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2020-10-02
C’è immunità di gregge ma creano l’emergenza
Giuseppe Conte (Ansa)
Per la prima volta in Italia si affaccia la prospettiva di una possibile (e augurabile) «immunità di gregge», che in questi mesi di pandemia è stata spesso evocata a sproposito, mentre oggi - secondo il Gimbe - è la possibile spiegazione di un fenomeno nuovo che riguarda il Nord Italia. C'è un dato fra i tanti, infatti, che colpisce Nino Cartabellotta, nell'ultimo rapporto sui contagi da coronavirus, che la sua fondazione compila settimana per settimana, e che ieri il ricercatore del Gimbe ha presentato a Firenze nel Forum sistema salute. È un dato che dovrà essere confermato, interpretato e spiegato nel tempo, ma che per ora porta ad una sola conclusione, ed è una «scoperta» che si può definire sorprendente sia per il Nord che per la Lombardia: «Se osserviamo con attenzione i numeri sul rapporto tra i casi positivi e i casi testati, avendo cura di sottrarre i doppi tamponi confermativi - spiega Cartabellotta - ci si trova davanti a un fenomeno molto importante, anche dal punto di vista numerico».
Quale? «Gli ordini di grandezza nel rapporto tra Nord e Sud sembrano ribaltati rispetto alla primavera scorsa. Regioni come la Campania (5.4%) e la Sardegna (4.3%) stanno registrando, dopo l'estate, un fortissimo incremento di contagi reali. Mentre, al contrario, Regioni che sono state in passato fortemente colpite dalla pandemia, come la Lombardia (1,9%) e l'Emilia Romagna (2.2%), hanno registrato, nello stesso periodo, un forte abbattimento percentuale dei casi di positività». Così, quando chiedo al presidente del Gimbe, come si spiega questa inversione così significativa di tendenza, Cartabellotta mi dà una risposta sorprendente: «Se si contano i tamponi fatti in assoluto, come fanno molti, si ha una percentuale falsata. Se invece si valuta questo rapporto sui numeri netti si scopre che l'immunità di gregge è la spiegazione più probabile per questa forbice tra dati. E proprio questa ipotesi spiega anche perché, portati sullo stesso indice, i dati di Campania e Sardegna, una Regione che era Covid free prima dell'estate, e altre Regioni del sud, che erano state toccate meno, hanno oggi un grande incremento. Anche la Sicilia e la Puglia, che in primavera erano stati coinvolte marginalmente, oggi con il 3.5% e il 3,1% sono salite entrambe al di sopra della media nazionale» (che è il 3.1%, ndr). «In quei territori - aggiunge Cartabellotta - il virus era meno diffuso, e quindi adesso ha ancora grandi possibilità di contagio. Nel Nord e in Lombardia, evidentemente, ha già toccato settori amplissimi della popolazione, che oggi sono meno vulnerabili al coronavirus». Morale della favola: «Il “secondo giro" del contagio, chiamiamolo così, colpisce di più chi ha avuto minor esperienza del virus, e in proporzione minore chi ha avuto più contagi».
E qui c'è un altra considerazione che può sorprendere chi ha in mente le coordinate sulla pandemia che ci sono state fornite in questi mesi: «Se questa lettura è vera» aggiunge Cartabellotta «i numeri ci dicono anche che l'indagine epidemiologica dell'Istat della scorsa primavera era, come dico da mesi, largamente sottostimata. E per un motivo evidente: su un panel di 150.000 intervistati potenziali, ben 70.000 interpellati che erano stati inseriti nel campione all'epoca rifiutarono il questionario. Non avevano nemmeno la garanzia del tampone, cosa ridicola se si pensa ai costi di quella indagine, solo due milioni alla Croce rossa per l'attività di call center». Chiedo a Cartabellotta perché consideri così importante la revisione critica di quell'indagine Istat: «Cambia tutto. Non lo dice nessuno ma questo significa che l'impatto reale dell'epidemia al Nord è largamente sottostimato. Anche il dato finale di un milione e 482.000 italiani contagiati è sottostimato. Noi pensavamo che quella indagine fosse la cornice: invece potrebbe essere ancora la punta dell'iceberg». Non è una differenza di poco conto: «Non è un caso che questo sia stato l'unico, tra gli studi epidemiologici nazionali, a non essere pubblicato. Svolto in un momento particolare, certo. Ma anche alla luce di questi numeri - osserva Cartabellotta - andrebbe rifatto». Il monitoraggio della Fondazione si riferisce alla settimana 23-29 settembre e (rispetto al precedente), registra in ogni caso un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (12.114 vs 10.907). C'è un leggero aumento dei casi testati (394.396 vs 385.324), mentre dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (50.630 vs 45.489) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (3.048 rispetto a 2.604) e in terapia intensiva (271 rispetto a 239). Aumentano anche i decessi (137 vs 105). E qui c'è - forse -l'ultimo dato interessante. Il grafico di ricoveri ospedalieri e terapie intensive continua a seguire una dinamica di «crescita lineare». Il che significa, osserva Cartabellotta, che se nelle prossime due settimane non subirà impennate dovute alla riapertura delle scuole (serve questo tempo per monitorare gli effetti), che a dicembre presumibilmente avremo 10.000 ricoveri e 1.000 pazienti in terapia intensiva». E questo cosa significa? «che siamo al limite, ma che il sistema sanitario sarebbe in grado di reggere. Ecco perché - conclude Cartabellotta - le prossime di settimane di rilevazione dei contagi saranno decisive».
