2019-04-16
Libia, Serraj sgancia la bomba immigrati. «In 800.000 pronti a partire»
Il premier libico: «Khalifa Haftar è un cancro nel Mediterraneo». Una brigata del generale si arrende. Scovati 007 francesi al confine tunisino.Giuseppe Conte incontra il capo della Tripolitania e il numero 2 del Qatar: «Cessate il fuoco subito». Il ministro della Difesa: «Con la guerra avremmo rifugiati da accogliere». Matteo Salvini la stoppa: «Attracchi sigillati».Lo speciale contiene due articoliOttocentomila persone, poco meno degli abitanti della città metropolitana di Genova. Sarebbe questo, secondo il premier libico Fayez Al Serraj, il numero di migranti pronti a partire dalle coste della Libia dopo l'offensiva del generale Khalifa Haftar. Intervistato da Repubblica e Corriere della Sera, il capo del governo di accordo nazionale, l'esecutivo riconosciuto dall'Onu e sostenuto Italia Qatar e Turchia, ha invitato il nostro Paese a «fare presto» per evitare un'invasione: «Non ci sono solo gli 800.000 migranti potenzialmente pronti a partire», ha spiegato Serraj a Repubblica, «ci sarebbero i libici in fuga da questa guerra, e nel Sud della Libia sono già ritornati in azione i terroristi dell'Isis che il governo di Tripoli con l'appoggio della città di Misurata aveva scacciato da Sirte tre anni fa».Serraj fa appello alla comunità internazionale e lancia accuse al rivale Haftar: «Le sue truppe attaccano le strutture civili». «A Tripoli non ci sono terroristi come sostiene l'uomo forte della Cirenaica», continua il premier lasciando intuire che dietro la campagna lanciata da Haftar altro non ci sia che la volontà di mettere le mani sulla capitale e di conseguenze sulle entrate del petrolio.«Ci auguriamo che la comunità internazionale operi al più presto per la salvezza dei civili», dice Serraj proprio nel giorno in cui a Roma il premier italiano, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, avevano in agenda due incontri: quello con Ahmed Maiteeq, vice di Serraj e uomo forte di Misurata, e con Mohammmed Bin Abdulrahman Al Thani, vicepremier e ministro degli Esteri del Qatar. I due, tra l'altro, sono amici di lunga data. Sempre sull'asse Roma-Doha, oggi Emanuela Del Re, viceministro degli Esteri, interverrà alla Georgetown University in Qatar. Sull'asse Roma-Dubai, invece, sempre oggi, il vicepremier Luigi Di Maio incontrerà lo sceicco Abdullah Bin Zayed Al Nahyan, ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, l'uomo che, come ricostruito dalla Verità, a fine febbraio, più di un mese prima dell'inizio degli scontri a Tripoli, passò da Roma e incontrò l'altro vicepremier, Matteo Salvini, per consigliare all'Italia di scaricare Serraj e sostenere Haftar.Serraj ringrazia l'Italia per aver tenuto aperta l'ambasciata a Tripoli, «per mantenere in funzione l'ospedale da campo a Misurata» e «per il supporto politico» offerto dal governo. Poi però avverte: «Siamo di fronte a una guerra di aggressione che potrà diffondere il suo cancro in tutto il Mediterraneo». Come faceva Muammar Gheddafi, così ora fanno Haftar e Serraj: utilizzano il rubinetto dei migranti come strumento di ricatto. Né più né meno di quanto fatto negli anni scorsi dalla Turchia con l'Europa. Il numero, 800.000, fornito da Serraj non è nuovo: il premier tripolino lo ripete da mesi nei suoi viaggi per il Vecchio continente. Ma delle due, una: o Serraj ha ragione sui numeri e il dossier presentato alcuni giorni fa al premier Conte dagli 007 italiani che parlava di 6.000 migranti pronti a partire dalla Libia è sbagliato, oppure il premier tripolino, approfittando della giornata calda di ieri, l'ha sparata un po' grossa. Intanto, dallo scoppio delle ostilità, il bilancio è salito a 130 morti, 560 feriti e 16.000 sfollati. Ieri, un'intera brigata militare proveniente da Tarhuna e appartenente alle forze di Haftar si è consegnata uomini e mezzi (tra cui diversi pick up e blindati) alle forze di Misurata, alleate di Serraj, nella periferia Sud di Tripoli. Nella notte tra domenica e lunedì, invece, gli uomini dell'autoproclamato Esercito nazionale libico avevano lanciato cinque missili Grad sul quartiere di Abu Slim, causando almeno tre feriti e distruggendo diverse auto parcheggiate nei pressi. E ieri c'è stato il primo attentato a Bengasi da quando è iniziata l'offensiva su Tripoli: un'autobomba è esplosa al passaggio della vettura del colonnello Adel Marfoua, comandante dell'antiterrorismo di Haftar, che è riuscito a sfuggire illeso.In questo contesto, gli Usa rafforzano la presenza militare navale nel Mediterraneo con l'ingresso di una portaerei, un incrociatore lanciamissili e un cacciatorpediniere che saranno operativi a Napoli. Un segnale all'attivismo della Russia ma anche di sostegno a Roma e Tripoli. La Francia, invece, rimane al fianco di Haftar pur dopo averlo criticato. Secondo quanto riferito da Arabi 21, domenica 13 cittadini francesi sono stati fermati al confine tunisino, in uscita dalla Libia. Si tratterebbe, secondo il sito vicino al Qatar, di consiglieri militari delle forze di Haftar.Aggiungendo a questo il rinvio a data da destinarsi della conferenza nazionale libica prevista in questi giorni sotto l'egida delle Nazioni Unite, è sempre più chiaro il fallimento della mediazione internazionale per evitare la soluzione militare e favorire quella politica. Ieri, intervistato dalla radio della Bbc, l'inviato Onu in Libia, Ghassan Salamé, ha dichiarato che l'offensiva di Haftar su Tripoli «è più un golpe» che un'azione contro antiterrorismo. Una presa di posizione dura e nuova per il diplomatico, che sembra confermare quelle voci che lo danno prossimo alle dimissioni, con un paio di mesi d'anticipo sulla fine del suo mandato.Gabriele Carrer<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serraj-sgancia-la-bomba-immigrati-in-800-000-pronti-a-partire-2634709164.