2025-05-29
Si surriscalda lo scontro fra governo e Consob. Caltagirone spara su Donnet
Francesco Gaetano Caltagirone (Ansa)
Giancarlo Giorgetti: «Paolo Savona? Le dimissioni si danno, non si annunciano». Unicredit punta Alpha bank e riceve offerte per la Russia. Affondo su Generali: «Manca visione strategica».Nel cuore della finanza italiana si sta giocando la partita più complessa degli ultimi anni. Una matassa che mescola dossier delicati come l’Ops (mai ufficializzata) di Unicredit su Banco Bpm, il disimpegno dalla Russia del gruppo guidato da Andrea Orcel, le influenze dei fondi sovrani e degli investitori istituzionali, e il governo che si muove in bilico tra difesa dell’interesse nazionale e i limiti imposti dai mercati. A rompere gli indugi, in modo tanto diretto quanto esplosivo, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Usa parole che alludono direttamente alle scelte di Paolo Savona, presidente della Consob: «Le dimissioni non si annunciano, si danno».Una frase lapidaria che ha alzato il velo sullo scontro profondo con la Consob e sul clima che si respira nei rapporti tra politica e l’organo di vigilanza.Un ministro irritato, un sistema spaccato. Le parole di Giorgetti non sono solo uno sfogo personale. Sono la cartina al tornasole di una tensione crescente verso la Consob, ma anche degli alleati di governo, come Forza Italia che giudicano severamente la scelta del golden power. Giorgetti – che non è mai stato un politico incline alla spettacolarizzazione – ha invece scelto di esporsi. E nel farlo ha inviato un segnale chiaro anche all’interno dell’esecutivo: se certe cose non si possono più controllare, allora che ognuno si prenda le proprie responsabilità.Nel frattempo, Andrea Orcel gioca una partita su più tavoli. Se in Italia il progetto di aggregazione con Banco Bpm è ostacolato dalla politica, in Russia prende corpo una possibile exit strategica. Secondo quanto riportato da MF-Milano Finanza, due fondi emiratini con base a Dubai sarebbero pronti a presentare un’offerta per Unicredit Russia. Un asset ormai non molto rilevante, ma politicamente sensibile.I fondi – già attivi nell’acquisto di partecipazioni di gruppi europei bloccati in Russia – punterebbero a rilevare la controllata con uno sconto del 60%. Un prezzo che riflette il rischio geopolitico, la exit tax imposta da Mosca e il via libera che occorre dalla Banca centrale russa e dal Cremlino. Ma l’operazione - per quanto complessa - è vista con favore anche da Palazzo Chigi: un’uscita anticipata dalla Russia, rispetto alla scadenza di nove mesi imposta dal golden power alleggerirebbe il dossier Unicredit smorzando un po’ di veleni.L’Ops su Banco Bpm, al momento frenata, potrebbe tornare d’attualità proprio se l’istituto guidato da Orcel dimostrerà di ridurre la propria esposizione in aree a rischio. Il tempismo della proposta emiratina non è casuale.Andrea Orcel, però non si ferma, vuole consolidare il ruolo di Unicredit ai vertici del sistema finanziario europeo. Così dopo aver incassato la promozione di Moody’s ha annunciato di aver raddoppiato la presenza in Grecia prendendo il 20% di Alpha Bank. L’obiettivo è di arrivare rapidamente al 29,9%. Stavolta si muove con la benedizione del governo di Atene. Nessun ostacolo regolatorio.Palazzo Chigi osserva, valuta, ma non dimentica il contesto. Lo confermano le frasi di Giorgetti, che in quelle sette parole («Le dimissioni non si annunciano, si danno») ha racchiuso non solo un monito verso Consob, ma anche un avvertimento a chi, nelle stanze della finanza, agisce come se non dovesse rendere conto a nessuno. E qui torna anche la polemica sul ruolo dei grandi fondi.Nel risiko c’è un giocatore silenzioso, ma onnipresente: Blackrock. Il gigante americano non solo è il primo azionista di Unicredit (con oltre il 5%), ma detiene anche una quota importante – sempre intorno al 5% – di Banco Bpm. Una posizione strategica, che gli consente di essere spettatore interessato (e potenzialmente decisivo) di ogni possibile operazione.Non parla ma agisce. È il potere sottile del capitale istituzionale, quello che non urla ma detta condizioni. E che, spesso, conta più delle dichiarazioni pubbliche. A contrapporsi c’è l’asse più «tradizionalista» del capitalismo italiano, incarnato da Francesco Gaetano Caltagirone. Dopo la battaglia persa per la governance di Generali, il costruttore romano ha alzato nuove barricate contro Philippe Donnet, amministratore delegato del colosso assicurativo. A Caltagirone non piace l’unione con i francesi di Natixis, non gli piacciono i numeri e non gli piace l’idea che il risparmio italiano venga catturato da logiche continentali o globali.Per Caltagirone, Generali deve restare indipendente. Una battaglia culturale, prima ancora che economica.«Donnet è un buon assicuratore, ma manca di una visione strategica», dice Caltagirone. «Sta demolendo una struttura costruita in due secoli per gestire i risparmi in cambio di una partnership fragile. Non c’è una valida giustificazione economica», aggiunge. Anche alcuni esponenti del governo hanno espresso i loro timori sul destino dei risparmi degli italiani e sugli investimenti in titoli di Stato nazionali dall’alleanza con Natixis. Donnet ha già messo le mani avanti. Di fronte alle critiche politiche il manager ha detto in una intervista che se durante l’iter autorizzativo «emergessero ancora riserve reali o incomprensioni da parte dell'esecutivo, il cda non potrà certo ignorarle».