Si «dimentica» di fermare i pedaggi, l’ultima presa in giro di Autostrade

- I vertici dell'azienda, appena dopo i funerali, avevano promesso: «Da lunedì stop ai pagamenti su Genova». Ma ieri in centinaia hanno dovuto versare i 70 centesimi. Solo alle 11 la pezza: «I sistemi non erano aggiornati».
- Benetton preferisce il ponte del suo yacht. Gilberto s'è rifugiato nelle acque della Sardegna a bordo del Nanook, una delle due mega barche di famiglia, per non essere assediato dai media. Il portavoce: «Ognuno fa le ferie dove vuole, comunque è molto operativo». Si spiega così l'assenza al pranzo di Cortina.
- I pm puntano sul video «privato» del crollo. La Procura si concentra sulla dinamica dell'incidente al Morandi. Fra i tre filmati inediti acquisiti dalla Finanza, quello della ditta Italferr è ritenuto «molto importante». Prelevati anche i documenti sul parere tecnico che segnalava i pericoli al ministro Graziano Delrio.
Lo speciale contiene tre articoli. All'interno le foto dell'esclusiva imbarcazione in cui si è rifugiato Gilberto Benetton.
Sabato scorso l'avevano solennemente promesso. Subito dopo i funerali di Stato degli sventurati inghiottiti dal crollo del ponte sul Polvecera, non appena i genovesi si erano asciugati le lacrime versate all'omelia dell'arcivescovo Angelo Bagnasco, l'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia, Giovanni Castellucci, aveva assicurato che da ieri sarebbero stati eliminati i pedaggi nelle tratte da Bolzaneto a Genova ovest e da Prà a Genova aeroporto. Esenzione destinata a durare fino alla ricostruzione del viadotto che, con il suo sgretolarsi alla vigilia di Ferragosto, non solo ha provocato una strage di innocenti ma ha anche tranciato in due il capoluogo ligure.
I genovesi pensavano quindi che dalla mezzanotte più niente fosse dovuto a Autostrade, la società controllata dalla famiglia Benetton che aveva il compito della manutenzione e delle verifiche sul ponte che collegava Levante e Ponente. Ma si sbagliavano, infatti ieri mattina centinaia di automobilisti hanno dovuto comunque pagare, subissando di proteste televisioni locali e siti web. Il giornalista Emmanuele Gerboni, di Primocanale, ha fatto la prova di persona e ha dovuto versare 70 centesimi perché si alzasse la sbarra. Contattato il servizio di assistenza, attraverso il risponditore, gli è stato replicato che non era ancora arrivata alcuna comunicazione sull'esenzione dall'azienda, di tenere la ricevuta per poi chiedere il rimborso.
Stessa sorte hanno dovuto subire gli altri automobilisti. Infuriati sui social per le promesse, sbandierate nel giorno del lutto nazionale, e non mantenute. Barbara Visigalli scrive: «Confermo... ore 7.30 casello Genova ovest (abito a Bolzaneto)... pedaggio pagato... una vergogna». Simone Viale incalza: «Confermo anche io che stamattina (ieri, ndr) da Bolzaneto a Genova Ovest ho pagato il pedaggio, l'addetto al casello si è scusato dicendo che non sono aggiornati i sistemi. Mi sono fatto fare la ricevuta, vedremo. Situazione davvero ridicola». Così come Francesca Stemmi: «Sì stamattina ho preso l'autostrada da Sestri a Prà, mi hanno fatto pagare e mi hanno dato la ricevuta per l'eventuale rimborso».
«Buongiorno, sono Cristina e mi chiedo come può Castellucci comportarsi in questo modo», protesta Cristina Cresta, «non ci sono parole per descrivere quello che è successo, il disastro che hanno creato e le povere vittime innocenti che ci hanno rimesso la vita per la loro incuria. Il minimo che possono fare, nel tempo che ci vuole per ripristinare la viabilità, è non far pagare la tratta coinvolta ai cittadini che sono costretti a farla per raggiungere il posto di lavoro. Autostrade per favore usate il cuore oltre che il cervello».
