cosa ne pensa?«Sono mosse tattiche, comprensibili. Passare all'incasso quando si è in situazione favorevole preserva dalle sorprese. Ma non sarà lei e decidere l'esito della corsa al Quirinale e dovrà subire le decisioni altrui sia su quella scelta sia sui tempi della consultazione elettorale».
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