2023-09-12
Le aule crollano sugli studenti e loro gli danno le mascherine
Massimo Andreoni invoca i bavagli in aula, Walter Ricciardi chiede di inoculare i bambini. Ai talebani del virus sfugge qual è il vero allarme: gli studenti feriti per i soffitti che si sgretolano.«Ritorno a scuola con la paura del virus» (La Stampa). «Rientro a scuola con l’incubo infezioni» (Il Messaggero). «Allarme Covid» (Tg La 7). In molte regioni è suonata la prima campanella, eppure sembra che sia suonata la campana. Più che a fare lezione, pare che i nostri figli debbano andare in un laboratorio contaminato da mortiferi patogeni. A ben vedere, però, il vero pericolo non è il coronavirus. Semmai, sono le mura e i soffitti pericolanti degli istituti nei quali trascorrono tra le sei e le nove ore al giorno, con il rischio costante che si stacchino pezzi d’intonaco. E senza nemmeno bisogno che si verifichi una scossa di terremoto. Si vede che, fino a questo momento, il Pnrr è stato utile per realizzare campetti di padel e piste ciclabili, ma non per rimettere in sesto il vetusto patrimonio edilizio dello Stivale. Vorrebbero che mandassimo i ragazzi a scuola con la faccia coperta. Invece, quella che dovrebbero coprirsi è la testa.Sulla cresta dell’onda di rediviva ossessione per il Covid, non potevano non surfare le virostar: c’è chi rivendica il diritto all’oblio e chi, contro l’oblio, lotta con ogni mezzo. Così, è ricomparso Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali, a invocare le mascherine in classe, che già i presidi avevano annunciato di voler distribuire agli alunni. «La scuola è da sempre una fucina di virus», lamenta il professore di Tor Vergata. Ha ragione. Solo che, un tempo, l’incubatrice di contagi era considerata una palestra per il sistema immunitario; adesso, nell’era sterile della medicalizzazione, ogni aula è una potenziale minaccia biologica. È questione di «senso civico», bercia il camice bianco: anche tra i più giovani ci sono i fragili. Per fortuna, sono una minoranza. Imbavagliamo pure le classi di sani? Se dovessimo ascoltare Walter Ricciardi, che dopo mesi di silenzio è risceso in campo con la grinta di un pilone, non basterebbe nemmeno foderare naso e bocca. Ci vuole - ammonisce sul giornale di Massimo Giannini - «una grande campagna vaccinale», che parta da anziani e malati, ma arrivi «fino ai bambini». Inseguiti con l’ago dalla culla alla tomba. Si fatica soltanto a comprendere un particolare : se, come sostiene l’ex consigliere di Roberto Speranza, non sono sufficienti manco quattro o cinque dosi più la guarigione entro sei mesi a proteggerci dall’infezione; e se neppure la sesta ci renderà immuni; be’, allora in che senso dovremmo vaccinarci «per proteggere la società»? Proteggerla da cosa? Dai minorenni con il raffreddore? Persino il più fondamentalista dei rigoristi, Massimo Galli, tentenna dinanzi all’ennesimo assedio ai ragazzini: «L’uso coattivo della mascherina non credo sia praticabile e ha effetti limitati, visto che, finito l’orario» scolastico, i giovincelli «non la porterebbero». Vivaddio: non si sono ancora bevuti il cervello. E manco le panzane dei «competenti». I quali si ostinano a ignorare le evidenze raccolte sul campo, prima e dopo la pandemia: il ricorso ai tessuti filtranti in comunità ha un impatto dubbio, se non del tutto nullo, sulla diffusione delle sindromi simil-influenzali e del Sars-Cov-2.E con ciò arriviamo al dettaglio - chiamiamolo dettaglio - che sfugge ai talebani del Covid, ringalluzziti dall’autunno imminente e fissati con i presidi igienici e farmacologici: gli istituti che si sbriciolano, i soffitti che cascano in testa ai ragazzi seduti al banco. Con tutto il rispetto per la sempreverde emergenza virale, magari ai genitori, che nel frattempo sono alle prese con l’ennesima stangata su libri e cancelleria, fa più paura un masso che precipita sul cranio del figlio, piuttosto che il naso che cola, il mal di gola, o qualche linea di febbre.Ci limitiamo a riferirvi i dati diffusi ieri da Cittadinanzattiva: tra il settembre 2022 e l’agosto 2023, sono stati registrati 61 episodi di crollo o distacchi di intonaco nelle scuole. È un numero, garantisce la Onlus, «mai raggiunto in questi ultimi sei anni», cioè da quando l’associazione ha avviato il censimento. Costretta, peraltro, ad attingere non a statistiche ufficiali del ministero dell’Istruzione, bensì alla «rassegna stampa locale». Ergo, il fenomeno potrebbe essere persino sottostimato: basta che, per un motivo o per l’altro, il misfatto non finisca sui quotidiani perché se ne perdano le tracce. Come se non bastasse, nell’ultimo anno, nella classifica sono entrati anche tre atenei. Tanto per gradire, per accompagnare lo studente durante il suo intero percorso formativo…La distribuzione degli incidenti risulta quasi uguale tra Nord e Sud: 23 casi al Settentrione, 24 nel Meridione e nelle isole, 14 nelle aree del Centro. E chiaramente, pende la spada di Damocle dei sismi, almeno nelle regioni dove la terra trema più di frequente e con maggiore intensità. La soluzione è un altro superbonus? Il maxi fondo stanziato dall’Europa? Fate voi. Anzi, faccia il governo. Intanto, chi rispolvera la questione dell’areazione delle aule - un cavallo di battaglia di Giorgia Meloni, poi archiviato insieme alle ansie pandemiche - si domandi: sono più urgenti i purificatori per rendere l’aria immacolata, oppure i lavori per mettere in sicurezza le strutture portanti delle scuole? La questione è seria: in un anno, ci sono stati sei feriti tra gli alunni, oltre a un docente e a una collaboratrice scolastica. Senza contare che, per riparare i danni, bisogna interrompere la didattica. Ci manca solo che la banda del Covid rispolveri quella a distanza.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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