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-cerca-di-scongiurare-lesodo-ma-la-trenta-socchiude-gia-i-porti" data-post-id="2634709164" data-published-at="1758135165" data-use-pagination="False"> Conte cerca di scongiurare l’esodo. Ma la Trenta socchiude già i porti Se fino a 36 ore fa si era avuta la sensazione che la preoccupazione di una parte del governo (la catena Conte-Di Maio-Moavero-Trenta) rispetto al pantano libico fosse quella di transennare e ingabbiare Salvini, ben più che quella di esprimere una linea univoca ed efficace, la giornata di ieri si è incaricata di confermare e aggravare l'impressione. La spaccatura si è approfondita; rispetto al tema dei porti, si è perfino superata la soglia della provocazione verso il Viminale; e - per il resto - al di là di una raffica di incontri e contatti, l'impressione è quella di un'attesa passiva degli eventi, per non dire della contemplazione del disastro. La giornata di ieri si era aperta con un'intervista di Luigi Di Maio al Corriere. Un paginone e tre bordate contro il leader leghista. La prima, una sorta di surreale ramanzina: «Ci vuole responsabilità, non è uno scherzo quello che sta succedendo. La Libia non può essere trattata come un tema da campagna elettorale, è un interesse strategico del nostro Paese». La seconda, un'inattesa dichiarazione filo-Macron («La Francia è un Paese amico»), abbastanza incongrua considerando l'evidente lavorio dell'Eliseo contro l'Italia e a favore di Haftar, e resa comunque poco credibile dalla recente gaffe in Francia del leader grillino (il suo incontro con l'ala estremista dei gilet gialli). La terza, una sconfessione della linea del Viminale sui porti: «Chiudere un porto è una misura occasionale, risultata efficace in alcuni casi quando abbiamo dovuto scuotere l'Ue, ma è pur sempre occasionale». Poche ore, e, in totale sintonia con Di Maio, il ministro della Difesa Trenta ha peggiorato le cose, intervistata su Radio Capital: «Sono appena tornata da un viaggio nel Corno d'Africa, ero stata poco tempo prima in Niger: in questi Paesi abbiamo tassi di crescita demografica incredibili, il raddoppio della popolazione entro il 2030. Come pensiamo di poter gestire questo futuro con la chiusura dei porti? È impossibile, bisogna lavorare su una soluzione alternativa». E ancora: «Io credo che la diplomazia debba essere portata ai massimi livelli e che non sia utile sfruttare queste occasioni per fare politica, mentre è utile lavorare tutti nella stessa direzione per arrivare alla migliore soluzione possibile». E infine una sorta di avvertimento contro la linea di Salvini: «Se si dovesse arrivare a una guerra, non avremmo migranti, avremmo rifugiati: e i rifugiati si accolgono». A entrambi Matteo Salvini ha risposto in modo ruvido: «Rispetto il collega Di Maio che si occupa di lavoro, ma sui temi del controllo dei confini e della criminalità organizzata sono io a decidere. Se Di Maio e la Trenta la pensano in modo diverso, lo dicano in Cdm e faremo una franca discussione. I porti con me rimangono indisponibili, chiusi e sigillati ai mercanti di esseri umani». Tanto per ribadire la linea grillina e contraddire l'alleato leghista, a stretto giro di posta è intervenuto - senza alcun titolo per farlo - anche il presidente della Camera Roberto Fico: «I rifugiati non possono essere respinti: coloro che scappano da una guerra non possono essere respinti. Questo è il diritto internazionale, quindi mi sembra davvero scontato. È il diritto e così è». Insomma, molta energia spesa dai 5 stelle per dire che occorrerà accogliere i rifugiati. Forse varrebbe la pena usarne altrettanta per impedire l'esito più catastrofico della crisi. Su questo fronte, si segnalano i colloqui del premier Conte per un verso con Mohammed Al Thani, vicepremier del Qatar, e per altro verso con Ahmed Maitig, vicepresidente del Consiglio presidenziale libico, uomo forte di Misurata e avversario di Haftar. «Ad Al Thani ho ribadito la nostra forte preoccupazione per questa deriva militare», ha detto Conte. «Auspichiamo un cessate il fuoco immediato. Dobbiamo scongiurare una crisi umanitaria che potrebbe preannunciarsi devastante non solo per le ricadute sull'Italia e dell'Ue ma nell'interesse delle stesse popolazioni libiche». Peccato che il Qatar, sponsor dell'esecutivo Serraj, non abbia influenza su Haftar: anzi, può essere percepito come una controparte. Quanto a Maitig, la speranza di Conte è doppia: per un verso, che le sue milizie facciano argine all'avanzata delle truppe di Haftar; e per altro verso che Maitig costituisca un terzo elemento - auspicabilmente utile nella mediazione - rispetto al contrasto durissimo tra Haftar e Serraj. Basterà ad evitare il peggio e a ottenere che Haftar arretri? Daniele Capezzone
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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