2021-06-27
Se l’educazione è in crisi, naufraga la vita
È la grande emergenza italiana: l'incapacità di saper condurre sé stessi e avere corretti rapporti con gli altri. Una regressione evidente negli ultimi 50 anni. Colpa di una classe dirigente incompetente e ostile alla morale severa su cui si era costruito il Paese. La vera e grande emergenza italiana, madre sciagurata di tutte le altre, è il naufragio dell'educazione. Attenzione, non si tratta di buone maniere, ma di sostanza. Come dice l'etimologia della parola è qui in ballo la capacità di «ducere», di condurre sé stessi e gli altri; questa è l'educazione: saper guidare la propria vita e i rapporti con gli altri. È una questione centrale perché riguarda la capacità e l'equilibrio personale e insieme quello sociale, entrambi oggi messi a rischio dalla crisi dell'educazione, che serve appunto a quello ma non c'è quasi più. A documentare questa crisi, oltre ai «cori da stadio e risse da pollaio» del ritorno delle movide descritte da Marcello Veneziani domenica scorsa, basta la cronaca quotidiana. Dai sempre nuovi episodi di corruzione e malaffare, alle complicità che li alimentano, alle violenze personali, ai traffici, menzogne e ambiguità dei responsabili delle Istituzioni. Sono tutti figli della diffusione della Mala Educación, film del 2004 di disperata tristezza, di Pedro Almodovar, ambientato negli anni Ottanta del Novecento, poi divenuto manifesto dei primi decenni di movide e cattiva educazione che da allora piombò (con governi socialisti) le ali dei Paesi mediterranei, Spagna, Italia e Grecia. È dunque un problema politico-cuturale, non solo degli italiani. Però per noi è particolarmente grave perché nuovo, ed è forse ciò che mostra meglio la regressione di questo Paese negli ultimi cinquanta anni. L'educazione, infatti, fu per secoli (e fino a non moltissimo tempo fa) l'unica carta che noi avevamo, in assenza di ricchezze del sottosuolo, di unità nazionale, di autonomia territoriale. In compenso avevamo ereditato la sapienza secolare del saper condursi bene nella vita, anche perché non c'era nulla da sperperare. Il Cristianesimo, religione dove le figure eminenti sono il «piccolo» e il «povero» ci aiutò con le sue Scritture a nutrire questa capacità attraverso formazioni dure, stili di vita essenziali e princìpi con tratti penitenziali, basati sulla consapevolezza che la ricchezza indebolisce fisico e anima, e che (come i ricchi beneducati hanno sempre saputo) l'unico modo di stare tra le ricchezze senza rammollirsi è quello di vivere come poveri, senza montarsi la testa. Questo è, del resto, il fondamento fisico e storico del proverbio la fame aguzza l'ingegno, e il genio italico deve a ciò il proprio sviluppo, apprezzato nel mondo e abbondantemente nutrito dalla povertà, al riparo degli appesantimenti decadenti delle società opulente. Così l'impero spagnolo, quello asburgico, quello francese, si consumarono nei secoli, uno dopo l'altro, sotto gli occhi spesso affamati degli italiani, per lo più magri (come nota Gaetano Salvemini), intelligenti e educatissimi; soprattutto contadini, ma anche artisti, e navigatori, e tutto il resto che sappiamo. Le loro classi dirigenti, prevalentemente agrarie, aristocratiche e militari, anch'esse educate alle stesse norme e discipline, confermavano questo quadro complessivamente parsimonioso, illustrato perfino dalle maschere teatrali. Don Giovanni, il ricco vanesio seduttore (e forse stupratore) seriale, è spagnolo. La maschera italiana più nota (e apprezzata) nel mondo è invece il laborioso Arlecchino di Goldoni. La sua colpa (chi non ne ha?) non è la vanità, la lussuria o la mania di grandezza ma l'avidità, che lo spinge a farsi servitore di due padroni pur di fare soldi. Il suo universo esistenziale è quello della povertà, e il guadagno il suo programma (eticamente non un granché, ma socialmente produttivo).L'educazione alla vita temprata dalla povertà continuò fino a dopo la seconda guerra mondiale, rappresentata nella gran parte dei film del neorealismo italiano, che conquistarono il mondo intero sia con la povertà e durezza delle situazioni rappresentate da Rossellini, Visconti, De Santis, Lattuada, Germi e tutti gli altri, sia per la straordinaria poesia ed educazione (pur nella più profonda ignoranza, a volte nell'analfabetismo) mostrate nelle storie dagli attori e registi dell'epoca. Le grandi capitali della cultura e del cinema, da Parigi a Londra a New York impazzirono in quegli anni per il cinema italiano e non fu questione di moda. Il mondo fu conquistato dalla forza d'animo di un Paese poverissimo e gentile, distrutto dalla guerra, ma di tale integrità da poter fare grandi cose; che infatti fece. Il «miracolo italiano», la trasformazione da povero paese, prevalentemente agricolo, a una potenza industriale moderna fu un vero miracolo, compiuto grazie a una forza temprata dalla fatica e la necessità, e alimentata da una morale e una cultura umana e cristiana sedimentate nei secoli. Lo sguardo con cui molte forze politiche guardavano però al mondo del lavoro, miniera di voti, non era benevolo. Fatica e necessità, antico vanto dell'uomo a lui garantite dalla Bibbia fin dall'inizio come necessaria prova e condizione del pane quotidiano, diventavano però brutte parole nell'ottica della società opulenta e tecnicizzata. Dagli anni Settanta in poi comincia così un processo politico e economico di distribuzione di denari cui non corrisponde più una produzione e un lavoro e l'Italia passa da dinamico motore dello sviluppo europeo a fanalino di coda. Si danno soldi per erogazioni straordinarie, pensioni anticipate, progetti che non verranno eseguiti, investimenti non fatti, iniziative non terminate. Come poi i tamponi e mascherine inesistenti del 2020. Per finanziare lo sviluppo debole dell'Italia al passaggio del secolo l'Italia costruisce così il debito più grande fra i Paesi europei. Prodotto dalla cattiva educazione civile e personale di dirigenti raffazzonati, incompetenti e ostili alla morale severa su cui si era costruito il Paese, e produttore dei nuovi e vistosi fenomeni di disordine e perdita della capacità di condurre la propria vita. Come la diffusione delle droghe, di cui la nuova politica non si occupa, e la corrispondente crescita dei ragazzi né/né, né studio né lavoro, dove siamo invece i primi in Europa. E chi non ci sta se ne va. Anche nella fuga dei giovani siamo ora i primi, né si può biasimare chi parte cercando di sfuggire alla diseducazione di massa e prendere nelle mani la propria vita. È per via di questa catastrofe educativa, che rinnega un secolare passato di sobrietà e di misura, che è arrivato Mario Draghi, uno che ha dimostrato di sapere come condurre sé stesso e gli altri. Dargli una mano potrebbe aiutare l'Italia educatamente capace a ritrovare sé stessa.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)