Ribatte Patrizia Signorini: «È vergognoso! Non ci sono parole... Autostrade non sta usando né il cuore né tanto meno il cervello». E interviene Bruno Carrus: «Non hanno né cuore né cervello e l'hanno dimostrato! Avanti tutta con la risoluzione del contratto di concessione senza penali per inadempienze contrattuali! Voglio vedere che faccia faranno e se avranno il coraggio di fare un'altra conferenza stampa! Pagiassi!». Che in genovese significa «pagliacci», Amedeo Carminati è invece sintetico: «Siamo un Paese di buffoni». Orietta Parodi si sente presa in giro: «Non sono certo i 70 centesimi, è solo l'ennesima dimostrazione, se ce ne fosse stato bisogno, che ci prendono scientificamente per i fondelli e mentono sapendo di mentire».
Giuseppe Pepe, addirittura, denuncia di aver pagato più del dovuto: «Genova Ovest-Bolzaneto: casse automatiche. Non solo ho pagato, ma anziché 70 centesimi il terminale mi ha fatto pagare 90 cent». Per quasi tutta la mattinata, secondo i racconti degli automobilisti, gli operatori al casello hanno detto di non aver ricevuto ordini riguardo i pedaggi, hanno quindi incassato e dato agli automobilisti un modulo per il reclamo.
Soltanto alle 10,58 è stato pubblicato un comunicato, in cui Autostrade per l'Italia ha finalmente fatto sapere che a partire dalle 11 di ieri non sarebbe stato richiesto il pagamento del pedaggio sulla rete genovese: «Con una semplice dichiarazione (recandosi presso i Punto Blu di Genova Ovest e Genova Sampierdarena, oppure scrivendo a info@autostrade.it) coloro che hanno pagato il pedaggio», si legge nella nota, «sulle tratte interessate a partire dal 14 agosto potranno chiederne il rimborso. Il transito in autostrada diventa quindi gratuito per chi viaggia sui seguenti percorsi e viceversa: Genova Ovest-Genova Bolzaneto, Genova Prà-Genova aeroporto, Genova Prà-Genova Pegli, Genova Pegli -Genova aeroporto. Ai possessori di Telepass i transiti a partire dal 14 agosto sulle tratte in questione non verranno fatturati, senza che ci sia bisogno di alcuna azione da parte loro».
Insomma, la promessa è stata mantenuta anche se con colpevole ritardo per il «necessario aggiornamento dei sistemi». Che costringe chi ha versato ad affrontare la trafila per ottenere il rimborso. Che, stando a trascorse esperienze, non è immediato ma bisogna attendere parecchie settimane. Vedremo se, di fronte a una tragedia che conta 43 vite spezzate e 16 feriti, sono state accelerate le procedure.
Intanto ieri il capoluogo ligure tentava faticosamente di rialzarsi: il sindaco, Marco Bucci, ha consegnato le prime cinque abitazioni ad alcune famiglie tra gli sfollati di via Porro e via Fillak. Poca cosa davanti a quasi 700 persone che sono rimaste senza un tetto sulla testa, ma è un inizio: entro fine novembre tutti dovrebbero avere una casa. Sicuramente non più sotto i monconi pericolanti del ponte, che ieri scricchiolavano in modo sinistro. Tanto che le forze dell'ordine hanno esteso e rafforzato i divieti di accesso e sospeso gli accompagnamenti degli sfollati all'interno delle abitazioni per recuperare gli effetti personali.
Alfredo Arduino
Benetton preferisce il ponte del suo yacht
In questi giorni terribili dopo la tragedia di Genova, Gilberto Benetton avrebbe preferito ripararsi lontano da occhi e orecchie indiscreti sullo yacht di famiglia, il 49 metri Nanook, costruito dai cantieri viareggini Codecasa.
