2025-07-20
Sconcezze e blasfemia: è la satira, bellezza
L’imitatrice e comica, figlia del «povero» Paolo rimasto senza il vitalizio parlamentare, ha infettato il suo indubbio talento con l’oratoria del comizio politico. Che le ha portato censure e querele. Berlusconi l’eterno bersaglio, offese anche Ratzinger.Cognome e nome: Guzzanti Sabina. Eccelsa replicante di Moana Pozzi, ai tempi degli Avanzi (1991) di Serena Dandini su Rai 3, con i suoi test dalle tre possibili risposte che invariabilmente si concludevano con l’opzione porno: «C: ti tocchi?». Esilaranti le sue maschere, Lucia Annunziata e Barbara Palombelli, fotocopiate ciascuna con la propria inflessione: il salernitano spinto (replica dell’interessata: «Sabrina - nome storpiato forse per vendetta - tu mi hai dipinto come una che parla napoletano, ha gli occhi storti e non conta un c…o«), e il birignao romanesco radical-chic, tendenza Parioli.Sabina. Appartenente alla nobile schiatta mediatica dei Guzzanti's. Il fratello Corrado, un fuoriclasse riluttante (ogni tanto si appalesa, regala una «perla» di comicità, poi s’inabissa e sparisce dai radar).La sorella Caterina, l’Arianna della serie Boris.Il padre Paolo, «firma» tra le iene dattilografe, a cui il Collegio d’appello della Camera ha appena bocciato il ricorso suo e di altri 800 ex deputati - tra cui Antonio Bassolino, Claudio «a sua insaputa» Scajola, Italo Bocchino e Giovanna Melandri - contro il taglio dei loro vitalizi. Nonostante gli 8.000 euro al mese di pensione (doppia: da giornalista e da ex parlamentare), si è ritrovato, causa diatribe col fisco e assegno all’ex moglie, con 14 euro sul conto.Così ha lanciato un pubblico Sos, finendo spernacchiato da Vittorio Feltri: se Guzzanti è alla canna del gas è solo colpa sua, «tiri la cinghia senza chiedere oboli. È abituato ai lussi, allo sfarzo, al benessere. Oltre ai trattamenti previdenziali, gode pure di consistenti compensi come opinionista. E comunque io non gli manderei nemmeno un euro», tiè. E chissà come la Sabina G. degli anni d’oro avrebbe irriso la vicenda, se avesse riguardato qualcun altro. Peraltro, pure lei con la gestione delle finanze non si è barcamenata benissimo. Truffata da Gianfranco Lande, il Bernie Madoff dei quartieri alti, che prometteva interessi stellari e che invece le ha fatto perdere «150.000 euro sui 537.000 investiti in 10 anni. Mi sono sentita un’imbecille» (non sfiorata dal dubbio che si potesse trattare di un’operazione di tipo speculativo, in un’ottica turbocapitalista vagamente stridente con la storia di un’artista da sempre impegnata a sinistra, e che già in prima media leggeva Antonio Gramsci).Anche il monologo con cui Sabina sta girando la provincia italiana, Liberidì Liberidà, è presentato con un occhio di riguardo agli introiti: «Da oltre due anni Guzzanti si dedica al dialogo con Giorgia Meloni ed Elly Schlein, con l’unico obiettivo di attenuare il danno. Un lavoro impegnativo, spesso estenuante, portato avanti con abnegazione e sacrificio e senza che nulla gliene venga in tasca. Di qui l’idea di cominciare a monetizzare questa attività con una serie di conferenze spettacolo». Insomma: al netto degli ideologismi, più che a passare alla storia, si punta a passare alla cassa, mi pare cosa buona e giusta.Sabina l’ho ritrovata poche settimane fa sul sito di Repubblica, intervistata per la rubrica «La periferia del tempo» di Edoardo Prati, conosciuto come «l’Alessandro Barbero di Tiktok» (annamo bene), influencer culturale (e te pareva), classe 2004, in teatro (eccone n'artro) con il suo spettacolo Cantami d’amore, portato in tv da Fabio Fazio (e come te sbagli). Da tale mentore Prati ha assimilato l’arte della non-intervista: lasciare cioè che l’ospite se la canti e se la suoni, senza fastidiose interlocuzioni, dette altrimenti: domande. Nella mezz’ora di soliloquio, Sabina G. ha raccontato che vorrebbe apprendere da Schlein perché il Pd non organizza un congresso anziché «manifestazioni che non sanno neppure loro su cosa» Quanto al governo in carica, «Meloni ha una capacità di mentire che non ho visto neanche in Matteo Renzi, senza dimenticare che su questo fronte pure Silvio Berlusconi non era male». Berlusconi, già. La sua bestia nera. Anche se, a onor del vero, non è che con Massimo D’Alema - negli anni in cui era, disciamo, sugli scudi - i rapporti fossero tutti rose e fiori. Nell’autunno del 1998, Guzzanti condusse, per esempio su Rai 2, La posta del cuore, con il lìder Maximo imitato mentre era alle prese con il suo doppio allo specchio: arrogante, narcisista e innamorato di se stesso. Il che le procurò un irato titolo sull’Unità del 19 ottobre: «Allusioni e