2024-07-05
È la Settimana sociale o un centro sociale?
Il presidente della Cei Matteo Zuppi (Imagoeconomica)
Come avevamo preannunciato, l’evento della Cei a Trieste si è rivelato un festival a senso unico: più politica che spiritualità, tanti appelli contro i populismi e le destre ma nessuna presa di posizione su temi scomodi come eutanasia o utero in affitto.«Siamo contenti quando i cattolici si impegnano in politica». Dipende da quali. Il presidente della Cei Matteo Zuppi sorride estasiato, l’applausometro lo conforta, il pensiero unico schierato in prima fila all’inaugurazione della Settimana sociale di Trieste è un dolce muro avvolgente e invalicabile. Lui è contento perché - esattamente come aveva previsto un piccolo giornale - la kermesse giuliana ha tradito la sua missione ed è diventata un’apoteosi del cattolicesimo progressista, che dopo lo scioglimento della Margherita è felicemente confluito nel Pd. E oggi ne rappresenta l’anima curiale, facendo finta di non sapere che la stagione gruppettara dem a trazione Elly Schlein poggia su dogmi irrinunciabili come l’aborto, l’eutanasia e l’utero in affitto che per la Chiesa rappresentano «la cultura dello scarto contro la cultura della vita» (copyright papa Francesco).Santa orticaria, per favore si guardi altrove. Così il cardinal Zuppi preferisce non cogliere l’allarme che arriva dalle parrocchie, da quei fedeli sempre più lontani dai loro pastori naturali, smarriti e perplessi perché additati come opportunisti, conservatori, non convinti dell’intrinseca bellezza della «gestazione per altri» o della «dolce morte» in Svizzera (temi dai quali il cinquantenario festival biennale si tiene opportunamente alla larga). Quindi lontani e malvisti (i fedeli) da chi, mettendo la testa sotto la sabbia, ritiene di indurre i cattolici a nuotare dentro il placido fiume del conformismo. Liberaldemocratici, tradizionalisti devoti, tutta gente non rappresentata nella quattro giorni triestina, finanziata dalla Regione (500.000 euro più location pubbliche) ma di fatto trasformata in una Festa de l’Unità con profumo d’incenso invece che di olio fritto dai Red Brothers Francesco Russo (numero uno del Pd in Venezia Giulia) e dalla sorella Rosy che si occupa della comunicazione senza problemi di conflitto d’interesse.«Guardiamo con preoccupazione al pericolo dei populismi che possono privarci della democrazia o indebolirla», sottolinea Zuppi spingendo sull’acceleratore di temi cari al Nazareno con l’afflato di un Pierluigi Bersani mentre smacchia i giaguari. Migranti, lavoro, natura e «amore politico» perché «dal 1907 a oggi il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia». Certo che no. A differenza di oggi, in altre stagioni ben più decisive di questa, né la Chiesa, né i suoi rappresentanti laici hanno girato i chiavistelli e fatto scattare i catenacci dei portali, e non hanno usato l’appartenenza politica come green pass per includere ed escludere. Poi, parlando alla parrocchietta cattodem, Zuppi ha scandito la frase da lasciare alla storia: «I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno venga lasciato indietro». Per esempio quelli che non votano a sinistra. Lo sguardo addomesticato è fisso su un figlio solo. Lo conferma il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha portato a Trieste la sua democristianità demitiana, ammonendo la maggioranza nel Paese della dittatura delle minoranze, lasciando intendere la bocciatura del premierato, di fatto contaminando con la politique politicienne il dibattito sul cattolicesimo sociale. Vale la pena ricordare cosa intendeva il beato Giuseppe Toniolo per Settimane sociali da lui fondate: «Sono riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano». Aggiungeva il cardinale Pietro Maffi (1907): «I cattolici sono chiamati a procurare a noi e ai nostri fratelli il pane del corpo, il pane della giustizia, il pane della carità, il pane della verità, il pane della virtù e il pane infinito delle anime». Non parlava del pane imburrato dall’ideologia.Dentro la grande ansa fluviale del politicamente corretto non poteva che alzare la vela Mauro Magatti, sociologo di valore, docente all’Università Cattolica di Milano, da sempre integrato nel gotha intellettuale progressista, con un piede in San Pietro e l’altro al Nazareno. In un editoriale sul Corriere della Sera spiega che «sarebbe fuori luogo guardare a Trieste sul piano strettamente partitico». Ma dopo aver usato lo Stradivari per incensare Emmanuel Macron («un presidente illuminato e colto, vittima del risentimento popolare»), si impegna per un paio di cartelle a dimostrare che a sinistra sta la verità perché «occorre prendere atto che la crisi strutturale del modello della globalizzazione sta facendo vincere le destre. E che gli sconfinamenti verso posizioni estreme, xenofobe e razziste, sono sempre più diffusi e legittimati». Messaggio ricevuto. I cattolici non avranno un partito di riferimento, ma l’establishment politico, accademico e curiale sì. Eccome se ce l’ha. È addirittura un’area che va da Carlo Calenda a Luca Casarini. Di conseguenza i fedeli entrino e scelgano dove posizionarsi, sapendo che questo è l’unico parcheggio multipiano legittimato dalla compagnia del Bene Comune. Se vanno altrove riceveranno lo stigma. L’input è così cristallino che se n’è accorto perfino il Manifesto. Il quotidiano comunista ha pubblicato in prima pagina la messa cantata di Mattarella e di Zuppi a Trieste con il titolo «Avviso ai governanti», trasformando un presidente cattodem in purezza e un cardinalone con pantofola purpurea nelle nuove icone della revolucion operaista. Potenza della pastorale rossa. E di una Settimana sociale che invece di parlare ai cattolici li prende in ostaggio.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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