2021-04-03
«Serve una nuova alfabetizzazione. Riappropriamoci di tempo e patria»
Aurelio Picca (Leonardo Cendamo/Getty Images)
Lo scrittore Aurelio Picca: «In pandemia stiamo in una risacca putrida, passato e futuro sono cancellati. La scuola deve ricominciare dalla storia, per dare senso alla vita. Altrimenti ci resta la realtà social, Xanax per la solitudine».Con la faccia da attore del cinema e la statura, e con le macchine ferme nel garage della casa tra gli ulivi della collina di Velletri, Aurelio Picca me lo immagino come una fiera in cattività. Inquieta. Niente ristoranti, niente spaghettate sul lago. Lettura. Un po' di scrittura. Attesa. Quando lo chiamo, accetta al volo: «Ma non mettete la solita foto con la pistola…».Come sta, Picca? Che fa?«Penso, in questo periodo va così. Guardo la mia vita e conto le stagioni. Dicevamo che non esistevano più. Invece, con la pandemia la percezione è cambiata. Siamo usciti da un inverno complicato e mo' siamo in questa primavera... Fino a poco tempo fa cercavo di eternizzare la giovinezza in un rilancio continuo, anche nei libri… Ora comincio a srotolare le stagioni».All'hotel Miralago, Alfredo Braschi, suo alter ego in Il più grande criminale di Roma è stato amico mio (Bompiani), si specchia in Laudovino De Sanctis per fare il suo bilancio. Il suo qual è?«Diciamo che sono contento che questo ex ragazzino è diventato un uomo attraverso il lavoro che - anche se ne ho fatti mille - per me è la letteratura. Me l'hanno insegnato da bambino che con il lavoro ti costruisci il tuo nome. Mi sento come tutti gli uomini, pieno di rimpianti per aver vissuto poco. Invece, forse ho vissuto tanto, mi sento quello che volevo essere».Cioè?«Non uno scrittore per le copertine, ma uno scrittore con la sua piccola leggenda. Non volevo far parte della storia, ma della leggenda e credo di esserci riuscito. Quindi, quando certi apparati culturali mi fanno dei torti, non sanno che mi fanno un favore. Per me questi torti sono una vittoria perché rafforzano ciò che volevo e ho ottenuto: la singolarità, la mia assoluta libertà».Le caste di sacerdoti non reggono lo scandalo?«Non lo tollerano, ma non per questioni morali. Per questioni vitali».Per un fatto di maniera da una parte e di sangue dall'altra.«Sono gli ultimi feticci tarlati della decadenza della cultura italiana. Non c'è niente da fare. Il problema è che io sono uno scrittore scandaloso perché metto in gioco la mia vita, il mio carattere, la mia innocenza, la mia virilità, la mia fragilità. Paradossalmente, è ciò che dovrebbe dare energia, l'energia del talento. E dovrebbe permettere di gustarsela. Invece, questa vitalità è vista come qualcosa di eversivo rispetto a un copione che vuole restare sul piano della comunicazione, della ripetizione, dell'annacquamento. Non deve cercare l'assoluto, non deve avere lo scandalo della verità».Lei è uno scrittore non conforme.«Gli apparati sono contraddetti dalla gente che mi legge e mi ama, anche certi lettori privilegiati. Sono stato apprezzato dai Luigi Baldacci, Geno Pampaloni, Domenico Rea, Alfredo Giuliani. Io che non ho avuto un padre, ho trovato il lasciapassare dei padri della letteratura. Quelli che stanno negli apparati non hanno né passato né futuro. Sono bloccati nel carpe diem, in un eterno presente, dilatato come se non avessimo una storia. Ma questo è blasfemia, è nichilismo».Come fa chiuso in casa senza ristoranti?«Non sono un mondano pur conoscendo la mondanità. Il mio è il monachesimo della libertà».Spieghi.«Posso stare pure due mesi filati a casa perché ho la testa libera. Poi alle 10 di sera vado a cena a Nettuno. Questo mi manca, ci dicono di restare a casa. Con il tesserino da giornalista potrei andare dove mi pare, ma dovrei giustificarmi. La limitazione è più psicologica che altro. Io mi muovo in un teatro di visione, i Castelli romani come Los Angeles. Per bilanciare questo azzeramento, basta cambiare visione e cogliere il grumo di energia dove sta».Per esempio?«Con un po' di soldi rubati ai miei sperperi vorrei comprare un angolo di un palazzotto alla Don Rodrigo qui a Velletri, con un portale tardo nobiliare del Seicento. Serve per arpionarmi alla realtà, qualcosa che non galleggia nel vuoto».Per darsi un progetto reale.«Per me che sono un sepolcrale, la cosa più reale è lo strazio per la morte. L'ho già detto in un'altra intervista, le bare che si son viste sfilare ci hanno buttato addosso la morte. E adesso è già rimossa, numerizzata nel taglio basso dei giornali. Mentre è la cosa più sacra che abbiamo».Il palazzo di Don Rodrigo è un pezzo di passato che la porta nel futuro. «Ho un'idea di futuro su cui sto scrivendo un pamphlet per Einaudi. Una cosa per ragazzi, contro Pinocchio che è solo un burattino, un pezzo di legno. Invece, propongo di ripartire da Cuore di Edmondo De Amicis o da I ragazzi della via Paal. Dopo la pandemia credo ci sarà un nuovo neorealismo, tutti dovremo ri-alfabetizzarci».In che senso?