Verso lo stato d’emergenza infinito. Conte vuole blindarsi fino a febbraio
No, non è Viktor Orban, che per estendere i suoi poteri passò dal Parlamento ungherese (30 marzo), e poi vi ritransitò per porre fine alla straordinarietà (16 giugno scorso). Ma si tratta di Giuseppe Conte, che - di nuovo - tenta di aggrapparsi al virus e di prorogare ancora una volta lo stato d'emergenza.
Condizione giuridica eccezionale - giova ricordarlo - imposta dal 31 gennaio scorso, ormai un tempo lunghissimo. Poi Conte provò di soppiatto a far passare una proroga a metà maggio con il «decreto Rilancio»: in una delle primissime bozze, ben nascosta, c'era infatti la scelta - tutt'altro che neutra, anzi di altissimo impatto politico - di allungare lo stato d'emergenza di altri sei mesi. Poi, di bozza in bozza (qualcuno scrisse: anche su indicazione del Colle più alto), la discutibile norma sparì.
Due mesi dopo quel tentativo, il premier riuscì nell'intento a fine luglio, quando ottenne una proroga fino a metà ottobre, che dunque è ormai quasi in scadenza. E allora ieri Conte è tornato a battere sul punto, al termine di una visita a una scuola in provincia di Caserta: «Abbiamo convenuto che andremo in Parlamento a proporre la proroga dello stato di emergenza, ragionevolmente fino alla fine di gennaio 2021. Ieri (ndr: l'altro ieri) in Consiglio dei ministri abbiamo fatto un'informativa sul punto. C'è stata una discussione: abbiamo convenuto che allo stato della situazione, che comunque continua a essere critica per quanto la curva del contagio sia sotto controllo, viene richiesta la massima attenzione da parte dello Stato, delle sue articolazioni, della Protezione civile, dei presidenti di Regione e anche dei cittadini».
Inutile far finta che sia tutto normale. La decisione sarebbe clamorosa: non si capisce su quale base scientifica venga assunta. È vero che il numero dei casi non è trascurabile, ma ciò era previsto e prevedibile dopo le vacanze e la riapertura delle scuole; e comunque i numeri dei ricoveri e delle terapie intensive sono ancora sotto controllo. E in ogni caso non si vede perché serva una situazione giuridica emergenziale per far fronte a problemi sanitari e organizzativi.
Tra l'altro, l'Italia si fa vanto (anche giustamente) di numeri del contagio inferiori a buona parte dei Paesi europei, in questo momento. Ecco, in Europa, quasi tutti sono da tempo usciti da un assetto giuridico emergenziale, né - tranne eccezioni - intendono rientrarci, a prescindere dalle misure sanitarie (più o meno severe, caso per caso) adottate nei diversi Paesi per il contenimento della malattia.
Si ricorderà che anche l'ultima proroga fu motivata in un modo che apparve risibile a molti giuristi: per consentire - si disse - procedure accelerate (gare, appalti, ecc) in vista della riapertura delle scuole. E abbiamo visto come siano andate le cose.
Ora si punta a una proroga di altri tre mesi e mezzo, per arrivare a un anno pieno, fino al 31 gennaio 2021. Così, la retorica dello stato d'emergenza avvolgerà anche il periodo natalizio e Capodanno. Tragicomicamente, i retroscena delle ultime trentasei ore fanno registrare un'altra pensata, stavolta del ministro grillino Alfonso Bonafede (a quanto pare, spalleggiato dal dem Dario Franceschini): nientemeno che una maratona tv, con tanto di contatore in tempo reale, per indurre gli italiani a scaricare la app Immuni. Ma guarda: gli italiani, dopo i disastri dell'Inps, non si fidano di come la macchina pubblica potrebbe custodire i loro dati sensibili.
