
La Regione Lazio recepisce le linee guida di Roberto Speranza che consentono di somministrare la Ru486 senza ricovero.Non c'è niente di meglio che sfruttare l'emergenza. Quando si vuole imporre un provvedimento discutibile, problematico e magari sgradito a una larga fetta della popolazione, la strategia migliore consiste nello sfruttare lo «stato di eccezione». La logica dell'emergenza impone di «fare presto», di «correre ai ripari». Non lascia tempo per ragionare e valutare nel dettaglio, per discutere ed elaborare soluzioni alternative. Soprattutto, la logica dell'emergenza permette di mettere a tacere gli oppositori, zittendoli con la scusa che non c'è tempo da perdere in chiacchiere. Ed è proprio sfruttando l'emergenza Covid che stanno cercando di imporre l'aborto fai da te. Lunedì la Regione Lazio governata da Nicola Zingaretti ha recepito le linee guida del ministero della Salute che consentono di somministrare la Ru486 anche senza ricovero in ospedale. La determina regionale, infatti, intende «rimuovere gli ostacoli all'accesso alla metodica farmacologica, nell'ottica di assicurare a tutte le donne che richiedono l'interruzione volontaria di gravidanza un servizio che tenga conto dei dati basati sulle evidenze scientifiche e rispettoso dei loro diritti». Sarà dunque possibile ottenere la pillola abortiva anche «in regime ambulatoriale»: basterà presentarsi, farsi dare la caramellina e si potrà tornare a casa. Le nuove linee d'indirizzo ministeriali sono state presentate nel pieno della scorsa estate. Un periodo in cui Roberto Speranza aveva evidentemente molto tempo libero: non solo si è messo a scrivere un libro (poi ritirato), ma invece di occuparsi della probabile recrudescenza dell'epidemia ha pensato bene di impegnarsi onde rendere più facile l'accesso alla Ru486. Già allora si tentò di giustificare il provvedimento usando il Covid come scusa. Visto che gli ospedali devono essere lasciati il più possibile liberi, si disse, meglio far sì che il farmaco abortivo sia somministrato «presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all'ospedale e autorizzate dalla Regione, nonché consultori». La Regione Lazio sta utilizzando lo stesso trucchetto, e a svelarlo sono proprio gli attivisti pro aborto. In una dichiarazione all'Ansa, Filomena Gallo e Mirella Parachini (associazione Luca Coscioni) e Anna Pompili (Amica-Associazione medici italiani contraccezione e aborto) lo dicono chiaramente: «È evidente come l'emergenza sanitaria legata alla pandemia Sars Cov-2 abbia facilitato l'introduzione dei cambiamenti approvati dalla Regione Lazio, diventando essenziale la riduzione della possibilità di contagio limitando il più possibile gli accessi in ospedale». Dello stesso parere è Vittoria Tola dell'Unione donne in Italia (Udi), che dice all'Adnkronos: «La scelta dell'uso della Ru486, così come prevedono le linee guida del ministero della Salute, e che tutte le Regioni dovrebbero adottare, non è solo rispettosa delle donne e della loro autodeterminazione. Ma è anche una scelta assolutamente adeguata al momento drammatico che stiamo vivendo con il Covid e la pressione sugli ospedali». Chiaro: in tempi di pandemia a tutto si può rinunciare, anche ai diritti fondamentali. Ma l'aborto guai a chi lo tocca. Che quella del Lazio sia una scelta ideologica, del resto, è piuttosto evidente. Altre regioni, in particolare il Piemonte e le Marche, si sono rifiutate di applicare le linee guida di Speranza. A quanto pare, però, là dove la sinistra è al potere le politiche abortiste sono d'obbligo. Qui, tuttavia, c'è molto di più in gioco dello scontro fra diverse visioni del mondo e della vita. Qui c'è in ballo pure la salute delle donne. Tanto per cominciare, il ricovero ospedaliero per chi assuma un farmaco abortivo non è una «imposizione medievale», ma una forma di tutela. Somministrare la pillola in ambulatorio significa, nei fatti, risparmiare posti letto e cure in ospedale. Vi sembra giusto farlo sulla pelle di donne che si trovano già in una condizione di estrema fragilità? Non è tutto. La Ru486 fa sembrare l'interruzione di gravidanza una faccenda semplice semplice, facile appunto come prendere una caramella. Ma i rischi di complicazioni esistono e non sono indifferenti. Nei mesi scorsi, dicevamo, la Regione Piemonte ha scelto di opporsi alle linee guida ministeriali. Lo ha fatto non solo per volontà politica, ma pure basandosi sulla valutazione dei professionisti della sanità, esperti che non hanno colore politico e che si occupano di gestire le strutture ospedaliere. La Direzione Sanità regionale piemontese ha prodotto un documento (inviato anche al ministero della Salute) in cui si spiegava che la pillola abortiva si può somministrare soltanto in ospedale, e non nei consultori o in altre strutture analoghe. Il motivo è che le «strutture territoriali extra-ospedaliere» presentano una lunga serie di carenze. Fuori dagli ospedali, hanno scritto i tecnici, non ci sono strutture adeguate, dotate dalla strumentazione idonea e che possano contare su personale specializzato e perfettamente formato. Insomma, consentire l'aborto facile in un consultorio o in un ambulatorio è piuttosto rischioso. Non ci sono però solo problemi tecnici a cui si potrebbe ovviare potenziando le strumentazioni degli ambulatori o formando il personale (posto che sarebbe un'ulteriore spesa). Ci sono anche un paio di questioni non secondarie che riguardano direttamente il medicinale Mifegyne (mifepristone), cioè la pillola abortiva. Secondo gli esperti della Regione Piemonte, «nel riassunto delle caratteristiche del prodotto (Rcp) del farmaco Mifegyne (mifepristone) è prevista dal 50° al 63° giorno la somministrazione di Gemeprost (analogo prostaglandine) in ovuli. [...] Allo stato attuale il farmaco è stato revocato dall'Aifa e si trova con difficoltà anche all'estero (forse in Usa a 500 euro a unità) con conseguente impossibilità di approvvigionamento». Traduciamo: quando si vuole procedere all'aborto farmacologico all'incirca tra la settima e la nona settimana, oltre alla pillola abortiva (mifepristone) bisogna prendere un altro farmaco, che in Italia è fuori commercio e che si trova con difficoltà in America a 500 euro a confezione, costo non coperto dalla mutua. Come vedete, assumere la Ru486 fuori dall'ospedale non è così semplice, anzi è piuttosto rischioso. Ma al ministro sembra non importare: a loro interessa che la pillola si diffonda sempre più. E se per sdoganarla si può sfruttare la pandemia, beh, allora ben venga il Covid.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.