2020-06-09
Per certi scienziati
nei cortei «giusti» il virus fa meno male
Esperti di spicco Usa, fino a ieri contro gli assembramenti, ora li giustificano: non protestare per George Floyd è un problema sanitario.«Babbo, si può difendere la libertà limitando la libertà?». «Dipende. Chi l'ha detto?». Altan aveva capito molte cose anche della Scienza, detta anche «Lascienza», uscita a pezzi dai mesi del Covid che - se Dio vuole - ci stiamo lasciando alle spalle.Ovviamente «Lascienza» non ha nulla a che fare con la scienza, né con il lavoro di centinaia di milioni di ricercatori, accademici, medici, infermieri, buona parte dei quali impegnati a penetrare e sconfiggere l'imprevisto del virus. «Lascienza» è quella che, in combinato disposto con un sistema mediatico a caccia di colpevoli e certezze, si è mostrata prontissima a dire quello che serviva al momento giusto, e sempre in modo rigorosamente «scientifico» e «indipendente».L'ultima evoluzione de «Lascienza» si registra in questi giorni, e se non altro è così grottesca da far ridere. Per settimane il mondo si è contorto su tutte le possibili declinazioni del concetto «restare in casa» come strumento indispensabile per fermare il contagio, per non sovraccaricare il sistema sanitario eccetera eccetera. Però adesso a scendere in piazza in mezzo mondo non è chi sfida le disposizioni sul lockdown, ma chi combatte il razzismo dopo la tragica uccisione di George Floyd, il quarantacinquenne morto il 25 maggio scorso a Minneapolis in seguito all'arresto e alle brutali manovre di contenimento di un gruppo di poliziotti.E dunque, si può andare in piazza quando c'è il Covid? Dipende, direbbe il babbo seduto sul divano nella vignetta di Altan. Jennifer Nuzzo è una giovane epidemiologa molto quotata: nel suo cv appaiono Harvard e la Johns Hopkins University. Dirige inoltre l'Outbreak observatory, un centro di ricerca su temi sanitari finanziato dalla Johns Hopkins stessa e da Open Philanthropy, un gigantesco sistema di fundraising creato da Dustin Moskovitz , uno dei co-fondatori di Facebook. Da giorni la dottoressa Nuzzo sta dando nuove accezioni al termine «arrampicarsi sugli specchi» nel tentativo di fornire una risposta «scientifica» al problema di far coesistere l'appoggio politico alle manifestazioni antirazziste e le necessarie precauzioni contro il dilagare del contagio. Il tema è decisamente attuale, vista la radicale diversità con cui sono state osservate - anche dai media italiani - le piazze dell'opposizione e dell'ex sottosegretario alle Finanze del governo Ciampi, il generale Antonio Pappalardo da un lato, e le adunate in occasione della visita di Sergio Mattarella o - appunto - quelle mosse dalla sollevazione a stelle e strisce. Ecco, la dottoressa Nuzzo ha «buone notizie», perché, spiega dal suo account Twitter, la giustizia sociale e la sanità pubblica vanno di pari passo. Dunque anche a livello medico le piazze non sono tutte uguali: lo dicono gli esperti.Un interessante e appuntito articolo su Politico (disponibile gratuitamente al sito politi.co/3dLaLB4) rilevava questo paradosso: per mesi gli scienziati ci hanno detto di stare a casa, adesso molti di loro incoraggiano a scendere in piazza. In cima al peggio campeggia la Nuzzo, con questo straordinario assunto: «In questo momento, i rischi derivanti dal non protestare per chiedere la fine del razzismo eccedono enormemente quelli del virus». Sì, l'ha detto veramente. La confusione anche solo lessicale dei piani (giudizio politico e analisi epidemiologica) non deve stupire: è esattamente la sostanza del problema. Ma il contributo merita di essere seguito per cogliere il dramma del tempo presente.L'uscita della dottoressa Nuzzo non è un caso isolato. Come spiega anche il citato articolo, ci sono schiere di scienziati ed esperti che stanno davvero dicendo che dal punto di vista del rischio per la sanità pubblica le piazze pro George Floyd sono più sicure di quelle, per esempio, contro il lockdown. Un recente editoriale di Bloomberg (recuperabile a questo il link: bloom.bg/2MGBR09) recava il titolo: «Probabilmente il razzismo ha causato la crisi Covid 19». Ovviamente il ragionamento era molto più articolato: forme di ghettizzazione e arresti di massa, tipici di situazioni socialmente drammatiche spesso aggravate da connotati etnici, aumentano i rischi di diffusione pandemica. Però intanto il messaggio passa, tanto che, tra cauti distinguo, l'editoriale giunge alla seguente conclusione: «Se la disuguaglianza, le carceri e il razzismo peggiorano la pandemia, sorge un imperativo economico e morale. Dobbiamo tutti lavorare attivamente per realizzare una società meno razzista, meno punitiva e più eguale: sia per istinto di sopravvivenza sia perché è la cosa giusta da fare».Il sillogismo inverso è servito: se non vai in piazza per una «giusta causa» (stabilita come tale da «Lascienza»), non solo sei razzista, ma esponi tutti a un rischio maggiore anche dal punto di vista sanitario. Con lo stesso metodo «scientifico» si può attribuire una marcata inclinazione progressista al Sars-Cov-2, dal momento che minaccia meno chi scende in piazza contro i pregiudizi razziali rispetto a chi tutela la libertà costituzionale di non essere rinchiuso nella propria abitazione.Posizioni come queste non sono ovviamente condivise a ogni livello. Sono probabilmente maggioranza schiacciante gli scienziati ancora desiderosi di affermare che un raduno di massa facilita la trasmissione di un virus a prescindere dalle sue motivazioni. Ma i primi hanno accesso e visibilità incomparabile sui principali media, e costruiscono una mentalità diffusa. L'altra cattiva notizia è che, se davvero arriverà una nuova emergenza sanitaria, sarà ancora più difficile crederci e fidarsi di qualcuno.
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)
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