2021-03-03
Sei anni di errori targati Vestager
Margrethe Vestager (Getty images)
Smentita l’interpretazione della commissaria, che nel 2015 si oppose ai finanziamenti della Cassa di Teramo I giudici: «Errore di diritto. Non si può imputare l’intervento del Fondo interbancario alle autorità italiane»Pur trovandosi nel Centro Italia, la Cassa di risparmio della provincia di Teramo - poi chiamata in breve Tercas - è sempre stato un piccolo satellite del sistema del credito rispetto al Monte dei Paschi. Eppure, esattamente come Mps, il suo destino ha condizionato pesantemente la stagione dei crac bancari governati dalle regole europee sul bail in diventando un dossier ingombrante anche per Bankitalia. Un capitolo della storia bancaria italiana che, alla luce della sentenza emessa ieri dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, poteva essere scritto in maniera completamente diversa. l’avvocato generalePer la grande sezione della Corte, infatti, non ci fu aiuto di Stato nei fondi concessi dal Fondo interbancario (Fitd) alla Popolare di Bari per il salvataggio di Tercas nel 2014 e bocciati dall’Antitrust Ue all’epoca. I giudici hanno dunque respinto l’impugnazione del Garante europeo guidato dal commissario Margrethe Vestager che contestava la sentenza del Tribunale, risalente al marzo 2019, secondo cui i fondi non costituivano aiuti di Stato in quanto non controllati dalle autorità pubbliche italiane. La sentenza di ieri quindi annulla definitivamente la decisione dell’Antitrust Ue che a dicembre 2015 aveva ordinato all’Italia di recuperare da Tercas aiuti di Stato per 295,14 milioni di euro. Nel mirino finì in particolare l’operazione Tercas-Bari, ma la sua posizione ebbe un impatto determinante anche sui casi CariFerrara, Banca Marche e Popolare dell’Etruria segnando una tappa importante, se non fondamentale, del confronto tra Roma e Bruxelles sulle modalità di intervento per il salvataggio dei quattro istituti di credito. Già lo scorso 29 ottobre l’avvocato generale della Corte di giustizia Evgeni Tanchev aveva scritto nelle sue conclusioni (non vincolanti) che le motivazioni avanzate dalla Commissione non reggevano. Il Tribunale, aveva spiegato Tanchev a ottobre, si è limitato ad accertare che la normativa italiana non conferiva a Via Nazionale il potere di modificare le misure decise da un ente privato quale il Fitd. Inoltre, non si può sostenere che il Tribunale abbia valutato gli elementi di prova in modo frammentario e senza tenere conto del contesto. Da respingere anche la tesi secondo cui il Tribunale avrebbe snaturato il Testo unico bancario italiano e lo statuto del Fondo presieduto da Salvatore Maccarone. La bacchettata all’operato di Bruxelles ora è definitiva: secondo i giudici di Lussemburgo, il Tribunale Ue «ha correttamente dichiarato che tali misure non costituiscono aiuti di Stato in quanto non sono imputabili allo Stato italiano». E gli indizi presentati dalla Commissione per dimostrare l’influenza delle autorità pubbliche italiane sul Fitd «non permettono di imputare il suo intervento a favore di Tercas alle autorità italiane». Riassumendo: la Commissione non ha presentato sufficienti indizi per permettere di imputare l’intervento del Fondo allo Stato; l’influenza delle autorità pubbliche sul Fitd è del tutto irrilevante mentre l’assenza di un vincolo di capitale tra Stato e Fitd esclude la possibilità di imputazione allo Stato dell’intervento del Fondo stesso. Insomma, c’è stato «un errore di diritto», viene messo nero su bianco dalla Corte. slavinaErrore che però al tempo ha provocato un effetto slavina sul sistema italiano del credito. Quando nel 2015 per superare l’ostacolo posto da Bruxelles viene messo in pista lo schema volontario del Fondo (cui contribuiscono le banche «sane» del sistema), l’operazione ritarda i tempi di integrazione tra la Bari e Tercas, «con significative conseguenze negative sulla attività di entrambi gli istituti», spiegava Bankitalia in una sua ricostruzione della vicenda. Come a sottolineare che Bruxelles ci aveva messo del suo nel far precipitare la situazione. Di certo, Pop Bari è finita sull’orlo del crac, è stata commissariata e infine salvata a maggio 2020 con l’intervento dei 151 istituti consorziati nel Fitd che hanno stanziato 1,17 miliardi, da aggiungere ai 430 milioni del Mediocredito centrale cui è passato il controllo della Popolare, per coprire i 1,6 miliardi di capitale necessari e funzionali alla successiva trasformazione in spa. Ma soprattutto: per colpa di questo errore di diritto venne bloccato l’intervento del Fondo interbancario a favore delle quattro banche che poi nel novembre 2015 furono sottoposte a liquidazione coatta amministrativa con il sacrificio di azionisti e obbligazionisti subordinati, in un anticipo di bail in, che entrò poi in vigore a gennaio 2016. E con la necessità di aprire i costosi (per le altre banche sane) paracadute di «sistema» come il Fondo Atlante. Nel marzo del 2019, dopo la prima sentenza del Tribunale europeo, una mozione firmata dai senatori Alberto Bagnai e Daniele Pesco impegnava il governo Conte uno a presentare il conto dei danni a Bruxelles in base all’articolo 266 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui da una sentenza di annullamento deriva l’obbligo «per l’istituzione che ha adottato l’atto» di disporre un «ripristino adeguato della situazione del ricorrente» o di evitare comunque un atto identico. La sentenza di ieri non può comunque cambiare il passato. Ma rappresenta una grande novità in materia di aiuti di Stato nella Ue e crea un precedente importante.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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