Le conseguenze dell'eventuale proroga (da quanto si apprende, il governo, forse attraverso il ministro Roberto Speranza, dovrebbe essere in Parlamento la prossima settimana per proporla) sono fin troppo chiare: mano libera per nuovi Dpcm (sia pure con il tenuissimo coinvolgimento parlamentare che è stato recentemente introdotto, e cioè una mera illustrazione preventiva alle Camere dei Dpcm, che tuttavia restano quello che sono: atti amministrativi non firmati nemmeno dal Capo dello Stato né convertiti dal Parlamento), e possibilità di istituire altri lockdown, eventuale colpo finale a un'economia già in ginocchio. Più un'ulteriore spinta allo smart working, che già paralizza da mesi le attività delle pubbliche amministrazioni. Ma la latitudine degli interventi autorizzati è praticamente senza limiti: lo stato d'emergenza consente infatti di derogare a qualunque disposizione vigente.
La realtà - inutile girarci intorno - è che il vero obiettivo di Conte è tutto politico: anche a costo di dare un altro colpo psicologico all'economia e alla propensione degli italiani ai consumi, il premier vuole continuare a usare l'emergenza come giubbetto antiproiettile, come protezione per blindare il suo governo. Su questo, è stata fulminante la battuta dell'autore di satira Federico Palmaroli, detto «Osho», che ha buttato lì l'ipotesi di una proroga dell'emergenza «fino a fine legislatura».
La cosa è due volte paradossale se si considera la «narrazione» che accompagnò la nascita del Conte bis: e cioè la denuncia della presunta aspirazione salviniana ai «pieni poteri», che in realtà era solo la richiesta di libere elezioni. Qui invece, senza elezioni, i pieni poteri qualcuno se li è presi e continua a prorogarseli per davvero. Per cercare di perpetuare l'emergenza anestetizzando il conflitto politico.
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L'ipotesi di Gimbe: «Il virus colpì in primavera un'ampia parte degli abitanti del Settentrione, ora meno vulnerabile del Sud».Il premier è intenzionato a prorogare il periodo in scadenza il 15 ottobre, nonostante l'epidemia sia sotto controllo. Così avrà mano libera per deliberare senza il Parlamento e istituire eventuali lockdown.Lo speciale contiene due articoliPer la prima volta in Italia si affaccia la prospettiva di una possibile (e augurabile) «immunità di gregge», che in questi mesi di pandemia è stata spesso evocata a sproposito, mentre oggi - secondo il Gimbe - è la possibile spiegazione di un fenomeno nuovo che riguarda il Nord Italia. C'è un dato fra i tanti, infatti, che colpisce Nino Cartabellotta, nell'ultimo rapporto sui contagi da coronavirus, che la sua fondazione compila settimana per settimana, e che ieri il ricercatore del Gimbe ha presentato a Firenze nel Forum sistema salute. È un dato che dovrà essere confermato, interpretato e spiegato nel tempo, ma che per ora porta ad una sola conclusione, ed è una «scoperta» che si può definire sorprendente sia per il Nord che per la Lombardia: «Se osserviamo con attenzione i numeri sul rapporto tra i casi positivi e i casi testati, avendo cura di sottrarre i doppi tamponi confermativi - spiega Cartabellotta - ci si trova davanti a un fenomeno molto importante, anche dal punto di vista numerico». Quale? «Gli ordini di grandezza nel rapporto tra Nord e Sud sembrano ribaltati rispetto alla primavera scorsa. Regioni come la Campania (5.4%) e la Sardegna (4.3%) stanno registrando, dopo l'estate, un fortissimo incremento di contagi reali. Mentre, al contrario, Regioni che sono state in passato fortemente colpite dalla pandemia, come la Lombardia (1,9%) e l'Emilia Romagna (2.2%), hanno registrato, nello stesso periodo, un forte abbattimento percentuale dei casi di positività». Così, quando chiedo al presidente del Gimbe, come si spiega questa inversione così significativa di tendenza, Cartabellotta mi dà una risposta sorprendente: «Se si contano i tamponi fatti in assoluto, come fanno molti, si ha una percentuale falsata. Se invece si valuta questo rapporto sui numeri netti si scopre che l'immunità di gregge è la spiegazione più probabile per questa forbice tra dati. E proprio questa ipotesi spiega anche perché, portati sullo stesso indice, i dati di Campania e Sardegna, una Regione che era Covid free prima dell'estate, e altre Regioni del sud, che erano state toccate meno, hanno oggi un grande incremento. Anche la Sicilia e la Puglia, che in primavera erano stati coinvolte