2021-09-28
«Senza il pass niente cresima». Poi il parroco fa marcia indietro
Gualtiero Bassetti (Getty images)
In un audio il sacerdote di Gallipoli imponeva ai giovani di avere ricevuto almeno una puntura per ottenere il sacramento. Diktat smentito: «Chiesto soltanto il test molecolare». Ma assicura: «Tutti saranno ammessi»Dopo la gaffe sulla trattativa Stato-Chiesa per il green pass a messa, il cardinale Gualtiero Bassetti, capo della Cei, ha dovuto mettere la retromarcia: niente certificazione verde per partecipare alle funzioni. Ma c’è sempre qualche funzionario più zelante dei dirigenti. Sembra essere il caso di don Francesco Marulli, parroco della Beata Vergine Maria Addolorata di Taviano, un paese di 11.500 anime, a un quarto d’ora da Gallipoli. In Rete sta circolando un suo messaggio vocale, «per i ragazzi di cresima e per le loro famiglie», in cui il sacerdote trasmette un ordine perentorio: «Anche se, secondo i protocolli Cei, per venire in chiesa non è obbligatorio il green pass, però io stabilisco che i ragazzi di cresima debbano esibire il green pass, o almeno l’attestazione della prima dose di vaccinazione. I ragazzi faranno la cresima se saranno almeno vaccinati con la prima dose». Altrimenti, «se un genitore o un ragazzo non ritiene opportuno vaccinarsi, mi dispiace, ma salterà il sacramento». Una trovata che dovrebbe essere stata introdotta per le cerimonie previste tra ottobre e novembre, sebbene uno stretto collaboratore di don Marulli, «uno molto attento alla sicurezza», ci informi che il regolamento è già stato applicato «due mesi fa». Se così fosse, sarebbe nato contestualmente all’entrata in vigore del dl green pass.Raggiunto dalla Verità, il parroco di Taviano cambia decisamente versione: «È una notizia falsa», giura addirittura. Ma come? E quell’audio? «Nessun obbligo, nessuna imposizione. Rispettando le indicazioni del Papa e dei vescovi italiani, ho voluto semplicemente trasmettere un messaggio in positivo, per convincere i ragazzi della bontà della vaccinazione». Peccato che i cresimandi siano ragazzi «di primo superiore, quattordicenni». Lo sa, don Marulli, che diversi illustri scienziati hanno sollevato qualche perplessità sull’opportunità di far vaccinare i minori? Non si sentirebbe un po’ in colpa se uno dei suoi giovani fedeli, sottoponendosi alla punturina per via della sua «spinta gentile», si buscasse un’infiammazione cardiaca? «Gli effetti collaterali capitano anche agi adulti…», taglia corto lui. Ad ogni modo, il sacerdote garantisce: «Ho solo chiesto che, il giorno della cresima, si esibisca almeno il risultato del tampone molecolare effettuato 48 ore prima». Molecolare, badate bene: è quello che costa minimo 50 euro. Il rapido, evidentemente, non è considerato abbastanza sicuro per entrare nella chiesa della Beata Vergine Maria Addolorata di Taviano. Non c’è più la decima ecclesiastica; in compenso, è arrivata l’imposta sanitaria.Ma insomma, se qualche ragazzo, legittimamente - nessuna norma dello Stato e nessun protocollo della Cei lo costringono - decidesse di non vaccinarsi e di non tamponarsi, potrà farsela o no, la cresima? «Ma sì, ma sì, ci mancherebbe…», risponde don Marulli. Meno male. Nell’audio che circola sul Web, l’orientamento era diverso: chi non ha il green pass, o almeno l’attestazione della prima inoculazione (non si parlava di test Covid), «salterà il sacramento».Il parroco, a tal proposito, riferisce che, «nemmeno tre minuti dopo l’invio del primo messaggio audio», ne ha inoltrato un altro, per «rettificare». Non è chiarissimo se spontaneamente o spintaneamente, poiché durante la conversazione, a un certo punto, ammette che «alcuni genitori hanno chiesto spiegazioni». Questo secondo audio, don Marulli non ce lo fa ascoltare: «In sintesi, ho detto quello che sto ripetendo adesso a voi». Per fortuna, sembra che almeno i piccoli delle comunioni, probabilmente anche perché under 12 e non vaccinabili, siano esentati dalla disposizione. Su una circolare pubblicata sul sito della parrocchia, si legge che, domenica 2 ottobre, si potrà accedere alla celebrazione delle prime comunioni «solo tramite pass». Ma il don ci rassicura: «Non si tratta del green pass. È una specie di ticket, predisposto per evitare un eccessivo affollamento. Alla fine», conclude, «non è successo niente di che. Noi dobbiamo educare…». Già: alla salvezza dell’anima o all’ortodossia sanitaria? Alla mondezza dai peccati o all’immunità di gregge? «Eh, sa, io i sacramenti li devo amministrare in condizioni di sicurezza», sospira don Marulli. Al quale proponiamo un breve ripasso: i vaccini non offrono alcuna assicurazione contro le infezioni. Ma capiamo che, se persino Mario Draghi, presentando il primo decreto green pass, s’era lasciato scappare la fake news della «garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose», un parroco ligio alle indicazioni delle autorità possa essere indotto in confusione. In fondo, sono lontani i tempi di San Luigi Gonzaga, che si caricava in spalla gli appestati.Il prete salentino, tra l’altro, non è affatto un libero battitore. L’8 settembre scorso, ad esempio, serviva il green pass per assistere all’ordinazione episcopale del nuovo vescovo, nella cattedrale di Albano. E ormai si moltiplicano le diocesi che lo richiedono a parroci e laici che svolgono attività pastorali o di volontariato: Milano, Pinerolo, Brescia, Pistoia e, da ieri, Prato. Sullo sfondo, la gaffe del cardinale Bassetti, che prima ha evocato, appunto, una «trattativa» con il governo, e poi s’è rimangiato tutto, ribadendo che resteranno in vigore le regole attuali. Altrettanto cervellotiche: la medesima persona avrà bisogno del lasciapassare verde per entrare in un edificio sacro come ammiratore delle sue opere d’arte, ma non per partecipare a una liturgia. Si arriverà pure a questo? È possibile: nella Chiesa di Francesco, alla santificazione sta subentrando la sanificazione.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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