volgarità, la Posta del cuore diventa insulto in tv», nientemeno.Su questo, però, nessun amarcord.Perché a lei preme sempre rievocare solo la storia di Raiot, in onda nel novembre 2003 su Rai 3, «un innovativo format che mischiava satira e informazione, vilmente censurato davanti a tutti: non era mai successo che chiudessero un programma in corso d’opera». E come mai?Lo spiegò sul Foglio Giuliano Ferrara, fan del Cav: «Penso che ogni tanto qualche scappellotto ci voglia per questo tipo di bambinacce. L’elemento della truffa è quello che più mi colpisce. C’è stato un tentativo evidente di guadagnarsi la censura da parte della Guzzanti, che al suo mestiere, la satira, ne ha associato un altro, quello del comizio politico de borgata. Se uno - come avvenne anche con Daniele Luttazzi - vuole fare campagna elettorale a favore del proprio partito, non la fa in tv. Molto semplice: non è censura, sono regole, regole sane».Posizione non dissimile fu assunta dal presidente della Commissione parlamentare di vigilanza della Rai, Claudio Petruccioli, dei Ds: «Quella non era satira». Perfino Francesco De Gregori, ospite di Maurizio Mannoni a Linea Notte su Rai 3, interpellato sulla vicenda fu decisamente cool. Il Principe osservò che certo, i bavagli non sono mai una bella cosa. Aggiungendo che lui, però, ha un problema con la comicità contemporanea, perché a farlo ridere sono gli sketch dei varietà in bianco e nero, quello di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello. Per arrivare alla stoccata finale: tutto ciò premesso, ovviamente poi uno non si deve mettere nella condizione di farsi censurare. Allo spiazzato Mannoni non rimase che concludere salutando i telespettatori: «Ah. Ho capito. Buonanotte» (sì, buonanotte fiorellino).Con ancora il dente avvelenato, l’8 luglio 2008 Sabina G. salì sul palco allestito a piazza Navona per il «No Cav day», manifestazione - a cui il Pd non aderì - promossa da Antonio Di Pietro e Micromega, con interventi di Marco Travaglio e Beppe Grillo, contro il quarto esecutivo presieduto da Berlusconi. Con un comiziaccio che mi lasciò a bocca aperta. In cui immaginava papa Ratzinger che, una volta morto, andava all’inferno per essere «tormentato da diavoloni frocioni attivissimi e non passivissimi». Ma soprattutto sparava ad alzo zero sul leader dell’allora Popolo della Libertà.Ecco la cronaca di Aldo Cazzullo: «Il suo discorso è impostato sulle presunte abitudine erotiche del presidente del Consiglio, in un profluvio di cocaina, viagra, fellatio, in cui alla fine viene coinvolta la ministra Mara Carfagna per il delirio della piazza». L’intervento fu di tale, inusitata violenza verbale, che sobbalzarono perfino gli organizzatori. Sotto il palco successe di tutto, con Di Pietro che si sbracciava facendo ampi cenni di farla smettere.Un «disastro» (Nanni Moretti). «Esito circense» (Umberto Eco). «Volgarità e sconcezze» (Furio Colombo). «Ci vuole un esorcista e forse non basta» (Al Bano, no dico: Al Bano).Lei aggiusterà il tiro? Macché: «Continueremo a dire quel c…o che ci pare. Questa è la libertà. Io sono un’intellettuale libera, una libera pensatrice, so quello che dico, mi preparo. Volgare è il salotto di Bruno Vespa, sono le donne nude a Mediaset» (dove, a volerla dire tutta, avevano imparato la lezione contemplando le copertine scollacciate di Panorama e Espresso, i settimanali delle élite).Non contenta, l’11 luglio scrisse al Corriere della Sera dardeggiando il sempre civile e misurato (nonché documentato) Filippo Ceccarelli: «Questo sistema fradicio e corrotto vede nell’eliminazione del dissenso l’unica possibilità di salvezza. Scrive Ceccarelli: “Nulla del genere si era mai visto e ascoltato a memoria di osservatore”. Questa cosa, Ceccarelli, si chiama libertà. Hai fatto un'esperienza straordinaria. Col tempo apprezzerai la fortuna di esserti trovato lì». Ceccarelli non so, di certo sarà la stessa Guzzanti a dolersi di quella inqualificabile, sgangherata performance.Esattamente quattro anni dopo. Quando nell’ottobre 2012 il tribunale civile di Roma la condannerà a versare 40.000 euro per danni morali a Carfagna. «Ho avuto torto», riconoscerà Guzzanti, «e non è un titolo satirico. L’ho offesa».Per il vilipendio del Papa si mosse invece la Procura di Roma, ma il ministro della Giustizia (dal cui assenso dipendeva la perseguibilità del reato), il berlusconiano Angelino Alfano, dispose il non luogo a procedere: «Bisogna spegnere i focolai e non appiccare nuovi incendi». Dimostrando maggiore lucidità di Sabina G.Peccato abbia così mal gestito il suo indubbio talento. Ma del resto: «Sono molto più stronza di come mi dipingete». E se lo dice lei...