«Ridare il nome alle cose reali. Lo sforzo principale va fatto sulla scuola. Oggi i ragazzi non sanno distinguere un rovere da un castagno, scrivono con il pennarello in stampatello, non conoscono il corsivo. Bisogna cambiare le priorità, altrimenti lo Stato continua a dare i fondi alle solite compagnie di teatro e di cinema che producono la solita comunicazione, il solito linguaggio televisivo declinato in tutti i modi. Invece le istituzioni educative devono ripartire dalla nostra storia. Per rinominare le cose in un sistema di vita, in un ordine coerente».Nel libro, mentre sta raccontando l'attesa di Laudovino del riscatto per il sequestro di Giovanni Palombini, lei scrive: «Il tempo correva. Il tempo non è lento». Com'è il tempo della pandemia?«È una specie di purgatorio degli orrori, giacché si parla tanto di Dante... Nel suo purgatorio le anime sono briganti e sanno di dover stare lì in attesa. Noi non siamo come le anime dantesche che pregano in una luce azzurrina, con l'oceano sotto la montagna. Noi siamo bruciati perché siamo in una risacca putrida dove il tempo è abolito. Viviamo un non tempo. Il presente ha senso se stai al lavoro, per congiungere passato e futuro. Ma siccome si cancella il passato, questo lavoro è abolito e viviamo un tempo psicotico».Un tempo vuoto o pieno?«Assolutamente vuoto perché non c'è più confine. Come nella testa delle persone, anche nello spazio. Sono state abolite le patrie, le identità. Tutto galleggia sospeso».C'è più o meno voglia di lottare?«Non c'è voglia di lottare. La lotta si è trasformata in una reazione muscolare, nella finzione dell'agire. Il vero problema è cosa accadrà dopo».Durante il primo lockdown si parlava di più del dopo.«Perché eravamo già sull'orlo del precipizio, la crisi economica, il Medio oriente, la Cina che avanzava, la Russia respinta. Eravamo già vicini al collasso. Il primo lockdown era una sospensione, assomigliava alla crisi del petrolio degli anni Settanta, uno stop passeggero. Ora invece siamo dentro il cul de sac del vuoto. La pandemia cambia tutto lo scenario».Addirittura.«Sì, tutto. Finora dicevamo che il Novecento era il secolo breve e che nel nuovo millennio i gruppi della new economy hanno creato la globalizzazione. A me sembra che la pandemia abbia allungato il Novecento, mostrando la fragilità della globalizzazione. Si sta chiarendo che non era una costruzione voluta dai popoli, ma messa su con gli stuzzicadenti dal potere, dalla finanza e da Internet. Strumenti non per tutti e di tutti, ma delle oligarchie». C'è meno voglia di lottare. E di amare?«Io vedo una solitudine sterminata che i social, invece di alleggerire, aumentano. I contatti reali sono quasi azzerati e i nuovi media danno l'illusione di averli. Sono lo Xanax della solitudine, un surrogato. È la stessa differenza che passa tra la sensualità e la sessualità, e la pornografia orizzontale».Segue la politica?«Da dilettante intelligente».Che sensazione le provoca?«Sono anti ideologico perché vengo da una cultura repubblicana e laica che però credeva in Dio. Noto che la sinistra non fa più gli interessi degli ultimi e di chi lavora e invece è alleata del grande capitale. Mentre, curiosamente, una certa destra, ancora da definire, si è avvicinata alle classi subalterne, al popolo. Credo che, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, in Italia serva una destra repubblicana, antifascista e anticomunista. Una destra conservatrice, in grado di saldare le istanze del popolo alle istituzioni. Era l'idea della Voce di Giuseppe Prezzolini».Ottimista?«Paradossalmente, la pandemia potrà creare le condizioni per un fermento libero dalle sovrastrutture ideologiche che finora hanno controllato l'arte e la cultura italiana. A destra vedo premesse migliori che a sinistra. Capisco più gli ex comunisti alla Marco Rizzo di tante figure di presunti innovatori».Perché vede più possibilità a destra?«Apprezzo Giancarlo Giorgetti, una persona giovane ma di vecchio stampo, che sta dentro le cose senza apparire. Salvini è rimasto movimentista. È una situazione che deve trovare equilibrio. Se ce la faranno, potrebbero innescare un'evoluzione che potrà essere utile anche alla sinistra. Altrimenti, se si sbrodola tutto, si perderà un'occasione». Ha paura della malattia?«Sì, mentre non ne ho della morte. La malattia mi rompe i coglioni perché ti accorgi che sei vecchio, è la perdita del sogno della giovinezza».Perché in Francia la amano?«Perché hanno il coraggio di riconoscere il talento, l'individualità. Hanno messo su Le Figaro littéraire la mia foto da ragazzo che gioca con la propria fragilità». Che destino avrebbe avuto Michel Houellebecq in Italia?«Forse non l'avrebbero pubblicato o forse solo un piccolo editore... Hanno accettato Oriana Fallaci perché era trasversale e ha scritto a favore dell'Occidente e dell'America. In altri tempi non so se avrebbe trovato la stessa sponda. Certi rimasugli di intellighenzia italiana si dimostrano pavidi con i potenti e superbi con il talento». Scriverà un romanzo sulla Roma dei premi letterari?«Non è il mio genere. Ho già sette-otto grandi libri da scrivere. In testa, sono già scritti. Devo solo mettermi a lavorare, non ho tanto tempo. Perché non voglio morire troppo vecchio».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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