2025-01-30
Schillaci rimanda l’addio all’Oms che intanto avvia la questua globale
Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Il ministro glissa: «L’uscita non è nel programma di governo e la cooperazione internazionale è essenziale». Ok a riflessioni su fondi e governance: la Lega esulta. L’ente prova a raccogliere 1 miliardo in giro per il mondo.Uscire dall’Oms? No, però, discutiamone… Orazio Schillaci è abile a districarsi nelle questioni più spinose. Ne ha dato prova ieri, durante il question time in Senato, dove ha risposto alle interrogazioni di Marco Furfaro (Pd) e Matteo Richetti (Azione-Popolari europei riformatori-Renew Europe), sull’ipotesi che l’Italia abbandoni l’Organizzazione mondiale della sanità. Il dibattito si era aperto subito dopo l’ordine esecutivo di Donald Trump, che a decorrere dal 2026 ritirerà gli Stati Uniti dall’agenzia Onu. Palla colta al balzo dalla Lega: il Carroccio ha proposto un disegno di legge per portare anche il nostro Paese fuori dal carrozzone diretto da Tedros Adhanom Ghebreyesus.Il ministro della Salute ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte: «Sebbene l’uscita dall’Oms non sia contemplata nel programma di governo», ha spiegato, «credo sia legittimo e costruttivo un dibattito che miri ad analizzare criticamente il suo ruolo, con particolare riferimento all’allocazione, all’utilizzo delle risorse e alla governance. È nostro dovere, infatti, assicurare che ogni euro investito nella salute globale sia impiegato nel modo più efficace possibile». «La riflessione», ha precisato l’ex rettore di Tor Vergata, «riguarda la politica estera della nazione, quindi riguarda il governo e il Parlamento italiano». Uno a uno e palla al centro.Era noto che mollare l’ente responsabile della (mala) gestione della sanità mondiale non facesse parte dell’agenda del centrodestra. Pur volendo, nel 2022, a ridosso delle elezioni e con altri due anni e mezzo di Joe Biden davanti, l’Italia non avrebbe avuto il peso specifico per agire in maniera unilaterale. L’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha sparigliato le carte, anche se lo stesso tycoon, qualche giorno fa, ha lanciato un ramoscello d’ulivo: sarebbe disposto a rientrare nell’Oms, a certe condizioni. «Non so. Magari dovremmo darle un po’ una ripulita», ha commentato. L’importante sarebbe rivedere le quote dei contributi, correggendo la stortura per cui gli Usa versano più della Cina, benché abbiano molti meno abitanti. E benché la Cina sia molto più influente sui vertici dell’Organizzazione.Schillaci si è fatto interprete di un disaccordo che c’è davvero nella maggioranza: Fratelli d’Italia ha tenuto un basso profilo; l’azzurro Antonio Tajani, pur riconoscendo le colpe dell’Oms durante l’era Covid, ha chiesto di migliorarla senza demolirla; soltanto la Lega ha avuto il coraggio di entrare a gamba tesa, peraltro agganciandosi al treno dell’atlantismo. Ieri, il Carroccio ha comunque accolto con favore l’idea di ragionare sul funzionamento dell’agenzia: «Non chiediamo di meglio e lo faremo in Parlamento», si leggeva in una nota. La posizione del ministro, in realtà, sembra essere quella, anodina, delle riforme dall’interno. La pandemia, ha sottolineato, «ci ha insegnato che le minacce alla salute pubblica non conoscono confini. In questo contesto, rivendicare la propria sovranità in ambito sanitario è legittimo, ma questo deve tradursi in una presenza più incisiva e consapevole all’interno dei consessi internazionali. L’esperienza della pandemia ci ha dimostrato che solo con una cooperazione internazionale efficace e coordinata possiamo affrontare emergenze sanitarie di portata globale». Ma quell’esperienza ci ha dimostrato soprattutto che tale «cooperazione efficace e coordinata» non è stata raggiunta dentro i «consessi internazionali»: l’Oms ha fatto da megafono al Dragone. Poi c’è il ruolo della fondazione di Bill Gates, che ne è uno dei principali finanziatori. In più, l’unico tentativo di migliorarla si è tradotto in un Trattato pandemico e in un Regolamento sanitario che minacciano di sottrarre sempre più competenze agli Stati, quindi alle possibilità di esercitare un controllo democratico su decisioni in grado di intaccare i diritti costituzionali dei cittadini. Può darsi abbia ragione il giurista Daniele Trabucco: lo strumento del ddl potrebbe non essere quello più adatto per ottenere il divorzio dall’agenzia. Potrebbe essere meglio impegnare l’esecutivo al recesso attraverso una mozione parlamentare, anziché approvare una legge che verrebbe cassata dalla Consulta. Il punto è capire se esiste la volontà politica di prendere atto del fallimento storico dell’Oms: quando serviva, è mancata. È ancora redimibile? Su X, il grande oncologo britannico Karol Sikora, già direttore del Programma sul cancro dell’Organizzazione stessa, è stato lapidario: «L’ho vista dall’interno. Fa schifo. Nessuna vera riforma è possibile». A conferma che i malumori non sono figli di «ignoranza» e «superstizione», al contrario di ciò che lamenta la nostra senatrice a vita, Elena Cattaneo. In effetti l’Oms, più che del modo di migliorarsi, si sta preoccupando del modo di sostentarsi. Mentre Tedros medita un piano di austerità, è partita la campagna Web «One dollar, one world»: raccogliere 1 miliardo da altrettante donazioni da un dollaro ciascuna. L’elemosina planetaria. L’Oms «non è perfetta», recita lo slogan, «ma è tutto quello che abbiamo» per «proteggere la salute globale». Siamo messi bene.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci