
L'ultima frontiera del lusso di case come Nike e Adidas sono le serie a edizione limitata firmate da grandi campioni e cantanti. I ragazzini si accampano ore fuori dai negozi per accaparrarsele. E i «reseller» le comprano per rivenderle a prezzi maggiorati Dodicimila euro per un paio di scarpe. L'ultima frontiera del lusso è racchiusa nella gomma fluorescente delle Nike. In tomaie di pelle sintetica, tra le stringhe di Adidas a tiratura limitata. Le scarpe da tennis, le stesse scarpe di cui cantava Enzo Jannacci nel 1964, mettendole ai piedi del suo «barbon» innamorato, sono diventate simbolo dell'ambizione giovanile. I millennials, ragazzini cresciuti a pane e tecnologia, si struggono dal desiderio di possederne un paio. Perché non basta Foot Locker, la filiera delle sneakers prodotte in serie e vendute a prezzi calmierati. I ragazzini chiedono di possedere un'esclusiva. E l'esclusiva costa caro.Le scarpe da ginnastica più ambite oscillano tra i 500 e i 125.000 dollari. Le marche sono le stesse che si possono adocchiare nei negozi comuni. A cambiare, sono i modelli. I brand hanno pensato bene di affidare ai personaggi più vari collaborazioni a numero limitato. Si telefona a un gran cantante, uno stilista rinomato, si contatta un giocatore di basket e gli si chiede di firmare alcuni modelli, in numero limitato, poi lanciati sul mercato a prezzi indicibili.Marcelo Burlon, nel raccontare il fenomeno ai microfoni della trasmissione Rai Nemo, ha parlato di hype: «Butti sul mercato mille paia di scarpe e (i ragazzi, ndr) vanno fuori per avere quelle mille paia di scarpe. Diventa un caos, fa sì che il marchio rimanga a galla nell'hype», termine usato - soprattutto in pubblicità - per descrivere l'attesa febbricitante che precede il lancio di un prodotto. Nike, insieme a Supreme, ha rivisitato le proprie Air Force 1 High e le ha messe in vendita alla bellezza di 1.195 dollari. Poi ha stretto una collaborazione col marchio Off-White, di cui è socio lo stesso Burlon, e creato pezzi del valore di 1.500-2.570 dollari. Ha messo al soldo LeBron James e Kobe Bryant, quotando scarpe fino a 4.000 dollari. Converse ha stretto una partnership col brand Kith e con Coca-Cola, creando All Star da 900 e più dollari. Vans ha ingaggiato Karl Lagerfeld e Adidas, da parte sua, ha creato la Yeezy, sfoggiata notte e giorno dal rapper Kanye West. Un paio di Yeezy oscilla tra 300 e 1.200 dollari, le Adidas firmate dal cantante Pharrell Williams possono spingersi ben oltre: nel maggio scorso una delle sue creazioni è stata battuta all'asta per 12.350 dollari, cifra ridicola se paragonata ad altre. In omaggio a Craig Sager, famoso speaker Nba morto di leucemia nel dicembre 2016, Nike ha creato un paio di Jordan esclusivissime: 25.000 dollari di scarpe sgargianti. Causa un difetto di produzione, ha poi rilasciato un paio di Jordan sui generis: la tomaia è arancione e bianca ma l'iconico baffo, nero, è capovolto. Una sorta di Gronchi rosa delle scarpe sportive. Quelle Jordan oggi valgono circa 125.000 euro e sono custodite, come una reliquia, in una teca di vetro. Le scarpe non sono che l'inizio. La punta di un iceberg, fatto di code infinite, traffici illeciti, reseller dall'identità nascosta. Le scarpe di lusso, solitamente, sono vendute nell'ambito di eventi organizzati. Un negozio compra una partita, sponsorizza il fatto e mette in piedi una vendita evento. I ragazzini si organizzano. Alcuni si accampano fuori dal negozio con ore di anticipo. Bivaccano con tende e sacchi a pelo. All'apertura mattutina, non tutti riescono ad entrare. C'è chi rimane fuori, con le pive nel sacco, chi entra senza trovare il proprio numero. Qualcuno lamenta malaffare, denuncia corruzione. Dice esistano figure controverse, «pagate» per gestire i flussi lasciando passare solo qualche strano favorito. Tra questi privilegiati, vanno annoverati i «reseller», re dei mercati neri. Si tratta di individui decisi a comprare con il solo - e spesso dichiarato - scopo di rivendere la merce online a prezzi maggiorati. Nemo ne ha intervistato uno - a volto coperto - che ha raccontato di come sia riuscito ad arruffianarsi, previo pagamento, i commessi di alcuni negozi romani, garantendosi il privilegio di comprare le scarpe il giorno prima della vendita ufficiale: «Il mio acquisto più grande si aggira attorno a 220 paia di sneakers. Le ho pagate 340 euro l'una e poi rivendute». Se la matematica non è un'opinione, ha investito circa 75.000 euro. I reseller sono tanti, alcuni nascosti tra i ragazzi comuni. Spesso, gli adolescenti si accontentano di rivendere un solo paio di scarpe, senza darsi la pena di mettere in piedi un sistema. Altrettanto spesso, si battono per tenere la merce per sé. «È un cambiamento generazionale: gli uomini sono abituati, sin dalla gioventù, a considerare le sneakers come un prodotto alla moda», spiega John McPheters, cofondatore con Jed Stiller dello Stadium Goods di New York, una sorta di Cartier versione sport in cui è possibile trovare i migliori pezzi che il mercato offra. «Le sneakers sono il modo più flessibile e accettabile per comunicare la propria personalità», ha continuato, liquidando la faccenda come una banale questione di identità: «Dimmi che scarpe indossi e ti dirò chi sei».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





