
- L'uomo era in permesso: scontava 12 anni di carcere per omicidio. Ha quasi sgozzato la nuova fidanzata.
- La propaganda immigrazionista fa spesso leva sui risvolti etici, ma chi guida il Paese deve riferirsi alla legge, non alla coscienza.
Lo speciale contiene due articoli.
Di lui, oltre al nome e alla nazionalità, sapeva che faceva il cameriere nel bistrò in cui l'aveva conosciuto. Poi ha scoperto che riuscivano a incontrarsi poco perché lui era detenuto. Ma per mesi era riuscito a nasconderle di aver assassinato la fidanzata, 11 anni fa a Bergamo. E quando lei, una donna torinese di 44 anni, con delle approfondite ricerche sul Web ha scoperto la motivazione di quella detenzione alle Vallette, lui l'ha aggredita, tentando di fare il bis. Ha provato a sgozzarla. Safi Mohamed, 36 anni, tunisino, è stato arrestato con l'accusa di tentato omicidio aggravato. Godeva di un permesso di lavoro speciale, che ora gli è stato revocato. Avrebbe finito di scontare la pena nel 2020. E nell'attesa lavorava nel bistrò di una cooperativa sociale di Grugliasco, alle porte di Torino. Alle 2, stando alle prescrizioni del Tribunale di sorveglianza, avrebbe dovuto far rientro in carcere. Proprio dal bistrò, però, si è allontanato per parlare con la compagna, decisa a lasciarlo. L'appuntamento era al quartiere Barriera di Milano. Lì i due sono saliti su un tram della linea 4 per andare a casa della donna. Ma è cominciata una discussione che si è fatta sempre più accesa. E appena i due sono scesi dal tram, il tunisino l'ha spinta fino a farla cadere e si è avventato su di lei con una bottiglia di vetro scheggiata nella parte inferiore. Ha cercato di sgozzarla davanti agli sguardi impietriti dei passanti, provocandole una gravissima lesione del nervo facciale, per la quale la vittima è stata sottoposta a oltre due ore d'intervento in ospedale. I soccorsi sono arrivati in pochi minuti e l'immigrato, nonostante abbia tentato la fuga, è stato fermato in via Leini dalla polizia. Il quartiere d'altra parte era già stato circondato dalle forze dell'ordine. Ed è finito di nuovo dietro le sbarre. Segno che la pena per lui non ha avuto una funzione rieducativa. «Questa è la dimostrazione», ha commentato il segretario generale dell'Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria Leo Beneduci, «che in carcere, molto spesso, non ci sono stinchi di santo e che il lavoro della polizia penitenziaria è fondamentale per la sicurezza dei cittadini anche se qualcuno, con la storia dei torturatori, sta giocando a smantellarci». E anche dal Siap arriva un commento simile: «Bisogna riflettere, ancora una volta», ha affermato il segretario generale Pietro Di Lorenzo, «sull'esigenza di rivedere gli strumenti normativi che permettono, come in questo caso, la possibilità di recarsi fuori dal carcere essendo già stato condannato nel 2008 per l'omicidio della fidanzata». La relazione tra i due era iniziata circa sei mesi fa. E tutto sembrava andare a gonfie vele. La donna, però, aveva capito che dietro alle mezze risposte che il tunisino le forniva ogni volta in cui si toccava l'argomento carcere doveva nascondersi qualcosa di molto grave. Non immaginava però che l'uomo di cui si era innamorata era stato condannato per aver assassinato la ex, una ragazza di 21 anni, Alessandra Mainolfi, pugnalata al petto perché Safi, sposato con una tunisina che era rimasta in patria, dopo un periodo di convivenza ci aveva ripensato e per togliersi dai piedi la ragazza -che invece non voleva lasciarlo - l'aveva uccisa. Dopo l'omicidio fu lui a chiamare il 112, confessando con queste parole: «Ho ucciso il mio amore». Di amore non c'era nulla. Ritenuto colpevole, fu condannato a 12 anni di reclusione, su 15 che ne aveva chiesti il pubblico ministero.