A rivelarlo alla Verità una fonte vicina al fondatore del gruppo omonimo che ha mosso i primi passi nella moda e che - molti anni e svariate diversificazioni dopo - attraverso la controllata Atlantia si trova ad avere in concessione 3.000 chilometri di autostrade, tra i quali il chilometro e 200 metri del ponte Morandi, crollato sul capoluogo ligure il 14 agosto, causando la morte di 43 persone. Si spiegherebbe, così, anche la sua assenza al pranzo che la famiglia Benetton - come ha rivelato sulla Verità Maurizio Tortorella - aveva organizzato per 90 invitati a Cortina il giorno dopo la strage, più precisamente nella villa della sorella di Gilberto, Giuliana. Si tratta di una tradizione che va avanti da oltre 20 anni e che quest'anno - aveva fatto sapere la famiglia - è servita anche per ricordare il più giovane dei tre fratelli, Carlo, mancato a luglio di quest'anno a 74 anni.
Secondo la fonte contattata dalla Verità, ieri il panfilo del valore di circa 11 milioni di euro, battente bandiera inglese (così le imposte finiscono a Sua Maestà), e recentemente messo in vendita, navigava al largo delle coste sarde. Non è dato sapere se Gilberto Benetton abbia intenzione di rimanere al largo della Sardegna o se abbia scelto di continuare verso altre mete per garantirsi la pace mediatica che, diversamente, in questi giorni non avrebbe, se fosse rimasto a casa a Treviso.
Un portavoce di Edizione - la holding della famiglia trevigiana che , attraverso la controllata Sintonia, ha il 30% di Atlantia - ha fatto sapere alla Verità che il manager «ha diritto di fare le ferie dove vuole anche se, vista la situazione, è sempre molto operativo e presente per seguire la vicenda del ponte. Abbiamo fatto una riunione ieri (il 19 agosto, ndr)», ha sottolineato il portavoce, «anche se non sappiamo dove si trovasse fisicamente».
Fatto sta che ieri pomeriggio Nanook era in mezzo al mar Mediterraneo. Si tratta di un gigante da 48,78 metri con sei cabine (una padronale, una vip, due matrimoniali e due doppie) in grado di ospitare 12 persone, oltre a cinque spazi per i 9 marinai. Un colosso con tanto di vasca jacuzzi vista mare, bagni in marmo, tv e impianto stereo in ogni cabina. Ci sono persino un pianoforte a coda e una sala con uno schermo da 40 pollici per godersi le ultime pellicole guardando l'orizzonte. Interamente in alluminio e acciaio, i Benetton si sono affidati a un arredatore, Alberto Pinto, per dare una rinfrescata agli interni dello yacht su cui ora sta navigando Gilberto.
Il panfilo è stato costruito nel 1996, ma nel 2016 gli interni sono stati interamente rifatti. Nel 2018 sono stati ritinteggiati anche gli esterni. «Uno yacht in condizioni eccellenti, mai affittato e utilizzato sempre ad uso privato», recita l'annuncio sul sito di Edmiston, la società specializzata nella vendita di superyacht (per chi fosse interessato, si può sempre contattare l'ufficio di Montecarlo dove la barca è in vendita).
Ad ogni modo, basti sapere che in molti non si potrebbero permettere anche solo di spostare Nanook (che prima di essere riammodernato si chiamava Charly Coppers). I due motori da oltre 2200 cavalli richiedono un serbatoio da 120.000 litri di gasolio per fare 4.000 miglia nautiche. Del resto, si tratta quasi di un palazzo galleggiante con tre scialuppe (due da 4 e una da 6 metri) e due moto d'acqua al suo interno.
Va però segnalato che quello su cui ora si trova Gilberto Benetton per la sua vacanza nel Mediterraneo è lo yacht più economico a disposizione della casata del maglioncino. Con i suoi 11 milioni di valore non ha nulla a che vedere con l'altro pezzo forte di famiglia, il Tribù: 50 metri e mezzo di lunghezza (poco più di Nanook) ma con un prezzo di 24 milioni di euro.
