2022-03-18
Se all’università «studenti» è sessista
Alla Statale di Milano un vademecum per la parità di genere lessicale. Il risultato è una grottesca lezioncina sull’uso del femminile che fa felice i compagni da salotto. Dimmi che emergenza hai e ti dirò chi sei. Mentre a Kiev viene distribuito il vademecum di sopravvivenza (se si spara con armi di piccolo calibro nasconditi in un luogo chiuso come il bagno; se piovono colpi di artiglieria pesante buttati a terra, copriti le orecchie e apri la bocca per evitare traumi respiratori) a Milano entra in vigore il vademecum sul linguaggio di genere per essere alla moda in società. Lo ha stilato l’Università Statale in stretta collaborazione con l’amministrazione arcobaleno del sindaco Giuseppe Sala e ha un obiettivo: «Garantire l’equa rappresentazione della donna».Nobile intento declinato all’italiana, quindi con una somma considerazione dell’apparenza e con una mefistofelica inclinazione al futile. Il decalogo universitario è lungo 15 pagine e intende «rimuovere gli ostacoli di genere, fra i quali si ritiene sia da ricomprendere un uso della lingua non sufficientemente inclusivo», come scrive nell’introduzione Marilisa D’Amico, prorettrice a legalità, trasparenza e parità dei diritti. Il documento, che sta suscitando perplessità e ilarità fra i docenti, di fatto propone regole di comportamento nell’approccio orale e scritto di insegnanti e amministrativi. È un dizionario di buone maniere, è un «bon ton» senza l’autoironia di Lina Sotis, con consigli paradossali come scrivere «studentesse e studenti» o «comunità studentesca» invece del semplice «studenti», parola ormai in odore di sessismo. Nella comunicazione orale (assemblee, conferenze, congressi, laboratori, lezioni, seminari) «si suggerisce l’adozione di locuzioni che rendano visibili i generi». Per esempio, al posto di Gentili colleghi, Buongiorno a tutti, Si invitano i relatori, ecco le formule più politically correct identificate dal rettorato: «Gentili colleghe e gentili colleghi, Buongiorno a tutti e a tutte, Si invitano i relatori e le relatrici». Lo sforzo titanico dovrà essere esteso alle proclamazioni di laurea, dove il titolo di «dottoressa in» dovrà sostituire il generico maschile. Segue un surreale dizionario dalla A alla Z con le parole al femminile per «superare dissimmetrie grammaticali e semantiche». Praticamente è come dare ai docenti degli analfabeti, spiegando loro che il femminile di alunno è alunna, di avvocato è avvocata, di curatore è curatrice, di ingegnere è ingegnera, di ostetrico è ostetrica, di rettore è rettrice. E di preside è... preside. Dietro tutto questo sembra esserci la mano di vestali del femminismo da salotto come Michela Murgia, e infatti c’è: fra i testi sacri della bibliografia ispiratrice emerge l’imperdibile Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più della scrittrice sarda. Praticamente una bibbia. Siamo nel classico. Due passi nel delirio in chiave gender, del tutto pleonastici, evidentemente utili per tacitare le gastriti dei collettivi studenteschi di sinistra molto presi dalla cultura woke e dalla polarizzazione di genere provenienti dai campus siliconvallici della California ridens. Ogni battaglia necessita di un certo coraggio e la Statale non ha problemi ha mostrare il suo, rifacendosi a un protocollo d’intesa con il Comune di Milano, che ha 200 milioni di buco di bilancio ma non teme di investire risorse «in materia di formazione e sostegno sui temi del linguaggio di genere». Con specifico riferimento all’ateneo, e per non creare imbarazzi gender, il rettorato chiede che il Garante degli studenti diventi «Garante della comunità studentesca», che i Servizi agli studenti diventino «Servizi allo studio», che la Consulta dei dottorandi si trasformi in «Consulta dottorande/i». Siamo a un passo dallo schwa ma alla Statale non sono ancora pronti per la rivoluzione finale. Lo spiegano nel vademecum: «Le strategie linguistiche non sono vincolanti e non ambiscono ad assumere un valore imperativo, nella piena consapevolezza dell’esistenza di ulteriori meccanismi linguistici preordinati a garantire la parità fra i generi fra cui l’utilizzo di altri segni quali asterisco e schwa». Traduzione: si invitano i professori a tenere conto del decalogo, ma non sono obbligati. A questo punto rimane nel limbo la domanda suprema: chi fa canestro con la pallina di carta del vademecum rischia la solita discriminazione accademica? Merita una multa per deroga ai sacri canoni della neo-lingua? In teoria no, ma di questi tempi è meglio non testare il grado di radicalismo che aleggia nei santuari della cultura e della scienza.A Kiev consigliano di vestirsi di scuro per non attirare gli eventuali cecchini e di «proteggere gli infissi con un film adesivo per evitare che si rompano i vetri durante le sparatorie». A Milano di usare revisora e tecnologa per non finire nel vortice dei reprobi e non essere mitragliati da una shitstorm sui social. Poi non si spiegano perché l’Occidente è in rottura prolungata come ai tempi del deboscio tardoromano. «Non dimentichiamoci mai che pace è un nome femminile», ammoniscono le discepole di Lisistrata. Anche guerra, ma non si può dire.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)