2024-04-10
Zelensky e Nato verso la sconfitta, dopo una strage
Volodymyr Zelensky e Jens Stoltenberg (Getty Images)
La sconfitta dell’Ucraina non è più un’ipotesi remota. Ormai ne parla con facilità anche chi fino a ieri rifiutava di considerare la possibilità di trattare per porre fine alla guerra, considerando una sola possibile soluzione del conflitto, cioè la vittoria piena sulla Russia.Dal sostegno senza se e senza ma a Kiev, in poche settimane si è passati a frasi che aprono la strada a un’intesa che preveda un compromesso. Colpiscono le parole di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, da sempre uno dei falchi più determinati nel sostegno a Volodymyr Zelensky. «Alla fine dei conti», si è lasciato sfuggire durante un’intervista alla Bbc, «deve essere l’Ucraina a decidere che tipo di compromessi è disposta a raggiungere». L’ex premier norvegese, un tempo acceso rivoluzionario e poi altrettanto acceso conservatore, mai si era spinto a parlare di compromesso, ma solo di riconquista dei territori occupati dai russi, con il pieno ripristino della sovranità di Kiev. Le parole usate dal politico di lungo corso, che ha già pronto un posto da governatore del fondo che gestisce il patrimonio della Norvegia, di certo non sono statecasuali. Ma se qualcuno non avesse inteso, Stoltenberg ha aggiunto altro: «Dobbiamo consentire loro (agli ucraini, ndr) di essere in una posizione in cui possano effettivamente raggiungere un risultato accettabile al tavolo dei negoziati». Dunque, non si parla più di ricacciare le armate di Vladimir Putin dal Donbass e dalla Crimea, ma solo di ottenere un’intesa onorevole, che salvi la faccia a tutti, in particolare a Zelensky. Anche un altro falco, l’alto rappresentante della Ue, Joseph Borrell, ammette che la situazione in Ucraina è estremamente difficile e che la macchina militare russa marcia a tutta velocità, riconoscendo che tra i due Paesi in guerra «c’è un’evidente asimmetria». Parole diplomatiche, per dire che Kiev rischia di soccombere. Del resto, lo stesso Zelensky e il suo capo dell’esercito, per sollecitare l’invio di nuovi armamenti, da giorni paventano la sconfitta. Certo, questi ultimi agitano il rischio di una ritirata per suscitare sensi di colpa negli alleati e fare pressioni per ottenere nuovi missili e sistemi di difesa. Tuttavia, anche i loro discorsi confermano che la débâcle militare ucraina non è più un’eventualità non contemplata a Washington o Bruxelles, ma anzi è una questione all’ordine del giorno. Comunque vada, e cioè sia che il fronte ceda alla pressione dei russi, sia che, come dice Stoltenberg, Kiev si decida a intavolare un compromesso per limitare i danni, appare evidente che a uscire con le ossa rotte dopo due anni di conflitto non sarebbero i soli ucraini, ma anche i loro alleati, vale a dire noi occidentali. Non riuscire a far battere in ritirata le truppe di Putin nonostante gli aiuti militari ed economici, sarebbe una sconfitta epocale, la dimostrazione che non è più l’Occidente a dettare legge e che l’America non è più il guardiano del mondo. Certo, di fronte alle centinaia di migliaia di morti, dall’una e dall’altra parte, davanti alle centinaia di miliardi di danni che la guerra si porta dietro, le considerazioni geopolitiche non appaiono determinanti, ma in questo caso lo sono. La sconfitta dell’Ucraina, o se volete l’accettazione di una trattativa che riconosca a Mosca parte dei territori reclamati da Putin, sarebbe una sconfitta militare di Kiev, ma pure un disastro politico dell’Europa e degli Stati Uniti che, dopo la fuga precipitosa e ignominiosa dall’Afghanistan, si macchierebbe anche dell’onta di aver contribuito al disastro ucraino. Secondo il Washington Post, Donald Trump, in caso di vittoria alle prossime elezioni Usa, sarebbe pronto ad abbandonare Kiev al proprio destino, ma forse il piano è fatto circolare dalla stessa Casa Bianca, per spingere Zelensky ad accettare una trattativa prima che sia troppo tardi. Prima cioè che i bombardamenti a tappeto di Putin spazzino via la resistenza di un esercito indebolito dopo due anni di guerra. Insomma, l’obiettivo è imporre la pace prima del voto americano, per evitare a Joe Biden di presentarsi al voto senza una soluzione per l’Ucraina. Se i ragionamenti del candidato democratico sono comprensibili, resta però da chiedersi se due anni di guerra e mezzo milione di morti fossero proprio indispensabili.
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