Questa però sarebbe l'imbarcazione più gradita al fratello Luciano. Un colosso ecologico a basse emissioni, dotato di un sistema di raccolta di tutte le acque, oleose, grigie, nere, che vengono trattate in vasche stagne e lì trattenute anche per parecchi giorni. Solo in un secondo momento potranno poi essere scaricate in apposite cisterne a terra o, ormai trattate e ripulite, versate in mare aperto dove permesso. Si tratta della prima barca al mondo con questo sistema.
Anche per Tribù, realizzato da cantieri Mondomarine di Savona, il lusso non manca: nel salone domina il bianco dei divani, il grigio e il legno scuro e piccoli particolari come un vecchio televisore Brion Vega e schermi ultramoderni a scomparsa. Anche qui ci sono l'immancabile pianoforte a coda, sala cinema e due palestre: una per l'armatore e una per gli ospiti, otto in totale più 13 persone di equipaggio. Se non altro, i motori dovrebbero consumare meno di Nanook: qui ci sono due propulsori da 1.250 cavalli. Un'altra differenza con l'altro yacht di casa Benetton è che il Tribù batte bandiera italiana. Una buona notizia, così almeno in questo caso i proventi delle tasse restano in acque patrie.
Gianluca Baldini
I pm puntano sul video «privato» del crollo
L'inchiesta della Procura di Genova sul crollo del ponte Morandi procede in maniera certosina. L'indagine è coordinata dal procuratore capo,
Francesco Cozzi, e condotta dall'aggiunto Paolo D'Ovidio e dai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. I reati ipotizzati dalla Procura, che fino ad ora non ha iscritto alcun nome sul registro degli indagati, sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti. I pm procedono per step successivi. Prima di tutto, occorre capire la dinamica esatta del crollo, subito dopo si passerà alle cause: se è stato davvero uno strallo a cedere, si analizzeranno i motivi del cedimento.
Per chiarire la dinamica del crollo, gli inquirenti stanno esaminando cinque video, acquisiti setacciando la zona, tre dei quali inediti. In particolare, un video ripreso dal basso verso l'alto da una telecamera di sicurezza della Italferr di via Bombrini è ritenuto «molto importante» dagli inquirenti. Nel video, che ha una inquadratura un po' angolata rispetto al ponte, si vede ogni tanto un fulmine, ma gli investigatori non sembrano convinti che la causa del collo possa essere stata questa, anche perché il ponte viene giù quasi tutto insieme nel giro di pochissimi secondi, circa 3. In questo video, si vede con chiarezza la dinamica del crollo: i finanzieri lo stanno analizzando fotogramma per fotogramma, anche attraverso ingrandimenti, insieme ai consulenti della Procura, per capire la causa del cedimento. Su alcuni particolari di questo filmato viene mantenuto uno strettissimo riserbo.
Il gruppo della Guardia di finanza di Genova, agli ordini del colonnello Ivan Bixio, ha la delega per ricostruire le possibili responsabilità insieme con i consulenti nominati della Procura, che sono due ingegneri: uno del politecnico di Milano, Pier Giorgio Malerba, specializzato in ponti, e uno di Genova, Renato Buratti. I consulenti già da venerdì scorso stanno effettuando sopralluoghi e rilievi sul luogo della tragedia, insieme ai finanzieri e ai Vigili del fuoco. Mentre gli esperti lavorano per ricostruire la dinamica del crollo e ipotizzano cause e concause, i finanzieri acquisiscono tutta la documentazione relativa ai campanelli di allarme sul disastro e ricostruiscono i passaggi burocratici. Ovviamente, la Procura dovrà far luce anche su eventuali carenze o omissioni nei controlli.
