2024-08-31
Il killer di Sharon aveva con sé 4 coltelli. Lei colpita a caso, in 2 salvi per miracolo
Moussa Sangare, aspirante rapper, confessa. Per i pm «voleva uccidere, poteva essere chiunque». Si allenava con un bersaglio.Nella casa che occupava abusivamente a Suisio i carabinieri hanno trovato una sagoma di cartone con sembianze umane che usava come bersaglio per allenarsi con i suoi coltelli.La sua vita già tormentata, zeppa di problemi psichici e maltrattamenti in famiglia, di problemi giudiziari con tanto di accusa di aver tentato di accoltellare alle spalle la sorella, di insuccessi a lavoro e nella musica, la sua passione, sembra essere scivolata in una spirale di violenza senza controllo. Moussa Sangare, 31 anni, nome d’arte «Moses», nato in Italia da una coppia arrivata dal Mali (ha chiesto la cittadinanza al diciottesimo compleanno), stando ai magistrati di Bergamo che ieri, a distanza di un mese esatto dalla notte in cui le sue mani si sono sporcate di sangue, hanno sbrogliato il giallo, è l’assassino di Sharon Verzeni, 33 anni, barista, assassinata per strada a coltellate a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo. All’alba, dopo un lungo interrogatorio, Sangare ha confessato: «Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa». D’altra parte non c’era nessun legame tra lui e la donna che ha accoltellato, nessun motivo apparente che potesse trasformarsi in un movente. E mentre gli investigatori erano concentrati sul passato e sulla vita privata della vittima (compresi la relazione con il compagno e dei versamenti a Scientology) per cercare di trovare un nesso con qualcuno che poteva avere un motivo per toglierla di mezzo, è saltato fuori il video che alla fine, insieme alla testimonianza di due stranieri che l’avevano visto aggirarsi sul luogo del delitto, ha incastrato l’assassino: pochi minuti dopo l’omicidio Sangare è stato ripreso da una telecamera di sorveglianza mentre si allontanava in fretta da via Castegnate, una strada tranqulla. Ma solo fino alla notte tra il 29 e il 30 luglio, quando quella lingua d’asfalto si è trasformata nel teatro dell’orrore. Sangare era uscito di casa per uccidere. Aveva portato con sé il suo kit da lanciatore di coltelli (ben quattro), pronto a colpire. La fragilità della sua psiche non deve aver retto al richiamo del male. La preda, una donna bianca, sola, in piena notte, sembra il cliché della vittima di una serie infinita di delitti con le stesse caratteristiche. Sangare, stando alla ricostruzione dell’accusa, non aveva in testa un target specifico, solo una volontà cieca e distruttiva di fare del male. «Sharon si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato», ha detto il procuratore di Bergamo Maria Cristina Rota, che ha firmato il decreto di fermo, sottolineando l’assoluta casualità della scelta della vittima. Poi ha aggiunto una frase che fa gelare il sangue: «La vittima è stata Verzeni ma poteva essere chiunque di noi». Hanno rischiato grosso due ragazzini, che la sera stessa dell’omicidio si sono visti quell’omone di colore sfoderare le lame proprio davanti ai loro occhi. Se la sono data a gambe e hanno potuto raccontarlo. Gli ultimi episodi hanno dimostrato che, in realtà, Sangare è stato libero di trovarsi sempre nel posto sbagliato. Quando ha vuotato il sacco ha rivelato anche dove aveva nascosto l’arma del delitto e gli abiti insanguinati: vicino al fiume Adda, in una zona isolata che conosceva bene. L’arma del delitto l’aveva seppellita con cura sotto terra, mentre i vestiti e gli altri tre coltelli li aveva chiusi in un sacchetto e lanciati in acqua. I sommozzatori li hanno recuperati ieri mattina. Sono finiti tra i reperti, insieme al ceppo da sei lame che conservava a casa e dal quale mancavano esattamente i quattro pugnali che si era portato dietro. Tutti i tasselli sembrano finire al loro posto. Ma la dinamica del crimine ha in sé qualcosa di assurdo. Spinto da un impulso inarrestabile, che lui impropriamente definisce un «raptus», ha colpito senza pietà: un fendente al torace e tre pugnalate alla schiena. Il casellario giudiziario era pulito, ma la sua mente era un labirinto oscuro. Viveva da solo, nella casa in cui era entrato forzando la serratura, dopo essere stato allontanato dalla famiglia a causa di comportamenti violenti nei confronti della madre ma soprattutto della sorella. Era un uomo isolato, con pochi contatti sociali, che trascorreva le giornate vagando per le strade, spesso in sella alla sua bicicletta, come un fantasma. La cittadinanza non c’entra. Sangare, per nulla integrato, era un solitario. Aveva giocato anche nella locale squadra di calcio. Ma il gioco di squadra non era il suo forte. Il suo passato recente includeva una breve parentesi all’estero, dove aveva lavorato come cameriere, prima di tornare in Italia, incapace di trovare una stabilità. L’eliminazione a X Factor e il fallimento della parentesi collaborativa con i rapper Izi ed Ernia hanno mandato in frantumi anche il suo sogno. Sangare non è riuscito a sfondare. La frustrazione deve averla sfogata prima in famiglia. I vicini di casa della mamma (era orfano di padre) riferiscono di lunghe e frequenti litigate. I suoi problemi psichici, mai adeguatamente trattati, si sono manifestati in episodi sempre più violenti. E la discesa nella follia è stata inesorabile. Ora è in carcere, in attesa di un processo che dovrà fare luce anche sui suoi disturbi mentali. Mentre la Procura ha in mente di approfondire la sua posizione in relazione ad altri due omicidi consumati nella Bergamasca e rimasti irrisolti. Al momento sembrano ancora apparentemente scollegati da quello di Sharon, ma il Dna di Sangare è già stato inserito nella banca dati delle forze di polizia. Lui afferma di non aver commesso altri delitti. E durante la confessione, tra le lacrime, si è detto dispiaciuto. Ma quello che ha commesso non ha giustificazioni. Il suo difensore, l’avvocato Giacomo Maj, già cerca di tenere aperta la porta per una perizia psichiatrica. L’accusa è di omicidio volontario premeditato. E quella al momento del fermo sembra presentarsi come l’unica chance per evitare la massima pena prevista dal codice penale. Sangare può commettere altri reati, fuggire e occultare le prove, afferma l’accusa nel decreto col quale la Procura ha privato il lanciatore di coltelli della libertà. La prima tappa giudiziaria è fissata per lunedì, davanti al giudice per le indagini preliminari che dovrà interrogarlo per decidere se convalidare il fermo e trasformarlo in un arresto.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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