Non solo il consigliere messo lì da Paolo Gentiloni denigra i «no vax», idolatra Toni Negri, vuole «ricacciare nelle fogne» la destra e «far sbavare di rabbia» la maggioranza: Marcello Degni ha il coraggio di difendersi e giura di «resistere, resistere, resistere». L’opera di sminamento di chi rifiuta la democrazia è solo all’inizio.
Non solo il consigliere messo lì da Paolo Gentiloni denigra i «no vax», idolatra Toni Negri, vuole «ricacciare nelle fogne» la destra e «far sbavare di rabbia» la maggioranza: Marcello Degni ha il coraggio di difendersi e giura di «resistere, resistere, resistere». L’opera di sminamento di chi rifiuta la democrazia è solo all’inizio.Il giudice, oltre a essere super partes, deve apparire tale.Così dice il buon senso, oltre che la legge. Ma Marcello Degni, magistrato della Corte dei conti, pare invece pensare che nulla, neanche il fatto di indossare la toga e di decidere in materie amministrative che si intrecciano a questioni politiche, gli impedisca di dire e fare quel che gli pare.Dunque, anche ieri, dopo che avevamo segnalato un suo tweet in cui arrivava fino al punto di augurarsi che il Paese finisse in esercizio provvisorio (per la mancata approvazione della finanziaria entro i tempi previsti), invece di chiedere scusa e rientrare nei ranghi, che dovrebbero essere appunto super partes, replica con un «Resistere, re-sistere, resistere»,scimmiottando Francesco Saverio Borrelli. Degni, tuttavia, più che il capo della Procura di Milano ai tempi di Mani pulite, sembra un capo partigiano che non si rassegna alla fine della guerra e, soprattutto alla vittoria delle elezioni da parte del centrodestra. E quindi pensa di dover combattere ancora fino al sorgere del Sol dell’Avvenire. Per capirlo basta dare un’occhiata al suo account e ai tweet che nel passato ha postato. Da militante più che da giudicante.Qualche esempio? Oltre al succitato tweet, in cui rimproverava alla sinistra di non aver fatto sbavare di rabbia il governo, e agli applausi a Roberto Saviano e Corrado Formigli, con invito a ricacciare al più presto nelle fogne i fascisti – testuale -, c’è un post con cui a ottobre del 2022 commentava la nascita del nuovo esecutivo. «Un governo di estrema destra e di basso profilo. Nessun in bocca al lupo. Alle opposizioni un appello per farlo cadere al più presto». Ma i giudizi più interessanti e certo non proprio adatti in bocca a un magistrato, sono quelli che hanno accompagnato la recente scomparsa di Toni Negri. In un tweet, Degni rilancia una frase del filosofo operaista («Il comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte la trinità della proprietà, dei confini e del capitale»), in un altro invece esalta Il Manifesto. Non quello del compagno Marx, ma quello più modesto che ancora oggi reca, con orgoglio, sopra la testata, la scritta «quotidiano comunista». L’immagine del post riproduce la prima pagina del 17 dicembre dello scorso anno, il giorno dopo la morte di Negri, con un’esaltazione del defunto. «Il Manifesto è il più bel giornale del mondo che io leggo dal numero uno (28 aprile 1971). Oggi in prima pagina e nelle successive quattro il giusto tributo a un grande comunista intellettuale raffinatissimo: Toni Negri attivo maestro». Che il grande comunista sia stato condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e per il concorso morale in una rapina - sentenza passata in giudicato - è evidentemente un dettaglio per il magistrato contabile. Il quale gioisce quando le scuole vengono occupate, festeggia quando le piazze si riempiono di migranti che protestano contro il governo e il centrodestra, si duole se la polizia interviene per respingere studenti che cercano di forzare il cordone delle forze dell’ordine. Dopo aver letto i post, la domanda non è se Degni sia super partes, ma se questo sia un giudice. Ovvero se un magistrato e servitore dello Stato possa esaltare un condannato per associazione sovversiva, augurarsi l’esercizio provvisorio del Paese, le scuole occupate, la cacciata - nelle fogne - di una maggioranza liberamente eletta eccetera. Per me è evidente che, nonostante il pomposo curriculum universitario e ministeriale, Degni non può stare dove sta, perché dopo le sue uscite qualsiasi amministratore che non fosse di sinistra si sentirebbe a disagio nel sapersi sotto le sue grinfie, giudicato da un tipo che, pur di battere un governo eletto, si augurava che il Paese finisse in esercizio provvisorio, scatenando la reazione dei mercati.Il tema, tuttavia, non è però il solo Degni. Le parole taglienti del giudice fanno emergere un apparato dello Stato e un sistema, che pur non avendo alcuna legittimazione popolare, si oppone strenuamente alla parte che ha vinto le elezioni. Stanno in gangli vitali nella vita del Paese e non accettano che a Palazzo Chigi non ci siano i loro amici. Anzi, i loro compagni. È l’Ancien Régime, che si reputa superiore per censo e cultura, e grida al fascismo e all’usurpazione ogni volta che può, intralciando il cammino di chi ha ricevuto il mandato dagli italiani. Che cosa significhi tutto ciò, lo ha spiegato bene l’altro ieri su Repubblica Giuliano Amato, uno che nell’Ancien Régime ci sguazza. Ai vertici della Repubblica da mezzo secolo, non si rassegna al fatto di essere stato estromesso. E con lui, tanti come lui. L’elenco è lungo e lo sminamento difficile.
Stefano Esposito (Ansa)
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