Ieri mattina la Guardia di finanza ha effettuato un blitz negli uffici del Provveditorato delle opere pubbliche di Genova. Le Fiamme gialle hanno acquisito il verbale della riunione dell'1 febbraio 2018 con cui il Provveditorato (come rivelato dall' Espresso) rilasciò il parere obbligatorio sul progetto di ristrutturazione di ponte Morandi presentato da Autostrade. Il Provveditorato alle opere pubbliche è un ufficio periferico del ministero delle Infrastrutture, che all'epoca era guidato da Graziano Delrio. Il verbale dava atto di una diminuzione della capacità di tenuta degli stralli del 20 per cento. La Guardia di finanza ha inoltre acquisito, a Milano, lo studio del Politecnico dell'ottobre 2017, commissionato da una controllata di Autostrade. «Per gli stralli del sistema bilanciato numero 9», si legge nelle conclusioni di questo documento, «è stato possibile identificare con confidenza solo 4 modi globali e 2 di essi si presentano con deformata modale non del tutto conforme alle attese e certamente meritevole di approfondimenti teorico-sperimentali». Sono stati anche ascoltati alcuni testimoni oculari.
Un altro documento interessante è il verbale della Commissione territorio e politiche per lo sviluppo delle vallate del Consiglio comunale di Genova, che lo scorso 18 luglio si riunì alla presenza di due rappresentanti di Autostrade per l'Italia e di alcuni esponenti di comitati civici che protestavano per i rumori causati dai lavori di manutenzione nelle ore notturne. Mauro Moretti, dipendente di Autostrade, spiega ai presenti che sul ponte Morandi sono state installate delle nuove barriere per evitare la caduta di oggetti sulle strade e sulle case sottostanti. «È chiaro», dice Moretti, «che per andare a installare queste nuove barriere abbiamo dovuto fare obbligatoriamente alcune lavorazioni sull'opera d'arte. Ricordo che l'opera d'arte è soggetta a delle manutenzioni costanti, vuoi per la sua vetustà vuoi per necessità di aggiornamento continuo di alcune parti dell'opera stessa, oggi per andare ad installare delle nuove barriere che hanno dei carichi, quindi delle azioni a cui sono verificate, superiori alle barriere precedenti, si è dovuto porre mano anche sull'elemento di supporto delle barriere», prosegue Moretti, «quindi rinforzare i cordoli: questo è stato un lavoro che ha portato la stazione appaltante ad operare oltre che sul cordolo laterale anche sulla soletta dell'opera d'arte».
Moretti affronta anche la questione del carro ponte per i lavori di manutenzione, «sospettato» dalla Procura di aver contribuito al crollo. «Autostrade», diceva Moretti lo scorso 18 luglio, «è andato a realizzare sui due lati dell'opera d'arte un carro ponte, anche questo visibile chiaramente da sotto». «Il carro ponte», ha invece sostenuto ieri Hubert Weissteiner, direttore della Weico di Velturno, la ditta che stava lavorando sul ponte, «non può aver contribuito al cedimento del ponte Morandi, perché non era ancora stato installato. Stavamo lavorando all'installazione di binari sui quali avrebbe dovuto scorrere». Ma il carro ponte, c'era o non c'era? Il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, risponde così a La Presse: «Il carro ponte era lì ed è venuto giù col ponte. Adesso è sotto con le altre macerie. Esaminarlo e capire se ha avuto un ruolo», aggiunge Cozzi, «è compito dei nostri periti. Non è escluso che il peso della struttura messa sul Ponte Morandi per la manutenzione possa avere in qualche modo influito sul crollo».
Intanto, la scorsa notte, sono stati segnalati scricchiolii provenienti dal moncone del ponte, attualmente sotto sequestro, che hanno convinto i Vigili del fuoco alla sospensione del recupero beni da parte dei cittadini sfollati. Nel caso in cui i Vigili del fuoco segnalino l'eventualità di concreto pericolo la magistratura genovese si è detta «pronta a dissequestrare e autorizzare l'abbattimento» del moncone.
Carlo Tarallo