marginalmente, oggi con il 3.5% e il 3,1% sono salite entrambe al di sopra della media nazionale» (che è il 3.1%, ndr). «In quei territori - aggiunge Cartabellotta - il virus era meno diffuso, e quindi adesso ha ancora grandi possibilità di contagio. Nel Nord e in Lombardia, evidentemente, ha già toccato settori amplissimi della popolazione, che oggi sono meno vulnerabili al coronavirus». Morale della favola: «Il “secondo giro" del contagio, chiamiamolo così, colpisce di più chi ha avuto minor esperienza del virus, e in proporzione minore chi ha avuto più contagi».E qui c'è un altra considerazione che può sorprendere chi ha in mente le coordinate sulla pandemia che ci sono state fornite in questi mesi: «Se questa lettura è vera» aggiunge Cartabellotta «i numeri ci dicono anche che l'indagine epidemiologica dell'Istat della scorsa primavera era, come dico da mesi, largamente sottostimata. E per un motivo evidente: su un panel di 150.000 intervistati potenziali, ben 70.000 interpellati che erano stati inseriti nel campione all'epoca rifiutarono il questionario. Non avevano nemmeno la garanzia del tampone, cosa ridicola se si pensa ai costi di quella indagine, solo due milioni alla Croce rossa per l'attività di call center». Chiedo a Cartabellotta perché consideri così importante la revisione critica di quell'indagine Istat: «Cambia tutto. Non lo dice nessuno ma questo significa che l'impatto reale dell'epidemia al Nord è largamente sottostimato. Anche il dato finale di un milione e 482.000 italiani contagiati è sottostimato. Noi pensavamo che quella indagine fosse la cornice: invece potrebbe essere ancora la punta dell'iceberg». Non è una differenza di poco conto: «Non è un caso che questo sia stato l'unico, tra gli studi epidemiologici nazionali, a non essere pubblicato. Svolto in un momento particolare, certo. Ma anche alla luce di questi numeri - osserva Cartabellotta - andrebbe rifatto». Il monitoraggio della Fondazione si riferisce alla settimana 23-29 settembre e (rispetto al precedente), registra in ogni caso un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (12.114 vs 10.907). C'è un leggero aumento dei casi testati (394.396 vs 385.324), mentre dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (50.630 vs 45.489) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (3.048 rispetto a 2.604) e in terapia intensiva (271 rispetto a 239). Aumentano anche i decessi (137 vs 105). E qui c'è - forse -l'ultimo dato interessante. Il grafico di ricoveri ospedalieri e terapie intensive continua a seguire una dinamica di «crescita lineare». Il che significa, osserva Cartabellotta, che se nelle prossime due settimane non subirà impennate dovute alla riapertura delle scuole (serve questo tempo per monitorare gli effetti), che a dicembre presumibilmente avremo 10.000 ricoveri e 1.000 pazienti in terapia intensiva». E questo cosa significa? «che siamo al limite, ma che il sistema sanitario sarebbe in grado di reggere. Ecco perché - conclude Cartabellotta - le prossime di settimane di rilevazione dei contagi saranno decisive».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/seminano-il-panico-ma-il-nord-potrebbe-aver-raggiunto-limmunita-di-gregge-2647881586.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="verso-lo-stato-demergenza-infinito-conte-vuole-blindarsi-fino-a-febbraio" data-post-id="2647881586" data-published-at="1601575403" data-use-pagination="False"> Verso lo stato d’emergenza infinito. Conte vuole blindarsi fino a febbraio No, non è Viktor Orban, che per estendere i suoi poteri passò dal Parlamento ungherese (30 marzo), e poi vi ritransitò per porre fine alla straordinarietà (16 giugno scorso). Ma si tratta di Giuseppe Conte, che - di nuovo - tenta di aggrapparsi al virus e di prorogare ancora una volta lo stato d'emergenza. Condizione giuridica eccezionale - giova ricordarlo - imposta dal 31 gennaio scorso, ormai un tempo lunghissimo. Poi Conte provò di soppiatto a far passare una proroga a metà maggio con il «decreto Rilancio»: in una delle primissime bozze, ben nascosta, c'era infatti la scelta - tutt'altro che neutra, anzi di altissimo impatto politico - di allungare lo stato d'emergenza di altri sei mesi. Poi, di bozza in bozza (qualcuno scrisse: anche su indicazione del Colle più alto), la discutibile norma sparì. Due mesi dopo quel tentativo, il premier riuscì nell'intento a fine luglio, quando ottenne una proroga fino a metà ottobre, che dunque è ormai quasi in scadenza. E allora ieri Conte è tornato a battere sul punto, al termine di una visita a una scuola in provincia di Caserta: «Abbiamo convenuto che andremo in Parlamento a proporre la proroga dello stato di emergenza, ragionevolmente fino alla fine di gennaio 2021. Ieri (ndr: l'altro ieri) in Consiglio dei ministri abbiamo fatto un'informativa sul punto. C'è stata una discussione: abbiamo convenuto che allo stato della situazione, che comunque continua a essere critica per quanto la curva del contagio sia sotto controllo, viene richiesta la massima attenzione da parte dello Stato, delle sue articolazioni, della Protezione civile, dei presidenti di Regione e anche dei cittadini». Inutile far finta che sia tutto normale. La decisione sarebbe clamorosa: non si capisce su quale base scientifica venga assunta. È vero che il numero dei casi non è trascurabile, ma ciò era previsto e prevedibile dopo le vacanze e la riapertura delle scuole; e comunque i numeri dei ricoveri e delle terapie intensive sono ancora sotto controllo. E in ogni caso non si vede perché serva una situazione giuridica emergenziale per far fronte a problemi sanitari e organizzativi. Tra l'altro, l'Italia si fa vanto (anche giustamente) di numeri del contagio inferiori a buona parte dei Paesi europei, in questo momento. Ecco, in Europa, quasi tutti sono da tempo usciti da un assetto giuridico emergenziale, né - tranne eccezioni - intendono rientrarci, a prescindere dalle misure sanitarie (più o meno severe, caso per caso) adottate nei diversi Paesi per il contenimento della malattia. Si ricorderà che anche l'ultima proroga fu motivata in un modo che apparve risibile a molti giuristi: per consentire - si disse - procedure accelerate (gare, appalti, ecc) in vista della riapertura delle scuole. E abbiamo visto come siano andate le cose. Ora si punta a una proroga di altri tre mesi e mezzo, per arrivare a un anno pieno, fino al 31 gennaio 2021. Così, la retorica dello stato d'emergenza avvolgerà anche il periodo natalizio e Capodanno. Tragicomicamente, i retroscena delle ultime trentasei ore fanno registrare un'altra pensata, stavolta del ministro grillino Alfonso Bonafede (a quanto pare, spalleggiato dal dem Dario Franceschini): nientemeno che una maratona tv, con tanto di contatore in tempo reale, per indurre gli italiani a scaricare la app Immuni. Ma guarda: gli italiani, dopo i disastri dell'Inps, non si fidano di come la macchina pubblica potrebbe custodire i loro dati sensibili. Le conseguenze dell'eventuale proroga (da quanto si apprende, il governo, forse attraverso il ministro Roberto Speranza, dovrebbe essere in Parlamento la prossima settimana per proporla) sono fin troppo chiare: mano libera per nuovi Dpcm (sia pure con il tenuissimo coinvolgimento parlamentare che è stato recentemente introdotto, e cioè una mera illustrazione preventiva alle Camere dei Dpcm, che tuttavia restano quello che sono: atti amministrativi non firmati nemmeno dal Capo dello Stato né convertiti dal Parlamento), e possibilità di istituire altri lockdown, eventuale colpo finale a un'economia già in ginocchio. Più un'ulteriore spinta allo smart working, che già paralizza da mesi le attività delle pubbliche amministrazioni. Ma la latitudine degli interventi autorizzati è praticamente senza limiti: lo stato d'emergenza consente infatti di derogare a qualunque disposizione vigente. La realtà - inutile girarci intorno - è che il vero obiettivo di Conte è tutto politico: anche a costo di dare un altro colpo psicologico all'economia e alla propensione degli italiani ai consumi, il premier vuole continuare a usare l'emergenza come giubbetto antiproiettile, come protezione per blindare il suo governo. Su questo, è stata fulminante la battuta dell'autore di satira Federico Palmaroli, detto «Osho», che ha buttato lì l'ipotesi di una proroga dell'emergenza «fino a fine legislatura». La cosa è due volte paradossale se si considera la «narrazione» che accompagnò la nascita del Conte bis: e cioè la denuncia della presunta aspirazione salviniana ai «pieni poteri», che in realtà era solo la richiesta di libere elezioni. Qui invece, senza elezioni, i pieni poteri qualcuno se li è presi e continua a prorogarseli per davvero. Per cercare di perpetuare l'emergenza anestetizzando il conflitto politico.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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